Un’“intervista al contrario” (prima le risposte, rigorosamente autentiche, poi le nostre domande) a Santa Teresa di Calcutta.Di Antonio Iannaccone
Madre, lei che si occupa delle persone più abbandonate, ci dica, chi dobbiamo amare per primi? Chi sono i poveri?
Tutti. Anche voi ed io.
Ma, in che senso?
Se non amiamo i poveri, siamo poveri anche noi. Chi non ama è il più povero dei poveri. È importante che anche chi è solo, abbandonato, disperato, senza niente, capisca questa verità: che Dio li ama, malgrado le apparenze, malgrado la loro vita sia quella che è. Ecco, noi cerchiamo di essere solo uno strumento di questa grande verità.
Verità? Scusi, lei si occupa di bisogni concretissimi, come gente che muore per strada e ci dice che lo fa solo per una “verità”? C’è qualcosa di più reale e urgente che la fame?
La nostra fame di Dio, perché siamo stati creati per questo amore. Per essere sicuro che ricordassimo il suo grande amore Gesù si fece pane della vita per soddisfare la nostra fame del suo amore. Siamo stati creati a sua immagine. Siamo stati creati per amare ed essere amati. Ed egli si è fatto uomo per permettere a noi di amare come lui ci ha amato. Egli è l’affamato – il nudo – il senza casa – l’ammalato – il carcerato – l’uomo solo – l’uomo rifiutato – e dice: l’avete fatto a me. Affamato del nostro amore, e questa è la fame dei nostri poveri. Questa è la fame che voi e io dobbiamo trovare, potrebbe stare nella nostra stessa casa.
Ma oggi quest’altra fame sembra scomparsa. Dov’è?
Non dimentico mai l’opportunità che ebbi di visitare una casa dove tenevano tutti questi anziani genitori di figli e figlie che li avevano semplicemente messi in un istituto e forse dimenticati. Sono andata là, ho visto che in quella casa avevano tutto, cose bellissime, ma tutti guardavano verso la porta. E non ne ho visto uno con il sorriso in faccia. Mi sono rivolta alla Sorella e le ho domandato: come mai? Com’è che persone che hanno tutto qui, perché guardano tutti verso la porta, perché non sorridono? Sono così abituata a vedere il sorriso nella nostra gente, anche i morenti sorridono, e lei disse: questo accade quasi tutti i giorni, aspettano, sperano che un figlio o una figlia venga a trovarli.
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Scusi, lei, massima autorità riconosciuta in “miseria” nel Terzo Mondo, ci sta dicendo che la vera povertà è altrove, magari in Occidente?
È in tutto il mondo, non solo nei paesi poveri, ma ho trovato la povertà dell’Occidente tanto più difficile da eliminare. Quando prendo una persona dalla strada, affamata, le do un piatto di riso, un pezzo di pane, l’ho soddisfatta. Ho rimosso quella fame. Ma una persona che è zittita, che si sente indesiderata, non amata, spaventata, la persona che è stata gettata fuori dalla società – quella povertà è così dolorosa e diffusa, e la trovo molto difficile.
Che cosa la preoccupa dell’Occidente?
Sono stata sorpresa di vedere tanti ragazzi e ragazze darsi alle droghe, e ho cercato di capire perché – perché succede questo, e la risposta è: perché non hanno nessuno nella loro famiglia che li accolga. Padre e madre sono così occupati da non averne il tempo. I genitori giovani sono in qualche ufficio e il figlio va in strada e rimane coinvolto in qualcosa. Queste sono cose che distruggono la pace. Ma io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta – un’uccisione diretta – un omicidio commesso dalla madre stessa.
L’aborto il più grande nemico della pace? In che senso?
Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, che cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla. L’aborto è diventato il grande distruttore della pace perché distrugge la pace delle famiglie. L’amore comincia a casa e così la distruzione comincia dalla casa, dalla famiglia.
Alcuni direbbero: bei discorsi, ma le esigenze primarie sono altre. A chi non ha da mangiare e dormire si può parlare di lotta contro l’aborto?
Noi stiamo insegnando ai nostri mendicanti, ai nostri lebbrosi, agli abitanti degli slum, alla nostra gente sulla strada, i metodi naturali di pianificazione familiare.
Insegniamo loro il metodo della temperatura che è molto bello, molto semplice, e la nostra povera gente capisce. E sapete che cosa mi hanno detto? La nostra famiglia è sana, la nostra famiglia è unita, e possiamo avere un bambino ogni volta che vogliamo. E io penso che se la nostra gente può farlo tanto più potete voi. I poveri sono grandi persone. Possono insegnarci molte cose belle. L’altro giorno uno di loro è venuto a ringraziare e ha detto: voi che avete fatto voto di castità siete le persone migliori per insegnarci la pianificazione familiare. Perché non è altro che auto-controllo per amore reciproco. E penso che abbiano detto una frase molto bella. E queste sono persone che magari non hanno niente da mangiare, magari non hanno dove vivere, ma sono grandi persone. E’ tremendo che una madre uccida il proprio bambino. E’ per questo che noi desideriamo che la preghiera ritorni nelle famiglie, perché il frutto della preghiera è di purificare i nostri cuori. La famiglia che prega insieme, rimane unita, si ama e vive in pace.
Tutta la sua vita sembrerebbe una missione continua, totalmente attiva, sempre fuori di casa e incontro ai più poveri. E invece ora dice che la vita più importante è “passiva” e sta “in casa”: la famiglia e la preghiera.
Perché credo che l’amore cominci a casa. E potremo mediante questo amore comprensivo portare pace, essere la buona notizia per i poveri. I poveri della nostra famiglia per primi, nel nostro paese e nel mondo. Per poter fare questo, le nostre Sorelle, le nostre vite devono essere intessute di preghiera.
Devono essere intessute di Cristo per poter capire, essere capaci di condividere. Perché oggi c’è così tanto dolore – e sento che la passione di Cristo viene rivissuta ovunque di nuovo – siamo noi là a condividere questa passione, a condividere questo dolore della gente.
Oggi molti di noi sentono la preghiera come qualcosa di astratto, lontano, magari inutile. Non basta “amarsi gli uni gli altri”? Perché Cristo?
Lo abbiamo letto molto chiaramente nel Vangelo: amatevi “come io vi ho amato”. Come io vi amo. Come il Padre ha amato me, così io amo voi. Cristo essendo Dio è diventato uomo in tutto eccetto che nel peccato e ha proclamato molto chiaramente di essere venuto per portare questa buona notizia. La notizia era pace a tutti gli uomini di buona volontà e questo è qualcosa che tutti vogliamo – la pace del cuore – e Dio ha amato il mondo tanto da dare suo Figlio: è stato un dono. E lo dette alla Vergine Maria, e lei allora che cosa fece? Appena arrivò nella sua vita, fu subito ansiosa di darne la buona notizia, e appena entrò nella casa di sua cugina, il bambino – il bambino non ancora nato – il bambino nel grembo di Elisabetta, sussultò di gioia. Era un piccolo bambino non ancora nato, fu il primo messaggero di pace.
Sì, ma alla fine, lei sceglie di stare in strada, non di pregare in un convento.
Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo. Perché tocchiamo il Corpo di Cristo ventiquattro ore al giorno. Come quell’uomo che abbiamo raccolto dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. “Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato”. Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni. Come un angelo – questa è la grandezza della nostra gente. Ed è per questo che noi crediamo che Gesù disse: ero affamato – ero nudo – ero senza casa – ero rifiutato, non amato, non curato – e l’avete fatto a me. Credo che noi non siamo veri operatori sociali.
Eppure aiutate una quantità sterminata di persone, stando fuori di casa.
L’amore comincia a casa, e non è quanto facciamo, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Sta a Dio Onnipotente. Quanto facciamo non ha importanza, perché Lui è infinito, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Quanto facciamo a Lui nella persona che stiamo servendo. Qualche tempo fa a Calcutta avemmo grande difficoltà ad ottenere dello zucchero, e non so come i bambini lo seppero, e un bambino di quattro anni, un bambino Hindu, andò a casa e disse ai suoi genitori: non mangerò zucchero per tre giorni, darò il mio zucchero a Madre Teresa per i suoi bambini. Dopo tre giorni suo padre e sua madre lo portarono alla nostra casa. Non li avevo mai incontrati prima, e questo piccolo riusciva a malapena pronunciare il mio nome, ma sapeva esattamente che cosa era venuto a fare. Sapeva che voleva condividere il suo amore.
Qual è la cosa più importante di tutte?
Gesù. Gesù è il mio sposo. Gesù è la mia vita. Gesù è il mio solo amore. Gesù è il mio tutto di tutto. Gesù è la verità, che deve essere narrata. Gesù è la luce, che deve essere fatta splendere. Gesù è la vita, che deve essere vissuta. Gesù è l’amore, che deve essere amato. Gesù è il mio Dio. Amiamoci gli uni gli altri come egli ci ha amato. Amiamo Lui con amore indiviso. E condividiamo questa gioia con tutti quelli con cui veniamo in contatto.
Risposte di Madre Teresa tratte dal Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace (trad. it. di Paolo Burghignoli) a Oslo (10 dicembre 1979), dalla sua meditazione all’ospedale del 1983 e dalle sue dichiarazioni concesse a “Popoli e Missione”, “Pronto Raffaella?” del 13/4/1984, a Ernesto Oliviero (http://giovanipace.sermig.org)
[Liberamente tratto da Pepe n. 23]
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