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Quarantena in clausura: le suore di Siviglia giocano a basket (Video)

NUNS, SPAIN, BASKET

Corriere della sera

Annalisa Teggi - pubblicato il 20/04/20

... ma fanno anche molto altro! Un video le immortala in una pausa giocosa, ma queste suore si sono messe a fabbricare mascherine per il personale medico tralasciando la produzione di dolci che era l'unica forma di sussistenza per il loro convento.

Il giornalista spagnolo Alejandro Ávila ha pubblicato sul suo profilo Twitter un video di circa un minuto che ha catturato subito l’attenzione generale, in breve si è diffuso a macchia d’olio sui social e sui media: un gruppo di suore di clausura gioca a basket nel cortile del convento. Le protagoniste sono alcune monache agostiniane di Siviglia.

Estrapolata dal contesto, la scena si presta a tanti commenti ed è finita anche su siti sportivi che applaudono l’intraprendenza delle religiose, pur facendo qualche appunto sulla loro tecnica da cestiste: in effetti, a parte una sorella tutta vestita di bianco, non c’è molto movimento tra un canestro e l’altro. Probabilmente l’intento non è quello di essere delle fuoriclasse e ovviamente c’è da tener conto della necessità del distanziamento sociale. Insomma, è più una pausa comunitaria che una vera e propria partita.


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L’inquadratura dall’alto avrà dato ad alcuni la sensazione di riuscire a spiare dentro quello strano mistero che è la clausura e forse i più scettici su questo genere di vocazione avranno colto la palla al balzo per dire qualcosa sull’inutilità dei monasteri. Estrapolando dal contesto, i più cattivi si saranno anche spinti a dire che mentre il mondo patisce la pandemia, le suore giocano tranquille al riparo del loro convento.

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Non è esattamente così, anzi è tutto l’opposto. Per avvicinarci alla quotidianità di queste religiose partiamo da un’equivalenza superficiale che è stata fatta da molti: in fondo la quarantena è molto simile alla clausura. Davvero? Forse bisognerebbe auspicarselo, cioè correggere la frase così: magari la nostra quarantena fosse una clausura! 

L’idea che chiudersi in convento sia una forma di prigionia autoinflitta è proprio un pregiudizio. Penso a Suor Chiara, che di recente ci ha raccontato la storia della sua vocazione monastica e ci testimoniava una grande apertura dentro lo spazio stretto del monastero:

Appena si comincia a fare silenzio, ci si scopre pieni di rumore. Nel silenzio si è molto più presenti a se stessi, quello che ci colpisce si amplifica.

Dunque: mentre quarantena significa essere confinati tra le mura domestiche e nulla più, clausura significa essere in un luogo in cui è possibile aprirsi completamente al proprio desiderio di senso e felicità. Da ciò nasce la differenza radicale tra un qualsiasi genere di chiusura e la vita tra le quattro mura di un convento; da ciò nasce anche l’auspicio che la nostra quarantena possa accettare la sfida di essere vicino a quel che è una clausura.

Nell’immaginario comune nessuno si immaginerebbe delle suore così vivaci nel giocare, non ci si aspetterebbe neppure che possa piacere loro il basket; questo perché fraintendiamo il significato della parola «serio», pensando che escluda l’ambito del divertente e dello spensierato. È serio, invece, chi vive appieno il senso di ogni suo gesto senza sigillare in compartimenti stagni le proprie esperienze; siamo noi quelli che giudicano il tempo del lavoro come opposto al tempo del divertimento. Credo che queste suore non separino la preghiera dal riposo, la fatica dai sorrisi. Abbiamo da imparare da loro questa unità di sguardo che – mi spingo a dire – tiene unite in un unico orizzonte la leggerezza della mano che palleggia e la profondità della mano che si aggrappa al rosario.

Dai dolci alle mascherine

Ma, venendo più al concreto, chi sono queste suore immortalate nel video? Se verranno ricordate nelle cronache della pandemia, spero non sia solo per questo momento di pausa giocosa in cortile.

Con i suoi quasi 22 mila decessi e 200 mila contagiati, la Spagna è stata colpita duramente dal coronavirus e anche se i numeri parlano di un calo nei contagi, la situazione non è affatto al riparo dalla drammaticità. Il monastero di San Leandro a Siviglia ospita 18 monache agostiniane che stanno offrendo il loro contributo di aiuto al paese, anche se fino a poco prima dell’esposione del Covid19 erano loro a chiedere donazioni ai propri connazionali: dal 2018, si legge infatti, il loro monastero è stato sottoposto a una grande ristrutturazione e nel procedere a queste opere si è scoperta la necessità di lavori indispensabili che non erano stati previsti (tra cui il rinforzo delle fondamenta). I costi dei lavori sono cresciuti in modo esponenziale.

In pratica, il convento di San Leandro era ed è a rischio chiusura; i mezzi di sussistenza assai esigui garantiscono appena la sopravvivenza quotidiana, e non del tutto. La grande risorsa di queste suore veniva dalla produzione di un dolce particolarmente famoso: lo yemas di San Leandro (a base di soli tuorli d’uovo e zucchero, una semplicità estrema e un gusto altrettanto prelibato … da provare, insomma). La vendita di questa squisitezza era la principale fonte di redditto che le religiose hanno messo da parte da quando la pandemia ha messo in ginocchio la Spagna.

Hanno deciso di dedicare il loro lavoro alla fabbricazione di mascherine, da fornire al personale medico impegnato nell’emergenza (le si può vedere al lavoro qui, in un articolo dedicato loro dal Diaro di Sevilla). Da marzo si sono messe all’opera con il materiale a loro disposizione e cucendo tutto a mano, fino a quando la generosità di alcuni concittadini ha donato loro tre macchine da cucire. Il lavoro si è così velocizzato, ma non c’era comunque da dubitare sull’abilità manuale delle sorelle.

Come trascorrano parte del tempo in cui non sono impegnate a tagliare stoffa e confezionare mascherine, lo abbiamo visto: nel cortile interno del convento si dilettano, non proprio da ultime arrivate, con il basket. Ma quello che ho omesso finora e che senz’altro loro avrebbero messo al primo posto di tutto questo discorso è ciò che unifica, corrobora e regge l’inizio e la fine di ogni giornata: la preghiera. È quella la vera finestra spalancata sul mondo intero, è dal rapporto vivo con Dio che una mano impara a cucire, palleggiare e sgranare rosari con la medesima forza e gratitudine. Oltre ai tempi privati all’interno del convento, le suore hanno condiviso con la cittadinanza momenti di preghiera comune e canti per affidare a Dio i malati e le loro famiglie.

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