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Accettare il parto cesareo è stata una lotta a lieto fine col mio egoismo

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Natalia Deriabina | Shutterstock

Parole che creano - pubblicato il 20/04/20

C'era una mamma che voleva un bellissimo parto naturale e c'era una figlia nella pancia che le ha insegnato a non strozzare gli eventi affinché vadano secondo la nostra minuscola volontà.

Di Federica Di Vito

Ci ho messo tremesi per riuscire a riempire di nuovo un foglio bianco. Sarà per il poco tempo a disposizione di una neo-mamma? Può darsi. Ma io dico che avevo il bisogno di godermi tutto ciò che mi si è materializzato tra le braccia, in casa, negli occhi e nel cuore durante gli ultimi tremesi. Tendo a partire dalle parole per arrivare alla realtà, ma questa volta la realtà è stata troppo grande per poter essere contenuta dalle parole.

Tremesi per iniziare a conoscerti e pensate che abbiamo già litigato. Abbiamo avuto il nostro primo litigio quando ancora una manciata di settimane ci dividevano dall’incontrarci, quando oramai era palese che la tua posizione a testa all’insù non sarebbe cambiata. Ebbene sì, quella scritta “presentazione podalica” era ormai impressa sulla nostra cartella da un po’ di tempo, il mio cuore e la mia testa però non erano ancora pronti per quella tua presa di posizione.


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Ho dato inizio così a una serie di visite e incontri per programmare un cesareo. Ora la scritta sulla nostra cartella si faceva più altisonante: “parto cesareo elettivo per presentazione podalica”.

Il mio numeretto quella mattina per gli “esami pre-operatori” mi faceva tremare. Sì, non mi spaventa dirti che tremavo perché guardo da sempre Grey’s Anatomy, ma gli interventi reali e le cicatrici mi terrorizzano. O forse non era questo l’unico motivo, “operazione chirurgica” alle mie orecchie strideva con qualcosa di naturale e miracoloso come la nascita di una nuova vita.

Quella mattina sotto la corrente di immagini e pensieri che passavano nella mia mente c’era anche il bellissimo parto naturale che pensavo mi avrebbe atteso e che la mia mente ospitava così volentieri da avergli fornito una solida dimora. L’ostetrica del corso pre-parto, che prima di allora ritenevo completamente inutile, sprigionava un’energia così positiva perfino quando parlava dei dolori del parto che non ho potuto fare a meno di immedesimarmi nel momento in cui ti avrei vista per la prima volta. E qui mi sbagliavo di grosso, quindi rettifico: non pensavo al momento in cui ti avrei vista, bensì a quello che sarei riuscita a fare per vederti. Una sorta di gloria personale. Un momento rivelatore della fortezza della donna. Pensavo.

Così abbiamo litigato. Di brutto. O meglio, io ho litigato con te. Ma credo che tu mi abbia sentita, ma sei stata più saggia di me – non ti sei abbassata al mio livello e a testa alta (letteralmente) hai continuato il tuo percorso per incontrare i tuoi genitori e conoscere il mondo che ti attendeva.

Adesso che sei qui tra le mie braccia o semplicemente distesa sul tuo lettino, mentre ti osservo penso che forse è sbagliato dire che ho litigato con te. Io credo di aver litigato con l’idea che avevo del parto. Succede così sai? Quando ci si sposa si deve necessariamente litigare con l’idea di marito e di matrimonio per lasciare che quella persona e quella vocazione possano sbocciare naturalmente. Uso appositamente l’avverbio “naturalmente”, ci torneremo più avanti.

Per conoscere qualcuno sul serio, dobbiamo litigare con le aspettative che ci siamo fatti. E non voglio dare la colpa alla Disney, a chi ci illude come se esistesse un qualche complotto sulle nostre vite, a Dio o a qualcun altro; è un processo fisiologico e catartico. Per dirla in breve: ci serve per crescere, altrimenti tutto è piatto in questa vita e non serve a niente. Tutto risponderebbe ai nostri capricci mentali e chi ce lo conferma che quei capricci siano buoni per noi? Meno male che la vita fa il suo corso comunque superando gli ostacoli appuntiti delle nostre pretese.

Quanto è stato bello fare pace, poi. La sera del ricovero è stata l’ultima sera che abbiamo passato insieme, tu dentro di me e io fuori. Questa volta non terrorizzata ma consapevole. Ho perdonato la tua posizione, il mio egocentrismo e le tante frasi sciocche che occupavano la mia mente e che fino a quel momento erano riuscite a soffocare la gioia della tua nascita.“Ah fai il cesareo? Allora non devi fare nulla, ti aprono e via!”, “dai almeno non senti dolore!”, “sarà un problema per fare altri figli e poi sei così giovane, che peccato!”, “la cicatrice non è così brutta tranquilla”.

Ho imparato. Ho imparato a non lasciarmi influenzare dal comune pensare o dalle frasi mediocri; ho imparato che nulla viene a caso e che tutto può concorrere al Bene; ho imparato che la storia sa essere una maestra severa ma lo sguardo di Chi ci ama è una carezza infinita; ho imparato a farmi da parte anche quando pensavo che la protagonista del parto sarei dovuta essere io.

La sera prima, accoccolata nel letto dell’ospedale pensavo al nostro percorso insieme e sono stata felice. Non contenta, con l’aspettativa che te avresti riempito tutti i miei vuoti e la mia sete di soddisfazione. Felice, perché andavo incontro a qualcosa che non mi piaceva, ma che era il mio mezzo per divenire madre. E qui non mi interessa imbastire il discorso sulle note del ritornello “sia naturale che cesareo sempre madre sei”, per quanto sia vero, quello che voglio dire è che sono diventata madre perché ho iniziato a perdonare ciò che sfugge al mio controllo, a mettermi in secondo piano rispetto alla tua vita e a non pretendere da te qualcosa per me.

Quel “naturale” che tanto desideravo non mi avrebbe portato a pormi seriamente questa domanda: che cos’è naturale?

Non è forse seguire il flusso della propria storia affidandosi? Non strozzare gli eventi affinché vadano secondo la nostra minuscola volontà?

Quel giorno è stato bellissimo. E non perché io abbia goduto dell’assenza di dolore, ma perché è stato il nostro giorno, abbiamo seguito il corso della nostra storia e un Amore più grande ha trionfato.

Litigare e poi fare pace mi ha permesso di vedere il bello con occhi nuovi. Ho visto il sorriso di ogni singolo operatore sanitario, la carezza dell’ostetrica mentre ero sul tavolo operatorio, l’affetto dei miei genitori che pazienti e silenziosi ci aspettavano. E poi ho assistito a un miracolo: ho visto il parto con gli occhi d’amore di mio marito. Se solo potessi descrivere quest’ultimo punto scriverei pagine su pagine o forse qualche breve frase, ma credo non ci siano parole per i miracoli.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA PAROLE CHE CREANO

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