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Dio verrà a salvarci e altre lezioni del coronavirus

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oneinchpunch | Shutterstock

padre Carlos Padilla - pubblicato il 17/04/20

Quanto si può imparare dall'isolamento...

Fare le cose e fare le cose importanti non è lo stesso. Forse questo periodo in cui sono costretto in casa mi aiuterà a mettere le cose in prospettiva. E forse inizio a vedere che le piccole cose che faccio nella mia vita quotidiana sono davvero importanti.

Vorrei fare molte più cose, cose grandi. Salvare vite, accompagnare i malati, guarire tanti. Ci sono tante persone sole…

Ho bisogno di imparare a valorizzare quello che ho e a non amareggiarmi per ciò che non ho o non posso fare. Imparo a guardare grato la mia famiglia, i miei fratelli, i miei genitori. Sono le mie radici grate che ora bacio riconoscente.

Ci sono tante persone senza casa, senza famiglia, senza ricordi… Penso ai malati che non hanno nessuno o che nessuno può vedere. Ricordo commosso tutti coloro che sono morti, molti dei quali angosciati dalla solitudine.


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Penso a quelli che trascorrono ore e ore negli ospedali prendendosi cura degli altri, servendo con il cuore spezzato, giocandosi la vita. Non riposano, non si lamentano, non si maledicono.

Si prendono cura di quanti soffrono vegliando su di loro. Si sentono impotenti e vorrebbero salvare più vite, poter porre fine a questa malattia che fa tanto male.

Penso alla missione che ho io, nascosto tra le mie quattro mura. Penso che questo atto nascosto di rimanere in casa stia cambiando il mondo, anche se nessuno lo vede, anche se nessuno lo sa.

Non penso solo a me. Penso agli altri, alle persone vulnerabili, a chi è più fragile. Questo cambio di sguardo trasforma tutto. Diceva William James: “La grande scoperta della mia generazione è che gli esseri umani possono cambiare la propria vita cambiando gli atteggiamenti mentali”.

Ed è questo che spero. Temo la mia paura e la mia morte. Mi spaventa quella paura che mi paralizza l’anima. Non voglio diventare improvvisamente freddo e non essere capace di piangere, di soffrire con chi soffre.

Questo è un periodo di pianto, di lacrime, di dolore condiviso, di abbracci spirituali che consolano tanta angoscia. È anche un’epoca di sorrisi via schermo e di abbracci virtuali.

Cambio il mio atteggiamento. Non voglio aver paura di questa vita fragile appesa a un filo. Confido nel fatto che un giorno tutto passerà, e per questo ora voglio vivere imparando qualcosa da tutto ciò che mi accade.

Non voglio che resti come qualcosa del passato, già dimenticato. Mi fa paura questa mia superficialità. Non voglio continuare a camminare come se niente fosse, come se non contassero tanta sofferenza, tanti numeri dietro i quali si nascondono vite, storie sante.

I giorni lasciano segni nella mia anima, e so che non lo dimenticherò tanto facilmente. Questo mi dà speranza. Le ferite sulla pelle non cicatrizzano all’improvviso, solo lentamente, da dentro a fuori. Tutto richiede il suo tempo, ma non voglio lasciare il passo all’oblio.

Quante cose ho imparato in questo periodo! Ho imparato il valore di un abbraccio, quanto conta uno sguardo, la verità di un bacio.

Ho imparato la necessità della pelle, che accorcia le distanze. Il contatto con la vita, la forza della quotidianità. Ho imparato a vivere la gioia di uscire di casa e di tornarvi riconoscente.

Ho imparato ad amare di più e a odiare di meno, la vita è breve. Ho imparato a mitigare il dolore altrui con una parola di speranza e di consolazione.

Ho imparato attraverso uno schermo a guardare con occhi profondi la solitudine dell’anima. Ho imparato a dire cose sincere che sono quelle che contano, e non qualsiasi cosa per togliermi dagli impicci. Ho imparato a parlare dal cuore senza rimanere legato alla superficialità.

Ho imparato a valorizzare l’aria fresca del mattino. Ho tenuto vivo il sogno di salire su una montagna, di giocare nel fiume, di accarezzare i boschi.


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Ho imparato a sognare il vento sul viso, i pasti nel parco, gli incontri che aprono una breccia nel
muro della mia solitudine.

Ho imparato a dire “Ti voglio bene” senza che suoni falso. A sentire la mancanza delle persone che non vedo se non attraverso uno schermo. Ho imparato a obbedire a norme che mi vengono imposte coartando la mia libertà sacra. Quelle norme che limitano i miei passi, che pensavo fossero tanto liberi.

Ho imparato ad accarezzare chi soffre, a prendermi cura del debole, a pensare a chi è vulnerabile. Allo stesso tempo ho toccato la mia vulnerabilità, la mia goffaggine, i miei limiti. Non sono perfetto. So di non avere il controllo sulla mia vita.

Ho visto che c’è un Dio dentro la mia anima che mi dice che mi ama alla follia e che non mi abbandonerà. Verrà a salvarmi nei momenti in cui penso che tutto sia perduto.

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