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Un sacerdote canadese si offre di essere chiuso in carcere per portare avanti il suo ministero durante la pandemia

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sakhorn | Shutterstock

Cerith Gardiner - pubblicato il 16/04/20

Rispondendo alla sua chiamata, questo presbitero mette la cura spirituale degli altri al di sopra della sua stessa vita

Con le case di riposo, gli ospedali e le prigioni che impongono restrizioni alle visite durante questo periodo di quarantena, molti non riescono a ricevere il sostegno spirituale di cui hanno tanto bisogno. Molti sacerdoti e religiosi, però, stanno mettendo a rischio la propria vita per assicurare che i pazienti, gli anziani isolati e i reclusi possano vedere comunque soddisfatte le loro necessità spirituali.

Per questo, quando un sacerdote ha sentito che la prigione in cui svolge abitualmente il suo ministero stava bloccando tutte le visite, si è offerto di essere incarcerato con i reclusi h24, 7 giorni su 7. Come ha condiviso il vescovo Gary Gordon di Victoria (British Columbia), al Catholic News Herald, “quando un vescovo sentire questo da un sacerdote dice ‘Va bene, è la vocazione’. È davvero splendido”.




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Il vescovo Gordon, rappresentante del ministero nelle carceri della Conferenza dei Vescovi Cattolici Canadesi, ha spiegato che il sacerdote è profondamente impegnato da molto tempo nella sua azione nei penitenziari. Restando con i prigionieri riduce il rischio di contagiare chi vede sia all’interno che all’esterno del carcere. Per motivi di privacy, il sacerdote ha voluto rimanere anonimo.

La chiamata al servizio nei confronti dei reclusi non è esente da rischi. Come ha sottolineato Bonnie Weppler, direttore esecutivo del Consiglio Ecclesiale su Giustizia e Correzioni, il virus si diffonde facilmente nelle aree chiuse – basta guardare quello che è accaduto nelle case di riposo di tutto il mondo, o sulle navi da crociera.

Anche se molti penitenziari puntano a ridurre la popolazione carceraria rilasciando i reclusi che potrebbero uscire nel prossimo futuro, molti restano dentro, e hanno bisogno del conforto di qualcuno che possa esercitare il proprio ministero con loro.

È un dilemma che affrontano molti presbiteri. “Se qualcuno è gravemente malato, allora al sacerdote dovrebbe essere permesso di portargli l’unzione dei malati e il viatico”, ha spiegato il vescovo Gordon.

Se siamo chiamati a pregare per i prigionieri come per i malati e per chi se ne prende cura, dovremmo anche pregare per i sacerdoti e i religiosi, uomini e donne, che continuano a servire i più vulnerabili e a mettere a rischio la propria vita per farlo.

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