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Infermiera di 28 anni incinta muore per Covid, i medici salvano la bambina

MARYA AGYEIWAA AGYAAPONG

Channel 4 News | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 16/04/20

È accaduto proprio il giorno di Pasqua: «un piccolo raggio di luce in tempi molto bui», ha dichiarato il direttore dell'ospedale inglese in cui il dramma della morte di una madre si è legato al miracolo della nascita della figlia.

L’emittente inglese Channel 4 è venuta a conoscenza di una storia che in breve tempo ha cattutato l’attenzione generale: una giovanissima infermiera di 28 anni è morta a causa del coronavirus, ma grazie a un cesareo d’urgenza i medici sono riusciti a salvare la bambina che portava in grembo e che, a quanto si sa, sta bene.

Mary Agyeiwaa Agyapong, questo il nome dell’infermiera, è deceduta il 12 aprile – il giorno di Pasqua -, poco dopo aver dato alla luce sua figlia, chiamata anche lei Mary. Il tutto è accaduto nella contea del Bedfordshire (a Nord Ovest di Londra) nell’ospedale universitario Luton and Dunstable, dove la Agyapong lavorava da 5 anni ed era apprezzata da tutti.




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David Carter, il direttore dell’ospedale, ha speso per lei parole di affetto e cordoglio:

[…] ha dichiarato che la sopravvivenza della bambina è stato «un raggio di luce in tempi molti bui». E ha aggiunto: «È con grande tristezza che confermo la morte di una delle nostre infermiere, Mary Agyeiwaa Agyapong, deceduta domenica scorsa (12 aprile). Mary ha lavorato qui per 5 anni ed era molto apprezzata e amata dai colleghi, era un’infermiera meravigliosa e un esempio di ciò che il nostro ospedale rappresenta». (Da New York Post)

L’impatto emotivo di questa notizia è stato forte, ma non ha impedito che sorgessero alcuni dubbi sull’accaduto.

Cosa è successo?

Secondo la ricostruzione di Channel 4, Mary Agyapong è risultata positiva al Covid-19 il 5 aprile ed è stata ricoverata due giorni dopo, nello stesso ospedale in cui prestava servizio. Era già nel terzo trimestre di gravidanza e le informazioni raccolte provano che abbia lavorato fino al 12 marzo scorso. Dove ha contratto il virus, Mary? In corsia?

L’ospedale Luton and Dunstable è alle prese con l’emergenza Covid, come la maggior parte dei nosocomi europei, e ha registrato 70 decessi per coronavirus; l’infermiera Agyapong è il primo membro dell’ospedale deceduto a causa del virus. Il reparto in cui era in servizio è diventato zona Covid, ma non lo era quando Mary si trovava ancora in corsia. L’ospedale conferma che nessuno dei pazienti con cui lei potrebbe essere venuta in contatto è positivo al Covid.

Alcuni anonimi colleghi della donna hanno dichiarato ai giornalisti che già da tempo erano preoccupati per una carenza di DPI (mascherine e guanti) e questo avrebbe potuto influire sulla sicurezza personale. Su questo punto l’ospedale smentisce seccamente.

Mary poteva lavorare a uno stadio così avanzato della gravidanza? Questo è l’altro interrogativo aperto sulla vicenda. L’attivista Joeli Brearley, che ha fondato l’associazione Pregnant Then Screwed (letteralmente: incinta poi fregata), ha spiegato qual è il vulnus che rende la legge suscettibile di interpretazioni dannose per le donne:

Le indicazioni stabiliscono una linea di demarcazione alla 28 settimana, oltre cui la donna incinta può smettere di lavorare o essere messa a lavorare in un ambiente protetto. Il punto è che prima della 28 settimana non ci sono regole precise e credo che questo crei confusione anche dal punto di vista legale. Le linee guida dovrebbero essere più chiare e stabilire che, qualunque sia l’epoca gestazionale, la donna non dovrebbe lavorare a contatto coi pazienti e le dovrebbe essere concesso di stare a casa con stipendio pieno. (da
)

Anche su questo punto l’ospedale dichiara che Mary aveva ricevuto mansioni compatibili con la sua gravidanza.

E veniamo all’epilogo che è coinciso con il giorno di Pasqua. Dal giorno del ricovero, il 7 aprile, le condizioni della giovane infermiera erano state altalenanti, in alcuni momenti si presagiva una ripresa imminente. Ma domenica la situazione è peggiorata al punto da spingere i medici a eseguire un cesareo d’urgenza per poter salvare la bimba in grembo. E così è stato, l’operazione ha portato alla nascita della piccola Mary che sta bene ed è sotto osservazione. Purtroppo, invece la madre è morta. Il marito, in tutto questo doloroso frangente, è dovuto rimanere a casa in autoisolamento. Il Covid non ci abituerà mai a queste fratture strazianti: tre creature così legate le une alle altre e separate in un momento cruciale per il destino di ciascuno di loro. Non è ancora noto il referto del tampone sulla bimba appena nata.

Dare alla luce

Maria è un nome di fronte a cui non posso essere indifferente. Ma, se possibile, coglierei questa velata eco alla Madonna come un suggerimento di sguardo. In mezzo alla pandemia ribolle il borbottio dei «giustizieri», quelli che sono indaffarati a rovistare tra gli scandali e a urlare ai quattro venti tutte le mancanze, gli errori, le colpe nella condotta altrui, seminando disperazione e rabbia tra la gente. Anche la storia di Mary Agyeiwaa Agyapong può essere un buon pasto per gli affamati di inchieste scandalistiche in tempo di coronavirus.

Certo, è evidente che sull’accaduto dovranno essere condotte indagini. Se qualcosa di colpevole ha messo a serio rischio la vita di questa madre, lo si dovrà denunciare. Eppure è impossibile che questo misero orizzonte investigativo risponda alla ferita che si apre quando ci immedesimiamo in questa storia. Buona parte dei nostri limiti si scontrano in questo tempo d’emergenza con l’evidenza che potremmo essere vittime di un virus il cui volto aggressivo è parecchio oscuro e persino vittime di variabili legate alla superficialità o negligenza o mancanza altrui. Non è giusto, ma è umano; non è giustificabile, ma può accadere. Come guardare, allora, un dramma che contiene dolore e gioia, che separa per sempre due creature così legate come madre e figlia? Qual è la parola giusta che vada a fondo del dolore di una perdita e allo stesso tempo onori il miracolo di bene di una vita appena nata? Non c’è.

Infatti Maria, la Madonna, parlava poco. Guardava, e lo faceva in un modo che è meglio descritto dal verbo contemplare. Sapeva che la Parola chiarificatrice l’avrebbe detta un altro, Suo Figlio. Anche noi possiamo copiare questo sguardo del cuore: osservare in pienezza di clamore la realtà, protesi alla Parola vivente che ci strappa alle obiezioni della terra. La cosa più semplice e sensata da dire è che era proprio Pasqua quando la morte di una madre si è incontrata con la vita della figlia, la presenza di Dio è conficcata proprio dentro tutto ciò che l’umano ama ma non può salvare come vorrebbe.

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