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Se Gesù è vivo non c’è dubbio: è Lui il Signore! E arrivare a Lui è la sola cosa necessaria

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Foto di John Paul Edge da Pixabay

Il blog di Costanza Miriano - pubblicato il 14/04/20

Quando all'ultima ora incontreremo Lui, vedremo tutta la vita, la nostra vita, come intreccio benedetto e accidentato di Provvidenza e miseria, e di tanta misteriosa compagnia.

Di don Alessio Geretti

Stanotte (la notte della veglia pasquale, 11 aprile, Ndr), amici cari, insieme a noi, sparsi tra tante case, si sono riuniti, in questa Chiesa che compie segni arcani, la luna nuova di Pasqua, e il fuoco, l’acqua, la terra, il soffio della brezza di primavera, gli elementi del mondo, e le stelle che trapuntano come brillanti l’abito nero indossato dopo ogni crepuscolo dalla creazione, mentre attende l’aurora con il subbuglio della paura e della speranza che le squassano il cuore.

I cercatori di segreti e di tesori, che s’adoperano con un ingegno che desta ammirazione, se stasera vegliano con noi si rammentano che altre volte faticano a dormire, in fondo inquieti, perché stringono nella mano i loro saperi e i loro giorni, che tuttavia come granelli di sabbia colta sulla riva del mare sfuggono tra le dita, e con essi il perché di questa esistenza, e l’incognita che ci attende al suo traguardo.

I bimbi forse, anch’essi vegliano con noi, stasera; o forse dormono, nella loro benedetta innocenza di sognare tutte le meraviglie e di non conoscere ancora la tribolazione del vivere incerto; e dalla porta socchiusa le mamme e i papà li sbirciano, silenziosi, sussurrando che vogliono amarli per sempre.

Ed anche gli innamorati di fresca passione e quelli di tantissimi calendari, che avevano la nostra età quando noi eravamo impavidi ragazzi, si tengono la mano, perché in fondo – perfino quando ogni tanto sembrano dimenticarlo, lanciandosi proteste, lamentele o creativi insulti – ad ogni loro sguardo si stanno dicendo che vogliono amarsi per sempre.

Per sempre. Ma può essere vero? Mentre la notte dell’universo guarda alla finestra, se torni l’amato, e tutti i brandelli di vita del mondo, anche la più nascosta o ridotta al lumicino, anche le rughe che solcano il volto dei vecchi, anche le vampe rosse e gialle dei sentieri coperti dalle foglie in autunno o la coltre silenziosa bianca dell’inverno, con il presentimento che la vita vincerà a primavera, sintonizzano il loro segreto battito cardiaco al palpito emozionante mostrato da un’ecografia che ha scoperto la creatura nascosta nel grembo delle donne, a ogni stagione il genere umano, venuto da lontano, dopo essersi alzato in piedi, aver imparato a progettare e a lasciare impronte dell’anima perfino sulle pietre, guarda in faccia la nuda apparenza della realtà e si ritrova sull’orlo del mistero ogni volta che adagia uno di noi nella sepoltura, come in un grembo materno, compiendo un gesto che dimostra la differenza tra l’uomo e tutti gli altri viventi, e che lamenta l’indifferenza del destino, poiché la morte non ha saputo distinguere tra loro e noi.


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Ha fatto il salto di specie. Ma noi amavamo, seppure con amori malconci: non doveva colpire anche noi.

Così, tornando da una ricorrente visita ai sepolcri sempre più familiari col passare degli anni, nella più vasta solitudine in cui ci sentiamo d’improvviso l’assembramento delle memorie e delle domande ci trapassa.

Ma per una volta, per una volta, da una sepoltura scavata in un giardino, fuori dalle mura di Gerusalemme, conficcata all’epicentro di tutte le profezie e di tutte le più struggenti promesse che stasera ci faceva ogni pagina della Sacra Scrittura, dalla sepoltura di Gesù – questo affascinante e diciamo pure irregolare ebreo di Nazaret –, le donne prima e gli apostoli poi ritornano con gli occhi di chi pare aver visto l’immensità in un istante!

Gesù, il Crocifisso del Golgota, è veramente, realmente, corporalmente vivo. Lui, che aveva trascinato dietro a sé una brigata a tratti simpatica a tratti imbarazzante, come noi cioè, e suscitato l’entusiasmo di molti, Lui che aveva sfolgorato di luce su un monte di Galilea e aveva sedato tempeste e camminato su acque colte da frenesia, Lui che aveva ridato freschezza alle membra martoriate dei lebbrosi e luce agli occhi di diversi ciechi, lui che aveva strappato agli artigli da rettile della morte la figlioletta di Giairo o il figlio unico della donna di Nain visitata troppe volte dalla morte stessa, o l’amico di alcune risate fraterne e del pianto più affettuoso, Lazzaro, Lui che era sceso a Gerusalemme su un asino, come Salomone il giorno in cui venne consacrato re a sorpresa dal profeta Nathan e da Zadoq sommo sacerdote, Lui che pareva d’improvviso un gigantesco errore, una paurosa illusione, uno straziante ricordo, sfigurato sul patibolo degli schiavi, inchiodato rabbiosamente, cancellato dalle agende dei vertici di tutti i potenti della storia, Lui è vivo. Non nei pensieri, o nel cuore di chi lo amò: è vivo nella sua carne, pervasa da una misteriosa metamorfosi che l’ha inondata di gloria senza tramonto.

Gesù ha riaperto i suoi occhi, quelli con cui prese il cuore di Simon Pietro, figlio di Giovanni, sulle rive del mare di Galilea una mattina di tre anni prima, quelli con cui comprese il cuore di Simon Pietro, figlio di Giovanni, sul limitare del cortile di Caifa, al canto del gallo nella notte di tre giorni prima, quelli con cui riprese il cuore di Simon Pietro, figlio di Giovanni, sulle rive del mare di Galilea medesimo, quando gli chiese d’amarlo con tre per sempre.

Gesù di Nazaret è entrato nella morte per ucciderla. Non c’è notizia più meravigliosa e più gravida di conseguenze.

Dalla tomba scoperchiata, giunge a noi questa notizia sbalorditiva, che l’angelo sfolgorante, di cui ci ha parlato la lettura evangelica, diede anzitutto alle donne quella mattina di domenica 9 aprile dell’anno 30: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.

Il sepolcro vuoto (che i soldati e le autorità giudaiche non possono in alcun modo contestare); i molti testimoni che hanno veduto e incontrato il Risorto (puntigliosamente elencati da testi antichi, scritti quando i testimoni stessi erano ancora viventi e potevano essere tranquillamente contestati, se si fosse potuto contestarli); la stessa radicale trasformazione degli apostoli, che prima sono avviliti, depressi, paurosi, e poi diventano esuberanti di coraggio, di fiducia incrollabile, di generosità audace fino al martirio: sono tutti fatti storici, dati certi, che hanno lasciato tracce precise e seriamente documentabili, sostegno della nostra certezza.

E se Gesù è vivo, dunque non v’è dubbio: è Lui il Signore!

Ogni sua parola è vera. E arrivare a Lui è l’unica cosa davvero necessaria. D’altra parte, solo un fatto reale e straordinario, avvenuto effettivamente, poteva rendere ammissibile il ritorno sulla scena di colui che, al cospetto di tutti, era stato così atrocemente sconfitto, pubblicamente umiliato, rabbiosamente annientato fino alla morte di croce, cioè la più infamante e dissacrante maniera di morire che potesse capitare ad un ebreo.

La storia di Gesù era finita troppo male, troppo clamorosamente male, per potersi rifare alla sua memoria e al suo messaggio così, come niente fosse. Non si trattava di un eroe caduto in uno scontro con malvagi; era uno che si proponeva come salvatore del mondo e personalmente tutt’uno con Dio onnipotente, e in croce era stato smentito nel più brutale dei modi.

Ma bisognava proprio, se ci pensiamo bene, che la morte di Gesù accadesse in modo tanto terribile e clamoroso, perché di fronte a quel tipo di morte è ancora più evidente che l’esplosione immediata del cristianesimo, iniziata poche settimane dopo e propagatasi nel mondo intero, si spiega solamente se c’è stato davvero il ritorno fisico e palpabile di Gesù, nel suo corpo vivo, trasformato e infiammato da una immensa potenza divina.

Un Gesù che fosse stato uno spettro non avrebbe cambiato niente, non avrebbe convinto nessuno, non avrebbe fatto ripartire nulla, non parlerebbe al cuore nostro né stasera né mai.

Ed ora, cari amici, diciamoci la verità. Se Cristo non fosse risorto, l’intera esistenza umana non riuscirebbe a scampare dalla disperazione e dall’assurdità. Questo lo sappiamo prima di tutto noi cristiani. San Paolo ce lo ricorda con la consueta schiettezza:

“Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sarebbero perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15,17-19).

Concordando con san Paolo, dobbiamo ammettere: che gigantesca e ridicola illusione sarebbe pensare che ci sia un Dio, e un Dio pieno d’amore, e che quindi la nostra vita e i nostri amori e legami e sacrifici abbiano un senso, un qualche valore, se in realtà fossimo soltanto polvere, affannata, che consuma una esistenza insensata e balorda, per finire poi nel niente! La vita sarebbe una passione inutile, e la fede una gigantesca e puerile idiozia.

Ma questo vale anche per i non credenti. Se Cristo non fosse davvero vivo, ora, la vita nostra si porterebbe dietro un fatale nero strascico di malinconia. Lo scriveva già un poeta, narrando il canto del pastore insonne ed errante dell’Asia, che interrogava la luna in ciel, silenziosa e ancor non paga di riandare i sempiterni calli, ripensando alla vita di chi sorge all’alba e muove sempre identiche mosse stranianti, e poi stanco si riposa a sera:

ma allora – domanda egli lucidamente – a che valea noi la nostra vita, o alla luna la sua, dove tende questo vagar nostro breve e il suo corso immortale?

Non saremmo forse tutti fatalmente votati all’insensatezza,condannati a non avere una motivazione per andare avanti che vada oltre il provvisorio, costretti a vivere in un mondo senza logica,senza un’accettabile speranza?

Non venitemi a dire che si può andare avanti lo stesso, che magari si può cercare di darsi obiettivi di altruismo e lottare civilmente per un mondo più giusto: questo ce lo diciamo, certamente, ma finché abbiamo battaglie da combattere, mani da stringere, una guancia da baciare, una spalla su cui poggiarci; poi però, basta che una malattia tocchi non te, no, ma le carni e il sorriso e la delicatezza di tuo figlio o di tua moglie, e ti rendi conto che essere venuti al mondo e per di più volersi bene, se non ci fosse né Dio né risurrezione sarebbe stato uno scherzo di cattivo gusto da parte di un cinico destino.

Amici, che immensa fortuna è sapere che Cristo è risorto! E che immensa fortuna è appartenergli! Dio è venuto a noi in Gesù di Nazareth, così meravigliosamente che chi vive senza Lui non vive, e chi muore con Lui non muore.

Da quando esiste, sempre e dovunque l’uomo si domandava se l’amore può vincere la morte. In Gesù ha trovato finalmente la risposta! Sì, l’amore ha l’ultima parola sulla morte. In Gesù è avvenuto questo miracolo bramato da tutte le fibre del cosmo, predetto da tutte le pagine sacre di Israele, sperato da tutti quelli che hanno un cuore, al di là di quel che eventualmente dicesse la loro testa.


PREGNANT, KISS, FATHER

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E noi, vedete, in realtà non sappiamo cosa accadrà tra due ore, ma da quando Gesù è venuto, e da quando Gesù è morto e risorto, sappiamo esattamente e certissimamente cosa accadrà l’ultima ora della nostra vita: vedremo Lui. Conosceremo Dio come lui conosce noi, e conosceremo noi come ci conosce Dio. Vedremo tutta la verità, indagata con tenacia o un po’ fuggita nella penombra di quaggiù. Vedremo tutta la vita, la nostra vita, come intreccio benedetto e accidentato di Provvidenza e miseria, e di tanta misteriosa compagnia.

E rivedremo quegli indimenticabili vecchi di casa nostra e gli saliremo in grembo, sulle loro ginocchia solide come le fondamenta della terra, per concludere quella frase che ci rimase mezza in gola, spezzata dal pianto, quando tentammo di salutarli. E finalmente quegli innamorati si ritroveranno, e quel papà e quella mamma ritroveranno il loro figlio, perché la morte dovrà restituire uno dopo l’altro.

E quando tante cose saranno passate, non tutto sarà passato. Resterà la luce di ogni tramonto vissuto insieme nell’amore, al canto delle campane dei nostri borghi. E quella luce farà splendere come perle le nostre lacrime di figli immensamente amati.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL BLOG DI COSTANZA MIRIANO

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