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Su coronavirus e peste: Dio è con noi, non contro di noi

SEVENTH PLAGUE

John Martin | Public Domain

Gabriel Torretta, O.P. - pubblicato il 10/04/20

La storia delle pesti ci lascia con una speranza inaspettata: in mezzo a questi mali naturali, Dio ci fa sapere che è il Signore

Il 6 dicembre 1666, sulla scia dello scoppio della Morte Nera che uccise il 15% della popolazione inglese, il reverendo Josiah Hunter di York pronunciò un sermone intitolato “L’Orrore della Peste”. La sua tesi incoraggiante sul tema era “che la peste sia un giudizio terribile, un segno della grande ira di Dio”.

L’ira divina e le piaghe bibliche sono argomenti inaspettatamente attuali. Ogni giorno i quotidiani elencano qualcosa di simile a una lista aggiornata di quello che Dio ha scaricato sul faraone: mancanza di beni, quarantena universale, collasso economico presente e futuro e così via. E al di sopra di tutto questo, il picco dell’infezione e della mortalità in alcune zone degli Stati Uniti è previsto per il Venerdì Santo, il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua, e quindi si può essere perdonati se ci si sente come uno degli Egiziani davanti ai quali l’Angelo della Morte non è passato oltre.

Leggiamo però la nostra situazione – e le piaghe d’Egitto – in modo troppo semplicistico se indichiamo come spiegazione semplicemente l’ira divina, per quanto possa essere una tentazione biasimare i nostri mali ecclesiali, sociali e morali. Il Salmo 136 offre una prospettiva del tutto diversa su quello che è accaduto in Egitto e sul modo in cui è collegato alla nostra esperienza: “Colui che percosse gli Egiziani nei loro primogeniti, perché la sua bontà dura in eterno”. Per il salmista, la litania delle piaghe contro il faraone, perfino il suo culmine disastroso, è in qualche modo una rivelazione della misericordia di Dio.


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Per vedere cosa potrebbe significare dobbiamo tornare alle pagine dell’Esodo e prendere in considerazione le piaghe. Prima del loro inizio, Dio spiega cosa sta per accadere e perché: “Moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto”; “gli Egiziani sapranno che io sono il Signore” (Es 7, 3-5). In altri termini, l’obiettivo delle piaghe non è quello di punire e distruggere il faraone e gli Egiziani, ma di far conoscere il Signore e di rivelare come il mondo creato si colleghi a Lui.

Nel corso della narrazione delle piaghe si ritorna col pensiero a un testo inaspettato: il primo capitolo della Genesi. Come sottolinea il traduttore biblico Robert Alter, le piaghe non sono una serie casuale di eventi sfortunati, ma un’inversione della creazione del mondo da parte di Dio. Se il primo capitolo della Genesi caratterizza ogni nuova categoria della creazione con la dichiarazione solenne che Dio la vide e pensò che fosse positiva, i capitoli sulle piaghe dell’Esodo presentano quelle stesse realtà in una forma del tutto alterata, in cui la benedizione è diventata una maledizione e la creazione correttamente ordinata si è trasformata in un vortice caotico di distruzione.

Le cose viventi che nella Genesi devono “moltiplicarsi” per mostrare l’abbondanza di Dio appaiono nell’Esodo come le rane che escono dall’acqua, le mosche che invadono il cielo, la pestilenza che divora le mandrie una volta abbondanti e le locuste che eliminano ciò che è verde sulla Terra. La separazione delle acque della Genesi, che fa spazio al prosperare delle creature viventi, diventa nell’Esodo la tempesta di fuoco distruttrice, e perfino la promessa essenziale per cui l’acqua è buona e porta vita è apparentemente non rispettata quando le acque diventano sangue mortale. Le prime parole di Dio, “Sia la luce”, lasciano improvvisamente spazio a un’oscurità spessa e fredda come il vuoto. Alla fine del torrente di distruzione arriva il terribile culmine che inverte il picco della storia della creazione: “Creiamo l’uomo a nostra immagine”.

Cos’è andato male? Com’è possibile che tutte le cose buone che Dio ha fatto possano essersi corrotte a tal punto che quello che Dio aveva creato per il bene sia diventato fonte di problemi? La risposta si itrova un po’ più avanti nel libro della Genesi. Dopo la caduta, Dio dice ad Adamo: “Il suolo sarà maledetto per causa tua” (Genesi 3, 17), e spiega ad Adamo ed Eva come la loro disobbedienza abbia provocato una rottura tra loro e Dio, che si ripercuote necessariamente sul mondo che Dio ha creato perché vi vivessero. Tutte le creature che Dio ha creato perché Adamo ed Eva le dominassero resistono ora al loro dominio; tutto ciò che è stato donato liberamente nella pace è oggetto di furto e violenza; tutto ciò che è stato creato per la vita diventa soggetto di morte.

Le piaghe, in altri termini, ci costringono ad affrontare il fatto che la caduta dell’essere umano ha corrotto il mondo che Dio aveva creato perfetto. Il peccato dei nostri primi progenitori non ha potuto distruggere la bontà creata da Dio, ma ha lasciato noi e il mondo con profonde cicatrici, anelando disperatamente a una guarigione che i poteri naturali del mondo non possono offrire. Come dice San Paolo, “la creazione geme ed è in travaglio” (Romani 8, 22), e il travaglio della creazione è, fin troppo spesso e fin troppo tragicamente, anche il nostro.


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Il mondo in cui viviamo è fragile. La sua bontà è reale, ma gli effetti disordinati del peccato sono così potenti che non viviamo più in armonia con il mondo che ci circonda. Le frane spazzano via le città, gli tsunami devastano le isole, i terremoti radono al suolo tutto e i virus si diffondono nel pianeta.

Non è stata la cattiveria di nessuno a provocare queste cose, ma la storia delle piaghe ci lascia una speranza inaspettata: che in mezzo a questi mali naturali, Dio agisce e sapremo che Lui è il Signore.

Il vero miracolo delle piaghe d’Egitto non è il fatto che Dio le abbia create: le nostre esperienze ci mostrano ampiamente che il caos e la morte non sono mai più a che a un millimetro di distanza. La meraviglia delle piaghe è che sono finite. Dio le usate non solo per insegnare che il mondo è imperfetto e geme nel travaglio, ma soprattutto per insegnarci che non è il caos a regolare il mondo, che il pungiglione della morte è stato strappato via, che Dio è il Signore della nostra vita, della nostra storia e della nostra morte, e che è misericordioso.

Il coronavirus non è “un giudizio terribile, un segno della grande ira di Dio”, ma sconvolge il nostro desiderio naturale di confidare nell’autosufficienza del mondo, nei nostri risultati, nel benessere economico, psicologico e fisico. Le crisi d’Egitto e della nostra epoca ci ricordano che la creazione non può soddisfarci. Non può tenerci al sicuri. Il mondo aspetta “la manifestazione dei figli di Dio”, di modo che mediante la nostra trasformazione nella redenzione di Cristo la creazione venga “liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (Rm 8, 19; 21).

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