Una maestra in pensione, già impegnata nel volontariato con i bambini nelle scuole e nelle biblioteche, sente come chiamata una nuova missione, semplice ma coraggiosa: mettere in relazione i carcerati con le famiglie lontane, non solo in termini di distanza fisica. Registra la loro voce mentre leggono un libro per i loro bambini, figli o nipoti, che non vedono da anni, in certi casi mai incontrati.
Si chiama Mary Ann, e’ una nonna di 76 anni, e qualche anno fa ha deciso di diventare volontaria in carcere.
E’ anche ufficialmente una “Red Nose Reader” e da una quindicina d’anni, dopo essere entrata in pensione dal suo “vero” lavoro, la maestra, va in scuole, biblioteche e centri per bambini per raccontare storie indossando un naso rosso.
Un giorno legge un articolo in cui si parla di un programma di aiuto nelle prigioni del Missouri chiamato “Story Link”: dei volontari registrano la voce dei detenuti che leggono una storia della buonanotte e poi la recapitano ai loro figli e nipoti, insieme al libro.
La storia le tocca il cuore, la sente quasi come una chiamata, a voce alta dice “ Si, lo voglio fare anche’io”, e così la sua avventura inizia.
Siamo nel Nord West dell’America, in Idaho, uno stato dove esiste ancora la pena di morte e i detenuti nel carcere di Alta Sicurezza non possono neanche avere contatti diretti con familiari se non tramite un vetro. E’ uno stato molto grande con una densità di popolazione molto bassa, e spesso le prigioni sono situate in luoghi estremamente lontani dai piccoli centri dove le famiglie dei detenuti vivono, per cui andarli a trovare per loro diventa nella maggior parte dei casi un viaggio troppo lungo e troppo costoso.
E rispetto alle telefonate: ogni chiamata a casa può costare svariati dollari, quando i rapporti con le famiglie di origine non sono comunque così deteriorati da far diventare le chiamate inutili in ogni caso.
Dopo molti anni decido di ritornare ad interessarmi di carcere, e trovo questa nonna sorridente, dal volto lucente e dalla voce dolce e gentile, al programma di training.
La sua storia mi tocca il cuore immediatamente, trovo che sia un modo così semplice e così efficace di fare del bene.
Mi racconta una storia:
Ricordo un gentiluomo, una volta, che si era sposato una prima volta, poi aveva divorziato, e si era risposato di nuovo, prima di entrare in carcere. Dal primo matrimonio aveva avuto una bambina, ma la prima moglie aveva deciso di tagliare i rapporti con lui, soprattutto dopo il carcere. Venne a sapere che sua figlia era diventata a sua volta mamma, e quindi lui era un nonno. La figlia non aveva acconsentito a fargli incontrare la nipote, e quindi le chiese se almeno poteva registrarle una storia da farle ascoltare prima di andare a dormire.
Prese uno dei libri di quelli che portiamo loro, tra i quali possono scegliere – sono libri donati da biblioteche, privati, la selezione è del tutto casuale – e quell’uomo tra tutti i libri ne scelse uno.
Registrammo la voce, recapitammo l’audio alla famiglia.
Pare che quando la figlia abbia sentito la voce del padre, che non sentiva più ormai da diversi anni, raccontare una favola che a lei era estremamente cara e che sua mamma le raccontava quando era piccola, sia scoppiata in lacrime e abbia capito in quel momento che voleva cambiare le cose.
Quella storia è stato l’inizio del loro riavvicinamento e quel detenuto è poi uscito dal carcere.
Un giorno mi ha inviato una foto di una cena di famiglia che hanno fatto tutti insieme, una volta uscito. Una sola registrazione ha riportato la famiglia insieme.
A volte anche solo il registrare il racconto di una favola, fa comprendere quanto sia grande il dispiacere e la rabbia di non poterlo fare di persona, e anche solo questo basta come molla per decidere di cambiare vita, per chi avrà la possibilità di uscire, ed essere reintegrati nella società.
Come cristiani conosciamo tutti molto bene il passo del Vangelo che ci invita ad accogliere gli stranieri, dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi e visitare i carcerati. (cfr Mt 25, 35-44). E’ più facile sicuramente rispettare le prime indicazioni, molto più difficile è rispettare l’ultima. Eppure non è meno importante e non possiamo ignorarla. Anzi, i luoghi del carcere sono probabilmente quelli dove più che in altri c’è bisogno dell’amore di Cristo. Ho scelto di fare il Clown perché mi piace vedere la gente sorridere. E la ragione per cui faccio questo è per connettere la gente che sta dentro con quella che sta fuori, e per dare speranza in un luogo dove c’è profondo abbandono. Perché siamo tutti peccatori in cerca di grazia e a nessuno è negata la redenzione, e perché Dio non vuole lasciare solo nessuno nel suo buio, ma da lì vuole salvarci.
Grazie, Mary Ann.