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Il sacerdote martire di Auschwitz che è stato crocifisso con Gesù il Venerdì Santo

BEATO PEDRO EDUARDO DANKOWSKI

CC

Gerardo Rodríguez - pubblicato il 06/04/20

La storia straordinaria del sacerdote beatificato da San Giovanni Paolo II che ha vissuto il suo calvario nel campo di concentramento

Campo di concentramento di Auschwitz, sabato precedente la Domenica delle Palme 1942. L’aguzzino, tedesco, ha un nome: Hans. Anche la vittima, polacca, ha un nome: Pietro. Del primo, la cronaca del campo di concentramento ha registrato solo il nome e l’incarico, “Arbeitsdienstführer” (responsabile delle operazioni). Del polacco, registrato con il numero 24.529, si sa che il nome completo era Piotr Edward Dankowski e che si trattava di un sacerdote cattolico.

Quel giorno, nella conta mattutina, un altro sacerdote fu testimone del colpo crudele. Atterrato da un pugno, già a terra, venne preso a calci alla testa e alla pancia. Gli vennero anche rotti gli occhiali. Il motivo? Il giorno prima, padre Pietro non era andato a lavoro perché era molto malato. Per l’aguzzino, l’impossibilità reale di lavorare sembrava un mero capriccio: “Non hai voluto lavorare”.

Fecero poi legare un grosso tronco alle spalle del sacerdote, che si contorceva dal dolore. Fu mandato in infermeria solo molto dopo.

Il giorno successivo, Domenica delle Palme, consapevole del fatto di mettere a rischio la sua vita, padre Ladislau Puczka decise di far visita al suo amico e ne ascoltò le confidenze: “Il kapò Hans ha annunciato la mia via crucis per questa Settimana Santa”.

E così fu. Nell’infermeria, nei giorni successivi, padre Pietro subì nuove torture. Il Venerdì Santo, quando padre Ladislau entrò in infermeria per far nuovamente visita all’amico, lo trovò come la Vittima Divina del Calvario era in quello stesso giorno: sulla croce. Indebolito, estenuato, brutalmente picchiato, con un tronco legato alle spalle. Ricevuta l’assoluzione, si congedò dall’amico: “Ci vediamo in cielo!” Quello stesso giorno, padre Pietro venne ucciso a calci e pugni dal kapò. Era il 3 aprile 1942.

Quando iniziò la II Guerra Mondiale, padre Pietro non rimase indifferente alla sofferenza del suo popolo, e si unì al movimento di resistenza a Podhale, dirigendo una radio clandestina insieme al fratello Stanislao e redigendo comunicati. Allo stesso tempo, prestava aiuto a tutti coloro che erano perseguitati dalla Gestapo e fuggivano sulle montagne alla volta dell’Ungheria.

Il comandante tedesco locale gli disse che era sotto vigilanza e che avrebbe potuto essere arrestato in qualsiasi momento. Padre Pietro, però, si rifiutò di fuggire e di nascondersi, e decise di rimanere nel posto che il vescovo gli aveva affidato per esercitare il suo ministero sacerdotale.

Il 10 maggio 1941, venne preso e portato nel luogo in cui si svolgevano gli interrogatori e le torture – una delle più “facili” era il fatto di dover dormire sul pavimento gelato tremando di freddo per tutta la notte. Da lì venne portato in una prigione di Tarnów, da dove il 15 dicembre 1941 venne spedito al campo di concentramento di Auschwitz.

Nel campo, padre Pietro fu obbligato a lavorare ben al di là delle proprie forze, scavando fossati per l’installazione di canali. La sua condizione di sacerdote cattolico lo rese bersaglio di persecuzioni speciali da parte del kapò Hans, che gli diede un lavoro extra: scavare ogni giorno la propria fossa per poi riempirla di terra. Nonostante tutto, padre Pietro non perdeva la sua serenità, e anche se il lavoro era estenuante riusciva a cantare inni cattolici per esortare gli altri. E continuò così fino alla Settimana Santa del 1942.

Padre Pietro era stato ordinato sacerdote nel 1931. Era molto devoto alla Madonna ed erede di una lunga tradizione religiosa familiare. Cordiale, gentile, aperto a tutti, sapeva parlare con le persone semplici e con grandi intellettuali, e si guadagnava la fiducia dei fedeli, che ricorrevano al suo confessionale e gli chiedevano orientamenti per le loro necessità spirituali e umane.

San Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 13 giugno 1999.

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