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Spiritualità
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La Vita è e sarà sempre più forte della morte!

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Don Giacomo Pavanello - pubblicato il 06/04/20

Viviamo la Settimana Santa leggendo i segni di questo tempo

Siamo in Settimana Santa. Quest’anno per via della pandemia mondiale, ciascuno di noi potrà seguire le celebrazioni liturgiche solo a distanza, o in televisione o sui social network… Ma, nonostante le difficoltà del momento, dobbiamo trasformare questo tempo di dolore, in un tempo di crescita, un tempo di santità.

Riportiamo le parole di don Giacomo Pavanello, parroco della chiesa di San Giuseppe Cottolengo di Roma e responsabile dell’Area sensibilizzazione, evangelizzazione e prevenzione per l’Associazione Internazionale di fedeli “Nuovi Orizzonti”.

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È iniziata la Settimana Santa. Abbiamo accompagnato Gesù nel suo ingresso trionfale a Gerusalemme, mutato poi nel giro di pochi giorni in un’atmosfera di abbandono, tradimento, infamia.

Dalle acclamazioni alle ingiurie.

Un po’ come certi cammini di fede che non hanno la sapienza della memoria, troppo concentrati sul presente, dimenticando che la stoltezza è figlia dell’impulsività e della mancanza di uno sguardo d’insieme.

Ci siamo inginocchiati alle parole “Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito”, raccolti in un silenzio adorante e carico di emozione, simile allo sgomento che talvolta può averci avvolto in questi giorni.

Giorni molto simili al nome proprio che assume la Domenica celebrata ieri, detta propriamente non “delle palme”, bensì “di Passione”.

Una settimana prima di Pasqua la Chiesa si ferma per rileggere il lungo racconto della Passione di Gesù perché la memoria dell’Amore appassionato di Dio per l’umanità non risulti sbiadito nei cuori dei suoi figli.

Anche noi abbiamo e stiamo patendo giorni di passione: penso ai medici, agli infermieri, alle forze dell’ordine, agli scienziati, agli uomini e donne delle istituzioni, chiamati a decidere per tutti, le cui scelte hanno in questo momento un peso immenso, ma penso anche alle suore, ai sacerdoti, ai volontari che continuano a spendersi perché il fiume della carità non si dissecchi e continui a dare ristoro a chi è più in difficoltà. Penso ai missionari nel mondo, che assistono senza dispiegamento di mezzi straordinari coloro che, ammalati, stanno morendo senza che rientrino nelle testate giornalistiche. Ma penso soprattutto a chi ha parenti e amici confinati nelle camere ospedaliere e ancor più a chi sta piangendo la morte senza aver nemmeno la possibilità di sfiorare un’ultima volta quei volti, quelle mani che per anni sono stati strumenti attraverso cui è passato amore, vicinanza, vita vissuta.

Questa è Passione: un dolore bruciante innestato in un amore che supera la soglia della morte. Nei nostri momenti di maggiore spensieratezza abbiamo forse pensato che la sofferenza appartenesse ad altri e non a noi, al sicuro all’interno del frutto delle nostre conquiste. E invece ci siamo accorti di quanto il male fosse subdolo, cinico, freddo, un Giuda traditore che spunta imprevisto e manda tutto allo sfacelo.

Anche noi stiamo vivendo la nostra piccola passione. Piccola se paragonata al dolore perfetto del Dio-Uomo che giunge a sudare sangue, ma immensa per le capacità del nostro cuore umano.

Credo che il racconto evangelico della Passione di Gesù ci suggerisca la via strategica per trasformare la morte in vita e così essere in grado di sperimentare quell’imprevedibile commistione di dolore e amore, unico itinerario per non soccombere ai colpi della vita.

I discepoli scappano. Le folle osannanti si disperdono. Pietro rinnega. Giuda tradisce. La vigliaccheria guida le scelte.

Questo è il primo modo attraverso cui vivere i momenti tenebrosi, di prova, di dolore.

Poi c’è Gesù. Vive l’angoscia, anche lui. Farebbe volentieri a meno di quel calice amaro. Sente il peso della solitudine, l’assenza del sostegno dei suoi amici, addormentati al margine del suo dolore.

Potrebbe anche lui scappare, rinnegare se stesso, attenuare le tinte e i toni della sua precedente predicazione.


Sceglie invece la strada del dono, del dono di sé: “La tua volontà, Padre, non la mia”.

Lo ripeterà, ancora, sulla croce: “Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito”

Come a dire: “Non lo trattengo, non faccio resistenza, la mia sicurezza è nel donarmi a te”.

Il vangelo di Matteo ci dice che alla morte di Gesù “i sepolcri si spalancarono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono” (Mt 27,52). È la potenza della discesa agli inferi di Gesù, che già apre e anticipa la Risurrezione. In quel dono totale di sé viene già sconfitta la morte e con essa tutto ciò che porta: disperazione, angoscia, paura.

Sì, perché nell’amore non c’è timore (1Gv 4,18).

La Settimana prosegue con il primo vangelo, Lunedì Santo, che riprende il gesto di Maria, sorella di Lazzaro e Marta, che spreca un quantitativo ingente di costoso olio di nardo (Gv 12, 1-11)


Giuda si ribella, primo della lunga schiera di coloro che si indignano per tenere in vita la propria ipocrita menzogna, più che per passione di carità. Avrebbe voluto venderlo e dare il ricavato ai poveri (dopo chiaramente aver rubato una somma per sé); meglio ai poveri che sprecato sui piedi di Gesù.

Ma il Maestro risponde: “Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura”.

Perché conservare? Come può restare ciò che viene usato, versato, sprecato?

Ritorniamo a ciò che abbiamo detto poco sopra: se vuoi sperimentare qualcosa che resta, che non soccombe davanti ai colpi della vita, mettiti in donazione!

Spreca, non chiedere indietro nulla, sii generoso, abbondante nel dono di te e lontano dall’egoismo.

Non pensare a metterti al sicuro da solo. Non fare calcoli per garantirti la tua quota benessere, svendendo le tue amicizie, le tue relazioni.

Se c’è una cosa di cui aver paura veramente, è del tuo egoismo.

Sappiamo com’è finita con Giuda…

Credo allora che la Settimana che si è aperta possa essere un tempo di Santità perché ancora una volta abbiamo la possibilità di lasciarci coinvolgere dallo sconfinato dono di Dio per ognuno di noi. Sarà Lui, la contemplazione di Lui, immolato sulla croce per amore, a donarci la forza che umanamente non abbiamo.


Sarà Lui, il Santo, a renderci santi.
Non chiudiamo il cuore, continuiamo ad aprirlo.

Nell’ultima Messa celebrata assieme prima del lockdown, domenica 8 marzo, lo Spirito mi aveva messo nel cuore di suggerirvi di impegnarci tutti nel dare seguito alla “creatività dell’amore”. Il cristiano è tale perché non pone limiti alle strade con cui dare concretezza al Comandamento dell’Amore del suo Maestro e Signore.

Questo è il tempo in cui impegnarsi al massimo. E tra qualche giorno sarà veramente Pasqua: forse avremo i segni della Passione sui nostri corpi e ancor più nelle nostre anime. Ma la Vita è e sarà sempre più forte della morte.

Questa è la nostra Fede.

Vi ricordo che in questi giorni la chiesa parrocchiale rimarrà aperta come sempre, eccetto che durante le Celebrazioni liturgiche che necessariamente dovremo celebrare a porte chiuse.

Vi chiedo una cortesia: sarebbe bello raggiungere ogni persona con un semplice augurio di Pasqua, ma, come fare? Ho pensato di preparare un breve scritto, che può essere scaricato, stampato e recapitato nelle varie buche delle lettere, secondo il buon cuore e la disponibilità di chi volesse coinvolgersi in quest’abbraccio virtuale a tutta la comunità. Il biglietto può essere scaricato cliccando qui.

Il materiale video prodotto in queste settimane è disponibile nel canale YouTube della Parrocchia di San Giuseppe Cottolengo  (cliccate qui)

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