Bisogna lasciare che i morti seppelliscano i loro morti?Il coronavirus sta facendo sì che molte persone non possano congedarsi da un familiare o un amico defunto come avrebbero fatto in altre circostanze, accompagnandolo al momento della morte e assistendo alla sua sepoltura.
Ci sono sacerdoti che stanno celebrando “funerali espressi” di pochi minuti da soli di fronte alla bara, uno dietro l’altro, senza distinguere condizione, età, fama…
Alcuni riescono a riunire qualche familiare per una celebrazione intima per precauzione, per evitare contagi nell’eccezionale crisi sanitaria che stiamo vivendo.
Le restrizioni imposte alla celebrazione dei funerali in questi giorni della pandemia provocheranno ferite profonde. Quando muore una persona cara, si può provare dolore, rabbia, incomprensione…
A questo si aggiungerà il ricordo di non aver potuto essere lì per l’ultimo addio e la necessità di una celebrazione al di là di un semplice iter amministrativo-sanitario. Perché i riti funebri esistono da sempre come elemento determinante del lutto.
Ma non è mai troppo tardi. Tutti possiamo aiutare i defunti unendoci alla preghiera di intercessione di tutta la Chiesa, ha sottolineato il vescovo ausiliare di Versailles, monsignor Bruno Valentin.
“Onora tuo padre e tua madre”
La Bibbia considera un dovere sacro seppellire i morti, soprattutto i familiari. “Onora tuo padre e tua madre” (Esodo 20, 12) è il quinto comandamento del Decalogo, e San Paolo lo indica come fonte di una promessa: “Onora tuo padre e tua madre (questo è il primo comandamento con promessa) affinché tu sia felice e abbia lunga vita sulla terra” (Efesini 6, 2-3).
Tra le figure bibliche, Tobia è una di quelle che rispettano meglio questo comandamento, al punto da mantenere la sua reputazione di giusto in primo luogo con l’impegno di seppellire i morti, nonostante il divieto del re assiro Sennacherib e la derisione dei suoi vicini, senza esitare a rischiare la propria vita per dare sepoltura a ogni cadavere abbandonato.
La Tradizione della Chiesa ha inscritto in seguito la sepoltura dei morti tra le sette opere di misericordia corporale, parallelamente alla settima delle opere di misericordia spirituali, che consiste nel pregare per i vivi e per i morti.
“Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”
Una voce sembra dissonante, perfino brusca. È quella di Gesù stesso:
“Un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli disse: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti»” (Mt 8, 21-22).
Il padre della Chiesa Origene ha già cercato di gettare luce su questa posizione apparentemente disumana dicendo che “Gesù non impedisce la sepoltura dei morti, ma preferisce chi fa vivere gli uomini”.
Far vivere è più importante che seppellire. Non è quindi necessariamente illegittimo dover rinunciare, se è per proteggere la vita, la salute di tutti.
Il contesto in cui è scritta la parola di Gesù non è principalmente sanitario. Nella versione di Luca dello stesso dialogo, Gesù specifica: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; ma tu va’ ad annunciare il regno di Dio” (Lc 9, 60).
In questo modo, si apre una vita futura: al di là del dovere di seppellire i morti, c’è un orizzonte finale che è quello delle esigenze del Regno.
Ancora più assoluto del dovere di deporre i morti con dignità nella terra è generarli alla vita di Dio. Il fatto che non riusciamo a fare la prima cosa come vorremmo non ci impedisce di provvedere alla seconda, ma come?
Non è mai troppo tardi
In primo luogo, confidando nella maternità della Chiesa: è tutta la Chiesa che è fatta per generare uomini e donne alla vita di Dio. È la sua ragion d’essere, il suo ruolo, nel corso della nostra esistenza.
La simmetria tra i riti del Battesimo e delle esequie ce lo ricorda: il segno dell’acqua, della luce o della croce significa che la Chiesa, pregando per i defunti, li avvicina alla vita eterna, alla quale li ha dati alla luce mediante il Battesimo.
Non è necessario che a un funerale siano presenti molte persone per farlo: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18, 20), ci promette Colui che è il Vivente (cfr. Ap 1, 18).
Questo compito, inoltre, sfugge alle limitazioni del tempo e dello spazio. La comunione dei santi si fa beffe dell’isolamento!
Papa Benedetto XVI ha scritto:
“Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate una con l’altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come nel bene. Così la mia intercessione per l’altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppure dopo la morte. Nell’intreccio dell’essere, il mio ringraziamento a lui, la mia preghiera per lui può significare una piccola tappa della sua purificazione. E con ciò non c’è bisogno di convertire il tempo terreno nel tempo di Dio: nella comunione delle anime viene superato il semplice tempo terreno. Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell’altro né è mai inutile” (Spe salvi, n. 48).
Non è mai troppo tardi: da oggi posso aiutare i defunti: i miei, ma anche tutti quelli a cui non pensa nessuno, unendomi, lì dove sono, alla preghiera di intercessione per loro, che è quella di tutta la Chiesa.
Quando terminerà l’isolamento, ci sarà tempo per riunirsi per portare il loro ricordo al memoriale dell’Eucaristia. Non è mai troppo tardi.
Guarda la Stella
Oggi come ieri, troviamo in Maria un sostegno sicuro per la nostra speranza, sia per noi che remiamo nella tormenta che per i nostri defunti che sono arrivati alla fine del viaggio (Spe salvi, 49):
“Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo « sì » aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)?”