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Guarire il corpo curando l’anima

Jacob van Oost le Jeune, Saint Macaire de Gand venant au secours des pestiférés

©Musée du Louvre

Jacob van Oost il Giovane, San Macario di Gand soccorre gli appestati, Museo del Louvre

Jean-François Thomas s.J. - pubblicato il 02/04/20

Un popolo che non cerca di salvare se non la propria pelle perde prima o poi l’anima, e se non cura l’anima rischia gravemente di non giungere mai a guarigione.

I giorni grami che stiamo vivendo hanno fatto emergere nella mia memoria questa nota che Paul Claudel scrisse nel suo Diario: «Non si deve far sì che i bambini ricevano la religione: bisogna che la contraggano da chi sta loro intorno, così come si contrae la rosolia». Un’epidemia come la presente sarebbe effettivamente salutare, in un momento in cui – scrupoloso unicamente della salute dei corpi – il nostro mondo sembra aver dimenticato l’esistenza dell’anima e la necessità della sua salvezza. Le “autorità” civili, politiche e religiose non sono sempre le migliori voci da ascoltare, per chi si preoccupa anzitutto del fine per cui è stato creato, cioè la gloria di Dio e la vita eterna. È del resto probabile che la poca serietà e buona volontà con cui alcuni nostri concittadini hanno preso le misure di sanitarie atte a proteggere loro stessi e gli altri sia dovuto all’oblio dell’anima. Il tanto funestato nord Italia può rifarsi alla grande figura di san Carlo Borromeo, per sapere come resistere a un’epidemia – combatterla e vincerla per la salute dei corpi e delle anime.


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A che livello si colloca la nostra anima?

Alcuni diranno: «Dio non chiede tanto…» – formula che, secondo Léon Bloy nella sua Exégèse des linux communs, potrebbe essere l’epigrafe a un commento del Codice Civile, aggiungendo:

Sarebbe puerile far osservare che in questa formula, molto più misteriosa di quanto non si creda, tutto il peso cade sulla parola “tanto”, il cui valore astratto è sempre alla mercé di un addentellato facoltativo che non viene mai divulgato. Ciò dipende naturalmente dallo stadio delle anime.

Ognuno, naturalmente, possiede un’anima, anche se ne nega o ne trascura l’esistenza, ma a che stadio si colloca la nostra anima? All’altezza dei piedi e di tutte le attività umane che sono, per la maggior parte, vane e inutili? L’altezza del ventre, con cui perseguiamo incessantemente le sazietà e le soddisfazioni sensuali? L’altezza del cuore, laddove diamo il primato all’esercizio della carità? L’altezza del cervello, se pensiamo che tutto possa essere conosciuto, padroneggiato e risolto dall’intelligenza umana? Per altri, l’anima non è diversa dal fondo del caffè che hanno appena bevuto… e che impedisce loro di fissare lo sguardo sul cielo.




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«L’albero radicato nel cielo»

Simone Weil, in un bel testo intitolato La Personne et le Sacré, redatto poco prima della sua morte (nel 1943) e ispirato al Timeo platonico, scriveva:

Solo la luce che cade continuamente dal cielo fornisce a un albero l’energia che affonda profondamente nella terra le sue possenti radici. In realtà, l’albero è radicato nel cielo.

Ecco quel che ha scordato l’uomo occidentale contemporaneo. Egli crede che la natura sia sua madre laddove non è che sua sorella, creata dal suo medesimo limo per la parola di Colui che regna nei Cieli. L’uomo non è semplicemente figlio della terra: è più radicalmente figlio del cielo: l’ordine naturale non si spiega che mediante l’ordine soprannaturale. Se i due vengono separati l’uno dall’altro, a detrimento dell’ordine soprannaturale, allora l’uomo diventa uno sradicato.


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François Cheng, nel suo L’Anima, ricorda questa verità essenziale senza attingerla dalla Rivelazione di Cristo (e restando purtroppo in una sorta di sincretismo):

L’uomo moderno è quest’essere sintesi di tutto, fiero di non credere ad altro che al proprio potere. Una confusa volontà di potenza lo spinge ad obbedire unicamente ai suoi desiderî, a dominare la natura a suo talento, a non riconoscere alcun riferimento che possa travalicare la sua visione unidimensionale e chiusa. Egli si attribuisce valori definiti da sé stesso. Nel fondo di sé – avendo egli reciso tutti i vincoli che lo avrebbero relegato a una memoria e a una trascendenza – è terribilmente angosciato perché terribilmente solo in seno all’universo vivente. Egli si compiace in una specie di relativismo, che degenera sovente nel cinismo o nel nichilismo.

Quelli che guardano il fondo della tazzina

Interessante constatare la distanza tra il gesto del sindaco di Venezia – inginocchiato in fascia tricolore davanti all’immagine della Santa Vergine nella basilica di Santa Maria della Salute, costruita dopo la terribile epidemia di peste del 1630 – e l’assenza totale di dimensione verticale nei discorsi dei nostri politici [francesi, N.d.R.], che si fanno un punto d’onore nel disprezzare il soprannaturale: c’è chi guarda il cielo e chi guarda il fondo della propria tazzina.




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François Cheng sembra essere folgorato da Simone Weil, e in particolare dal testo de L’Enracinement (1943), sbocco di una visione sui bisogni dell’anima che la filosofa concepisce anzitutto come obbligazioni verso un ordine soprannaturale e verso gli altri, piuttosto che come diritti per sé. In periodo di crisi, sarebbe cosa buona che le obbligazioni prendessero il sopravvento sui diritti, ma ciò non sarà possibile finché l’educazione a monte non abbia inculcato nelle menti questa priorità. Quando coloro che esercitano il potere mostrano in un lungo periodo l’esempio di una dittatura dei loro diritti e dei loro desiderî sul loro dovere di statisti, non c’è da stupirsi che un Paese non sia capace di reagire con fortezza d’animo, vale a dire dispiegando tutte le risorse di tutte le virtù associate alla fortezza. Sarà totalmente inutile assumere pose marziali ed emanare decreti tonitruanti se le parole vengono da sola polvere. Scriveva Simone Weil:

C’è fuori da quest’universo – al di là di quel che le facoltà umane possono percepire – una realtà alla quale corrisponde nel cuore umano l’esigenza di bene totale che si trova in ogni uomo. Da questa realtà deriva tutto ciò che quaggiù è bene. È da lì che procede ogni obbligazione, su di essa è fondata l’obbligazione che impegna ogni uomo verso tutti gli esseri umani senza eccezione.

Quest’obbligazione è quella di soddisfare ai bisogni terreni dell’anima e del corpo di ogni essere umano fintanto che ciò sia possibile […]. I bisogni di un essere umano sono sacri […]. Si tratta sempre di bisogni terreni, perché l’uomo non può soddisfare che quelli: si tratta di bisogni dell’anima e di bisogni del corpo. L’anima ha dei bisogni e, quando non sono soddisfatti, essa è in uno stato analogo a quello di un corpo affamato o mutilato.


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Nessuno è al riparo dalle esigenze dell’anima

L’anima umana ha bisogno di verità e di onore. Un regime politico incapace di rispondere a questa fame o, peggio, che opera in tutto mediante surrogati posticci e ingannevoli, mette in gioco la propria legittimità e, perlomeno, la propria autorità. Tutto quel che non aiuta il progresso dell’anima dev’essere considerato nefasto, prodotto dai demonî (i quali sono incapaci di creare e che possono solo sporcare, abbrutire e distruggere). Gli accenti dell’Epistola agli Ebrei ci richiamano al nostro dovere sottolineando quanto Dio ci conosca fin nel minimo dettaglio e nel più oscuro interstizio:

La parola di Dio è viva, efficace, più penetrante di una spada a doppio taglio: essa giunge fino al punto di distinzione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e discerne i pensieri e le intenzioni del cuore.

Eb 4,12

Sarebbe pretenzioso e stupido illudersi di potercisi svincolare da questa situazione sottraendoci alle esigenze dell’anima, tanto disturbante proprio perché essa non cessa di sollevare la nostra coscienza (buona o cattiva che sia). Georges Bernanos annota in L’Imposture:

Sfortunatamente, e a maggior scandalo della Bestia materialista, non è cosa buona – né sicura – credersi assolutamente al riparo, nel proprio sacco di pelle, dalle esigenze dell’anima.

La sola salvaguardia del sacco di pelle, certo normale e legittima, non basta. Un popolo che cerca di salvarsi solo la pelle finisce prima o poi per perdere l’anima. Non bisogna correre il rischio di attendere troppo per scoprirsi un’anima, per prendersene cura, accudirla e dirigerla verso Colui che ne è l’origine e il fine. L’anima dev’essere alta ed estesa, capace di abbracciare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, di accogliere molteplici universi senza che alcuno vi si senta stratto. Ignorare l’anima condanna a inaridirsi e a vivere un’esistenza grigia fatta di giorni pieni di tante cose futili. Santa Ildegarda di Bingen mostra quanto l’azione dell’anima sia essenziale sia al corpo sia allo spirito, laddove scrive che «il corpo è il cantiere dell’anima in cui lo spirito viene a esibire i suoi registri» – essendo l’anima una realtà sinfonica.


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Dimenticare l’anima non può che esporre al peggio il corpo, in tempo di epidemia e di prova. L’uomo non è che polvere: la polvere che egli è può vivere solo per l’anima.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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