E perché dice che molti saranno lasciati fuori? Cosa vuol dire Gesù quando dice che dobbiamo passare per la porta stretta? E perché dice che molti saranno lasciati fuori?
Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura
Il detto di Gesù a cui il lettore fa riferimento ha una doppia ricorrenza nei vangeli di Matteo e di Luca. In quest’ultimo si trova nella sezione del viaggio di Gesù verso la sua passione: il Signore «passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,22-30).
All’interno del vangelo secondo Matteo il detto di Gesù sulla «porta stretta» si trova alla fine del discorso della montagna, il primo dei cinque discorsi di quel Vangelo: «entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano! Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,13-23).
Nel caso di Luca, il detto di Gesù è originato dalla domanda di uno sconosciuto. Questa domanda ha da sempre avuto il suo fascino, perché lascia sottintendere che alcuni sono convinti di essere compresi – essi soli, e probabilmente anche i loro amici! – nel numero degli eletti. E così escludono gli altri. Gesù parla di una «porta stretta» (Lc 13,24) attraverso la quale bisogna «lottare» per entrare. Così, non ci sarà nessuna preferenza, nessun diritto acquisito, nessun privilegio da vantare («abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza»): hanno sì ascoltato Gesù («tu hai insegnato nelle nostre piazze»), ma non si accenna a qualcuno che abbia voluto diventare suo discepolo.
Nel vangelo di Matteo si va addirittura oltre, fino alla pretesa di accampare diritti in nome di un falso apostolato, i cui esiti si percepiscono dai frutti: «ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti, dunque, li riconoscerete» (Mt 7,17-18). Pertanto, vengono esclusi anche quanti dicono: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?» (Mt 7,22). Questi tali sono rimasti sulla soglia dell’insegnamento di Gesù, ma non si sono impegnati in maniera reale al suo servizio.
Quindi non basta voler entrare per passare attraverso la porta, né tantomeno c’è da superare una calca: la lotta cui si fa riferimento è la stessa che il Signore ha affrontato nella sua passione (Lc 24,44: «entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra»), oppure – così il vangelo di Matteo – le «tribolazioni» e le persecuzioni che riempiono il cammino dei discepoli. La salvezza, dunque, si conquista con la perseveranza. Certo, è significativo che se l’evangelista Matteo (vedi avanti) usa l’immagine della «porta della città», che, una volta chiusa, lascia accanto a sé un passaggio attraverso cui si accede uno alla volta, Luca parla invece della semplice «porta di casa», che viene chiusa con una catena. Matteo, in aggiunta, sull’immagine suggerita dalle antiche scritture, oppone alla «porta stretta», la «porta larga» e la «via spaziosa… che conduce alla perdizione» (Mt 7,14). Una sola porta e ben due porte, per lo stesso insegnamento del Signore.
Perciò «pochi sono quelli che trovano» la strada per la «vita» (Mt 7,14), o, detto in altro modo, «molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22,14). E qui scaturisce un’altra conseguenza: in Luca, diversamente da Matteo, l’accogliere gli ultimi ospiti che possono entrare per la porta fa seguito all’esclusione dei primi che cercavano di entrare. Se Matteo parlerà solo di oriente e occidente (Mt 8,11: «io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli»), in riferimento ai luoghi dell’esilio a Babilonia e della schiavitù dell’Egitto, Luca parla dei quattro angoli della terra (Lc 13,29: «da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno»), da cui tutte le nazioni affluiranno alla porta del regno. Proprio per questo, anche se alcuni arriveranno per ultimi alla porta, diventeranno primi, al posto di coloro che accampano privilegi inconsistenti.
Così in ogni maniera l’annuncio evangelico è sempre aperto alla speranza. D’altronde, nel vangelo di Giovanni Gesù dice proprio di sé stesso: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). E proprio Gesù, in qualche modo è entrato nella porta stretta della passione.