Mentre viviamo ancora i drammatici giorni del coronavirus, ci viene spontaneo chiederci: Come è possibile intravedere la luce in questa notte? Quali occhi servono per “vedere” ciò che sta accadendo attorno a noi e l’opera di Dio che si manifesta anche in questo momento della storia?
Il protagonista del Vangelo della IV domenica di Quaresima è un cieco nato, che va incontro a Gesù, accogliendolo lentamente e progressivamente come la luce del mondo. È un racconto narrato con tanti particolari, capace di illuminare il nostro itinerario interiore e spirituale, specialmente ora: cosa può dirci questo cieco nato e la sua storia del passaggio dalle tenebre alla luce in tempo di coronavirus?
Anzitutto, l’inizio del Vangelo è affidato a una domanda antica, che da sempre scava nella carne del cuore dell’uomo e brucia come una ferita sanguinante: come mai quest’uomo è cieco? Ha peccato lui o i suoi genitori? Ecco un interrogativo tragico che si leva dalle situazioni più dolorose e ingiuste: perché il male? Perché questa sofferenza ingiusta? Cosa ho fatto di male per meritare tutto questo? La risposta del Vangelo è straordinariamente rivoluzionaria e sovverte la concezione della religione arcaica, di quelle pagane e – diciamolo – anche del nostro modo di pensare: se c’è un male o una sofferenza non deve esserci necessariamente una colpa collegata. Non è “Dio che me la fa pagare” perché “me lo merito”. Questa immagine di Dio è una vera e propria bestemmia. Gesù offre una risposta nuova: non ha peccato né lui e né i genitori. La sofferenza non è mai un castigo di Dio. Anzi, è luogo in cui Dio manifesta la sua compassione e in cui opera per restituirci alla vita.
Il Vangelo ci fa vedere, poi, che il cieco fa un cammino progressivo che corrisponde al nostro cammino spirituale, dalle tenebre alla luce; egli riacquista la vista solo man mano che riconosce sempre meglio Gesù come Colui che Dio ha mandato. La guarigione fisica degli occhi è preceduta dalla guarigione interiore. Proprio il cieco, allora, ci insegna come si riconquista la vista: si tratta di un cammino lento e progressivo, che include anche situazioni di conflitto come quelle che egli ha dovuto affrontare quando i farisei lo interrogarono sul come e sul perché fosse guarito.
Infine, sullo sfondo di questa racconto di guarigione, Giovanni colloca, polemicamente e ironicamente i farisei. Proprio loro, uomini religiosi e rappresentanti del Sinedrio, nell’interpretare l’accaduto, non riescono a vedere cosa è successo davvero. Essi rimangono fermi, rigidi e irremovibili. La constatazione amara di Gesù sul finale è un grande insegnamento per noi: ci sono ciechi che riescono a vedere e persone che credono presuntuosamente di vedere e sapere tutto…e sono cieche!
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L’incontro di Gesù con il cieco nato, in tempi di coronavirus, ci insegna tre cose: la presenza di Dio nella sofferenza, il coraggio di camminare nella notte oscura, la speranza della luce ogni oltre cecità. Guardando alla storia del cieco nato e a tutti coloro che sono segnati dalla malattia, della sofferenza, da situazioni di oscurità interiore e di angoscia come lo siamo un po’ tutti nel tempo del coronavirus, possiamo anzitutto imparare a vedere dove sta davvero e cosa significa la presenza di Dio nella nostra sofferenza. Nelle situazioni di dolore, generalmente noi non vediamo Dio o, se lo vediamo, pensiamo di aver meritato da lui questo o quell’altro castigo. Dunque, siamo ciechi. Abbiamo bisogno di aprire gli occhi sulla realtà di Dio e Gesù lo fa annunciandoci che Dio non è un sadico signore che si diverte a inviare croci, malattie e virus; se qualche volta abbiamo pensato questo, anche in questi giorni, ci siamo sbagliati su Dio.
Gesù non si interroga sulle colpe di quest’uomo, ma si preoccupa di dire che la sua cecità è luogo in cui Dio manifesta la Sua opera, cioè riportarci dalla cecità alla luce. Scriveva il Cardinal Martini “Notiamo che Gesù evita di rispondere quanto alle cause. Gesù ha detto: «Né lui né i suoi genitori», Gesù non entra nella causa, ma Gesù sposta tutto il ragionamento sul fine. Che cosa ha da venir fuori da questo? Che cosa ha da nascere? Quale disegno di Dio ha da manifestarsi?”. Sono domande che possono aiutare anche noi in questo momento di prova: cosa ne verrà fuori? Come saremo cambiati? Cosa prepara il Signore pur dentro questa tempesta che ora viviamo?
Il cieco nato ci insegna anche la pazienza di camminare nella notte oscura. Questo racconto del vangelo, infatti, ci fa vedere che la guarigione dalla cecità e un cammino progressivo, lungo, talvolta conflittuale; prima si confronta con Gesù, poi – pur essendo cieco – si affida a Lui facendosi spalmare il fango sugli occhi, poi deve andare a lavarsi in piscina; poi, deve affrontare un severo interrogativo davanti alle autorità religiose (che, ricordiamolo, dovevano certificare e attestare una guarigione), e anche subire una certa indifferenza da parte dei genitori che, per timore, “lo scaricano”. Ecco, anche questo nostro difficile momento di prova è così: esige la pazienza del camminare, la responsabilità di tutti, la fatica quotidiana di fare dei sacrifici senza vedere risultati immediati, il coraggio di resistere. Si esce dalla notte oscura facendo un passo per volta, gradualmente.
Infine, il cieco nato ci insegna a coltivare la speranza della luce oltre ogni cecità. Nella speranza di guarire in fretta, dinanzi a un Gesù che predica, compie gesti col fango, lo manda in piscina a lavarsi, avrebbe potuto semplicemente dire: “Non c’è niente da fare, non guarirò mai, è troppo difficile”.
Avrebbe potuto stancarsi, ripiegarsi su se stesso, restare prigioniero del lamento, cadere in preda alla rassegnazione e allo sconforto. E, invece, si fida e si affida. Ci spera e ci creda. E, alla fine, davanti a Gesù dice: io credo. Ecco, per tutti i momenti in cui in questi giorni ci sentiremo stanchi, scoraggiati, angosciati, timorosi che questa lunga notte non finisca, guardiamo a questo cieco nato e camminiamo con lui nella fiducia. Tanti medici, infermieri e operatori sanitari stanno offrendo la vita per noi; le nostre istituzioni politiche stanno affrontando una situazione drammatica con attenzione costante; la Chiesa ci resta vicina in molti modi. Dio è con noi e, in Gesù, si è fatto luce del mondo. Oltre ogni cecità.
Grazie fratello cieco, perché in tempo di oscurità ci ricordi l’importanza e il valore della luce.
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Francesco Cosentino, sacerdote calabrese, è docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana e officiale della Congregazione per il clero. Tra le sue pubblicazioni recenti: Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo (Cittadella, 2010); Il Dio in cammino. La rivelazione di Dio tra dono e chiamata (Tau, 2011); Sui sentieri di Dio. Mappe della nuova evangelizzazione (San Paolo, 2012); Incredulità (Cittadella, 2017).