Da totalizzante a svuotato, dal pater familias al “mammo” confuso e alla ricerca di senso. Da dove vengono i papà? E soprattutto, da dove ricominciare per riappropriarsi del vero ruolo che appartiene loro?di Marco Scarmagnani
Ci sono almeno un paio di ragionamenti, curiosi e po’ provocatori, che possiamo lanciare in apertura di questo pezzo sulla festa del papà, che come ogni anno si celebra il 19 marzo.
Il primo riguarda il fatto che il papà viene festeggiato nel giorno di San Giuseppe che – giustamente agli onori degli altari – ha pur vissuto un’esperienza di paternità piuttosto originale. È vero, è stato il primo esempio celebre di padre affidatario, ma nei vangeli di lui si parla veramente poco: qualche accenno all’inizio e poi… silenzio.
Il secondo è che in parecchie parti d’Italia “fare la festa” significa “far fuori, eliminare”, ed è precisamente quello che è successo negli ultimi due millenni. Vediamo come.
La complessa storia del padre
Moltissimi studi sociologici e psicologici hanno cercato di capire le linee di trasformazione di una figura che oggi pare in inarrestabile declino. Una lettura interessante è quella di Maurizio Quilici – fondatore dell’Istituto di Studi sulla Paternità – che ha raccolto e messo in ordine l’evoluzione storica del papà in un testo di una decina d’anni fa: “Storia della Paternità. Dal pater familias al mammo”.
Una parabola che – partendo dalla “scoperta della paternità”, visto che prima di sei, settemila anni fa era sconosciuto il legame tra l’atto sessuale e la procreazione – ha toccato l’apice nella figura del pater familias romano: un padre importante, imponente, che riuniva in sé forza e potere, in casa e nella società.
Da quel momento accadono eventi storici di ampia portata: primo fra tutti l’ascesa del cristianesimo, che da una parte ha rinforzato l’importanza del padre (Dio Padre, i padri della Chiesa, abate, padre spirituale, fino allo stesso Papa, sono termini che si rifanno alla paternità), ma dall’altro – si pensi all’episodio nel quale San Francesco restituisce gli abiti al padre – gli ha sottratto l’esclusivo controllo sui figli poiché questi dovevano affidarsi ad un Padre ben più in alto; contemporaneamente avviene la graduale dissoluzione dell’impero romano con la conseguente caduta del pater familias; fino alla rivoluzione francese che “ha tagliato la testa a tutti i padri di famiglia, non ci sono più che individui” ha acutamente rilevato Honoré de Balzac. Si arriva al ‘900, secolo nel quale la figura del padre era fiaccata, già prima dell’avvento del femminismo.
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E ci si mettono i due conflitti mondiali che hanno strappato un gran numero di padri alle famiglie, lasciando a casa mogli e figli, per lunghi anni. Loro si sono adattati a far senza l’apporto dei padri che, una volta tornati, traumatizzati, spesso non sono riusciti a trovare una collocazione negli spazi relazionali familiari. Ci si mettono le rivoluzioni industriali, con i padri alienati fisicamente dalla vita di casa, dovendo uscire prima dell’alba, e tornare a tarda sera. E nel frattempo qualcosa accade a livello culturale.
In particolare – sempre nella lettura di Quilici – Freud il “padre” della psicoanalisi, da una parte ha riproposto un modello simile al pater familias: un padre che in fin dei conti ancora portava ordine, regole, decoro, educazione. Ma dall’altra avrebbe minato alla base l’autostima dei padri, come ha ad esempio ipotizzato il filosofo Bertrand Russel:
La psicoanalisi ha inculcato nei genitori della classe istruita il terrore del male che possono inconsciamente fare ai loro figli. […] La paternità, che un tempo era un trionfante esercizio del potere, è diventata timida, ansiosa e piena di scrupoli.
Le teorie di Winnicot, Bowlby, Harlow, Spitz hanno enfatizzato il ruolo della madre affidando al padre quasi esclusivamente funzioni indirette. Il femminismo e il ‘68 – all’insegna della rivolta contro i padri e contro tutto ciò che li rappresentava – hanno fatto il resto.
Il padre assente, o mostro
Ne è uscita una figura distanziata dalla casa e dai figli, incapace di prendere decisioni forti e di essere guida autorevole.
Un danno non tanto o solo per i padri, ma soprattutto per i figli, perché una “società senza padri”, per dirla alla Mitscherlich che ne fu il primo teorizzatore, genera dei surrogati di padre, o dei mostri. C’è chi si è spinto oltre ed ha visto nell’ascesa della personalità autoritaria dagli anni trenta agli anni cinquanta, un effetto collaterale della decadenza della figura paterna.
Chi divora i padri finisce per generare dei padri molto più mostruosi, che pretendono obbedienza fino alla morte,
ha scritto Pietro Citati riferendosi ai totalitarismi.
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Il padre: sono possibili nuovi scenari?
Una dissoluzione inarrestabile quindi? No, Quilici propone di vedere al termine di questo percorso, ai tempi nostri, anche una grande opportunità: quella di un nuovo modello di padre.
Non è semplice, perché in tempi recenti, ad un padre duro ed ingombrante, spesso si è reagito con un padre debole, femminilizzato e assente. È ora di tirare le somme e di fare la prima, «l’unica vera trasformazione» e approdare ad una paternità più equilibrata, che tenga conto del passato e anche del futuro.
Cari papà, la strada che abbiamo davanti è misteriosa ma affascinante.
Sono convinto – spiega Quilici – che i padri usciranno dal guado e costruiranno la loro nuova fisionomia. Certo si può auspicare che sia un modello equilibrato: non più autoritario ma autorevole, non brusco ma fermo, non permissivo ma paziente, non sdolcinato ma dolce. Il tutto senza abdicare alle funzioni che sono pure del padre, prima fra tutte quella del limite, del contenimento, della regola.
Difficile, perché i modelli di riferimento in questa fase di transizione non sono ancora ben definiti.
Ma non impossibile. La forza, la perseveranza e lo spirito di sacrificio che hanno accompagnato i padri – nonostante tutto – nel corso della storia, rimangono vivi come tesoro prezioso nella profondità dell’animo di ogni uomo.
Auguri papà, con tutto il cuore!
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