Lettera di una mamma e insegnante alle prese con la vita domestica e la didattica on line: abbiamo l'occasione di uno sguardo nuovo tra noi, è il momento delle iniziative libere, fuori dagli schemi dei voti.
Di Roberta Peretti, da Reggio Emilia
Cari amici,
provo a raccontarvi come sto vivendo questi giorni di isolamento.
In questo momento penso che scegliere di ridurre al minimo le possibilità di contagio sia un gesto che tutela l’interesse comune e per questo diventa segno dell’unità: non c’entrano la paura, il carattere, le abitudini; è una scelta: possiamo scegliere il bene di tutti a discapito del nostro immediato bisogno personale.
In questi giorni mi sono trovata tra le mani un grande tesoro che il modo di vivere frenetico che scandisce il nostro tempo mi aveva fatto sfuggire.
I miei figli, le loro belle persone, che, per grazia di Dio, almeno in questo momento, non sono legate alla loro prestazione (scolastica, sportiva, di socializzazione).
Sapevo anche prima che non dovevo misurarli, ma finivo per farlo, immancabilmente: quando i compiti non erano svolti in modo preciso, quando ci mettevano un sacco a prepararsi e mi facevano arrivare in ritardo da qualche parte, quando non corrispondevano al mio ideale di efficienza. I bimbi si sono sentiti molto a loro agio a casa, soprattutto Ryan (in affido da poco più di un anno), che mi ha detto più volte “sto proprio bene qui”, ma anche Yasmin e Mauro che sentono la mancanza di amici e maestri, ma che per la prima volta hanno trovato tra loro interessi comuni e complicità: i primi giorni il tutto è iniziato come una vacanza, si dormiva fino a tardi e ci dilettavamo nella preparazione di cibi fatti in casa, poi i ragazzi (3, 9 e 10 anni), quando hanno visto che il mio impegno per la scuola aumentava (molto al di sopra del mio normale orario di lavoro), si sono attivati nelle piccole faccende di casa (Mauro ha fatto la doccia a Ryan e lo ha vestito, Yasmin ha sistemato la camera, per la cucina si sono dati i turni).