Dalla distanza che ci fa sentire soli in quell’orto di ulivi, al lavarsi le mani da germi e paura, fino all’essere il Cireneo di qualche sconosciuto: mai come quest’anno arriveremo in cima al Golgota stanchi e svuotati. Mai come quest’anno la nostra Pasqua somiglia tanto alla Sua.Quarantena o Quaresima? Mai avrei pensato di trovarmi a vivere la prima, ma neppure che, in fondo, viverla proprio in Quaresima, mi avrebbe dato modo di sentirmi tanto vicina a Lui.
Solitudine
Anche duemila anni fa cominciò tutto con la solitudine. Un deserto cercato in un orto di ulivi per restare solo con quel Padre che pareva non rispondere alla paura. Ma anche un deserto fatto di lontananza fisica dalle persone care che proprio nel momento del bisogno si addormentarono lasciandolo solo. E oggi, che mi è chiesto di non vedere i miei nonni, i familiari stretti se non per necessità, gli amici che ero abituata a incontrare almeno una volta a settimana, ecco, il deserto si sente più che mai. È reale come il Suo. Le assenze pesano, quella piccola distanza di un metro sembra un baratro.
Anche Lui aveva domande, aveva paura del futuro, ma l’unica cosa che in quella solitudine poteva dire era quel fiducioso “sia fatta la Tua volontà”.
Lavare l’anima
Ci sono cose che neanche venti secondi di sapone e Amuchina sono in grado di lavare. E mentre sfrego bene le mani, mentre le rendo asettiche e secche per quanto spesso ripeto la cosa, penso che mai come in questa Quaresima, ci siamo trovati di fronte al gesto di quel Pilato. Quanto avrà sfregato per lavare via un peso così grande? Sfreghiamo i palmi uno contro l’altro, per togliere tutte le impurità e anche la paura, quando forse, dovremmo ricordare di congiungerle più spesso, quelle mani, proprio ora, per affidare a Lui la debolezza umana. Per affidarGli chi sta soffrendo, la nostra salute. Per ricordarmi che non si può diventare asettici di fronte al dolore.
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Rinnegare
Non lo conosco: questo Dio che manda pestilenze, non può essere il mio. In questi giorni, molti avranno giurato di non conoscerlo, quel Dio che non può volere questa croce per noi e per chi già soffre. E non penso solo al dolore fisico, ma anche alle chiese chiuse, alla lontananza dall’Eucarestia in un momento così forte per noi cattolici. Ci ha diviso la scelta dei vescovi e quella di una Chiesa che molti hanno dichiarato di “non conoscere” preferendo le messe clandestine all’obbedienza chiesta consapevoli della sofferenza, ma per il bene di tutti. Forse, anche se in buona fede, siamo stati un po’ come quel Pietro, lo abbiamo anche noi un po’ rinnegato: questa non è la mia Chiesa, questa non può essere la volontà di Dio.
Portare per gli altri
In questa Quaresima siamo tutti chiamati a essere il Simone di qualcun altro. Qualcuno che non conosciamo proprio come è stato per il Cireneo. Siamo chiamati alla responsabilità per tutelare chi potrebbe non farcela: immunodepressi, cardiopatici, malati…Persone che magari non sono nella nostra famiglia, ma che potremmo incontrare, che potrebbero avere familiari che devono fare la spesa o andare in farmacia. Siamo chiamati a essere responsabili per gli altri. Gli uni per gli altri, anche se ci costa un po’ della nostra libertà. E soprattutto, siamo chiamati a pregare che è l’unica cosa che noi, che non facciamo la differenza nelle corsie degli ospedali pieni, possiamo dare: pregare che tutto finisca, pregare per chi soffre in un letto, pregare per chi ha dovuto chiudere i negozi, pregare perché sappiamo trarre insegnamento anche da questa prova.
Quest’anno più che mai, arriveremo sotto quella croce stanchi, svuotati, con tante domande, tanta fame di quel pane negato. Ma credo che mai come quest’anno saremo pronti ad accogliere e gioire per la risurrezione.
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