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Papa Francesco: pastori vicini al popolo, non sempre le misure drastiche sono buone

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Vatican News - pubblicato il 13/03/20
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Nella Messa a Santa Marta, Francesco prega per i malati ma anche per i pastori perché prendano misure che non lascino da solo il popolo di Dio e lo accompagnino col conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghieraNella quinta Messa in diretta streaming dalla Cappella di Casa Santa Marta, nel giorno del settimo anniversario della sua elezione al soglio pontificio, Francesco invita ancora a pregare per i malati di coronavirus ma in particolare prega per i pastori.

In questi giorni ci uniamo agli ammalati, alle famiglie, che soffrono questa pandemia. E vorrei anche pregare oggi per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore gli dia la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone, per questo preghiamo: perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera.

Il Papa, ovviamente, non si riferisce alle misure prese dal governo per contenere i contagi evitando gli assembramenti pubblici, ma si rivolge ai pastori perché tengano conto delle esigenze dei fedeli che hanno bisogno di essere accompagnati spiritualmente in un momento così drammatico.

Nell’omelia, commentando le letture del giorno, e in particolare la parabola dei vignaioli omicidi, parla della infedeltà all’alleanza di chi si appropria del dono di Dio che è ricchezza, apertura e benedizione, e lo ingabbia in una dottrina (Mt 21, 33-43.45). Di seguito il testo dell’omelia secondo una nostra trascrizione:

Ambedue le letture sono una profezia della Passione del Signore. Giuseppe venduto come schiavo per 20 sicli d’argento, consegnato ai pagani. E la parabola di Gesù, che chiaramente parla simbolicamente dell’uccisione del Figlio. Questa storia di “un uomo che possedeva un terreno, vi piantò una vigna – la cura con cui l’aveva fatto -, la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre – l’aveva fatto bene -. Poi la diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano”.

Questo è il popolo di Dio. Il Signore scelse quel popolo, c’è una elezione di quella gente. È il popolo dell’elezione. Anche c’è una promessa: “Andate avanti. Tu sei il mio popolo”, una promessa fatta ad Abramo. E anche c’è un’alleanza fatta con il popolo nel Sinai. Il popolo deve sempre custodire nella memoria l’elezione che è un popolo eletto, la promessa per guardare avanti con speranza e l’alleanza per vivere ogni giorno la fedeltà. Ma in questa parabola succede che quando arrivò il tempo per raccogliere i frutti questa gente si era dimenticata che non erano i padroni: “I contadini presero i servi, uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Poi mandò altri servi, più numerosi ma lo trattarono allo stesso modo”. Certamente Gesù fa vedere qui – sta parlando ai dottori della legge – come i dottori della legge hanno trattato i profeti. “Da ultimo mandò loro il proprio figlio”, pensando che avrebbero avuto rispetto per il proprio figlio.  “Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: ‘Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!’”.

Hanno rubato l’eredità, che era un’altra. Una storia di infedeltà, di infedeltà alla elezione, di infedeltà alla promessa, di infedeltà all’alleanza, che è un dono. L’elezione, la promessa e l’alleanza sono un dono di Dio. Infedeltà al dono di Dio. Non capire che era un dono e prenderlo come proprietà. Questa gente si è appropriata del dono e hanno tolto questo essere dono per trasformarlo in proprietà “mia”. E il dono che è ricchezza, è apertura, è benedizione, è stato chiuso, ingabbiato in una dottrina di leggi, tante. È stato ideologizzato. E così il dono ha perso la sua natura di dono, è finito in una ideologia. Soprattutto in un’ideologia moralistica piena di precetti, anche ridicola perché scende alla casistica per ogni cosa. Si sono appropriati del dono.

Questo è il grande peccato. È il peccato di dimenticare che Dio si è fatto dono lui stesso per noi, che Dio ci ha dato questo come dono e, dimenticando questo, diventare padroni. E la promessa non è già promessa, l’elezione non è già elezione: ”L’alleanza va interpretata secondo il mio parere, ideologizzata”. Qui, in questo atteggiamento, io vedo forse l’inizio, nel Vangelo, del clericalismo, che è una perversione, che rinnega sempre l’elezione gratuita di Dio, l’alleanza gratuita di Dio, la promessa gratuita di Dio. Dimentica la gratuità della rivelazione, dimentica che Dio si è manifestato come dono, si è fatto dono per noi e noi dobbiamo darlo, farlo vedere agli altri come dono, non come possesso nostro.

Il clericalismo non è una cosa solo di questi giorni, la rigidità non è una cosa di questi giorni, già al tempo di Gesù c’era. E poi Gesù andrà avanti nella spiegazione delle parabole – questo è il capitolo 21 -, andrà avanti fino ad arrivare al capitolo 23 con la condanna, dove si vede l’ira di Dio contro coloro che prendono il dono come proprietà e riducono la sua ricchezza ai capricci ideologici della loro mente. Chiediamo oggi al Signore la grazia di ricevere il dono come dono e trasmettere il dono come dono non come proprietà, non di un modo settario, di un modo rigido, di un modo “clericalista”.