«Il legame che esiste tra il matrimonio naturale e il sacramento cattolico del matrimonio non va più da sé, al giorno d’oggi»: così ha spiegato in un’intervista padre Serge-Thomas Bonino, decano della Pontificia Università “Angelicum” a Roma.
Riportiamo le dichiarazioni del Segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale, che ha da poco pubblicato un rapporto sulla “Reciprocità tra la fede e i sacramenti nell’economia sacramentale”, nella quale il problema dei matrimonio di battezzati non credenti figura esplicitamente.
Tale rapporto dice del legame tra sacramento e fede. Perché vi siete interessati specificamente al matrimonio delle persone battezzate non credenti?
Il rapporto si era volto a studiare il modo in cui la dimensione sacramentale della fede s’incarna in ogni sacramento. In un primo tempo abbiamo studiato questa dimensione nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, per mostrare come la questione della fede sia centrale in questi sacramenti, ma sottolineando anche i problemi concreti che oggi tale rapporto solleva. La questione del matrimonio è stata il “piatto forte” della nostra riflessione, perché da diversi anni osserviamo che ci sono sempre meno domande di matrimoni in chiesa; e che sempre meno, tra i pochi che ne fanno domanda, sono spinti da motivazioni veramente cristiane. Spesso si tratta infatti di fattori meramente culturali o sociali.
Il matrimonio cattolico perde nella sua sacramentalità?
Il problema è complesso perché la tradizione della Chiesa considera che a partire dal momento in cui una persona è battezzata appartiene a Cristo e non può che sposarsi in Cristo, cioè in chiesa. Di fatto, non si può sperare l’esistenza umana dall’esistenza cristiana. Al contempo, osserviamo che oggi è molto frequente essere “battezzati non credenti”, cosa che fino a poco fa si dava raramente ed era quasi accidentale. Il battesimo è in linea di principio un atto di fede, il matrimonio di una persona battezzata non dovrebbe porre problemi su questo punto.
E allora che valore hanno i matrimoni dei battezzati non credenti?
La questione si pone su due livelli: anzitutto sul piano della celebrazione. Che senso ha una siffatta cerimonia? Non è menzognero chiedere agli sposi di fare dichiarazioni nelle quali non credono? Il secondo piano è più pratico, perché l’assenza di fede può essere un motivo per cui riconoscere (o no) la nullità di un matrimonio.
La fede è assolutamente richiesta per celebrare un matrimonio?
La difficoltà più grande è che nella tradizione cattolica essa non lo è, in senso assoluto, per celebrare un matrimonio. Nel senso che, a partire dal momento in cui due persone (un uomo e una donna, si capisce) desiderano “contrarre un matrimonio naturale”, cioè vivere insieme, nella fedeltà e per sempre, aperti alla vita, e fattivamente contraggono un tale matrimonio, esso diventa un matrimonio sacramentale ed essi ne ricevono gli effetti. Questa difficoltà non può essere aggirata. Non si può dire, ad esempio: «Non hanno la fede, non sanno cosa significa questo matrimonio, quindi il loro matrimonio non è valido». Il matrimonio è valido e vero se c’è contrazione del matrimonio in un’ottica naturale. Resta il fatto che questo modello è in crisi.
In Spagna, constatando il moltiplicarsi dei casi di divorzio, la Conferenza Episcopale chiede di allungare il tempo di preparazione al matrimonio passando da qualche decina di ore obbligatorie a un periodo che va dai due ai tre anni di preparazione. Le sembra una soluzione?
La preparazione è un momento importante, anzitutto perché è un momento di catechesi, ad esempio per ravvivare una fede un po’ smorta. Al contempo, dal punto di vista pastorale, si sa che con delle esigenze troppo forti si rischia di scoraggiare un certo numero di persone. Di fatto, è molto difficile rifiutare a due persone che vogliono unirsi di sposarsi. La soluzione è nelle mani del pastore: spetta a lui cercare una soluzione adatta per ogni coppia di fidanzati.
Opporsi a un matrimonio non è complicato, se si considera che il “matrimonio naturale” implica il sacramento del matrimonio?
La tesi che difendiamo – che poi è quella avanzata da Benedetto XVI – è che ci sia un legame molto forte tra il “matrimonio naturale” e il “sacramento”: ciò fa sì che si consideri che il primo implichi il secondo. Per matrimonio naturale intendiamo una concezione dell’istituzione come iscritta nella natura stessa dell’essere umano, e che si può ravvisare nelle società non-cristiane: essa comprende l’idea del matrimonio indissolubile, aperto alla vita, dono di sé per l’altro eccetera. Dobbiamo considerare che l’idea di un matrimonio naturale abbia ancora un senso quando è totalmente estromessa da una società in cui non c’è fede? Cinquant’anni fa persone non cristiane sapevano che un matrimonio implicava che si stesse parlando di un uomo e di una donna, che la cosa fosse per sempre, che riguardasse l’avere figli e vivere insieme… anche se talvolta non vi si adeguavano praticamente. Nelle nostre società abbondantemente scristianizzate quest’idea di matrimonio è ancora chiara alla nostra mente? Che fare quando l’ottica contemporanea del matrimonio non implica più fin dal principio i presupposti del matrimonio naturale?
Chi rimette in discussione l’idea di un matrimonio naturale, oggi?
Se vogliamo ricondurre il male alla sua radice, siamo obbligati a constatare che il divorzio è stato assimilato nel costume sociale. Si è portati a confondere l’idea del matrimonio “per sempre” col matrimonio “finché ci si ama”. La questione dell’apertura alla vita è altrettanto problematica: la contraccezione è complessivamente accettata e diffusa. E il problema riguarda anche cose più profonde, come il fatto che il matrimonio è fatto anzitutto per donarsi a un altro, e non come il semplice mezzo per una realizzazione personale. Ci sono importanti cambiamenti di mentalità che erodono molto fortemente l’idea di matrimonio naturale. Si deve accettare che le concezioni attualmente in voga della persona umana, e in particolare della coppia, non sono più non soltanto cristiane, ma neppure più lontanamente ispirate al cristianesimo. La laicità di Jules Ferry insegnata a scuola, la “buona morale dei nostri padri”, era perlomeno ispirata dalla morale cristiana. Questo non è più il caso della morale trasmessa in numerose società oggi. Questi sconvolgimenti antropologici inficiano l’idea di un matrimonio naturale come lo propone la Chiesa.
Lei parlava anche di difficoltà pastorali poste dal matrimonio. Quali sono?
Sono informazioni che ci arrivano. Uno dei miei ex alunni mi ha confidato, una volta, di sentirsi abbattuto perché su venti matrimoni che celebrava non ce n’era uno solo in cui le persone non ridessero durante la cerimonia. Questo lo minava interiormente, perché pur volendo perseverare nel servizio reso alle persone che chiedono di contrarre in chiesa la loro unione, egli non intende essere un mero commesso o un funzionario. Da un lato, il prete non può essere un banale doganiere, il cui compito sarebbe verificare la fede dei fidanzati, ma dall’altra egli non può essere indiscriminatamente aperto a tutte le domande, senza valutare se rispettino i principî-base del matrimonio cattolico. Spesso si ha tendenza a separare una pastorale d’élite (per formare cristiani coscienti e militanti) da una pastorale di massa – che si ritrova degradata.
Il quadro da lei dipinto è a tinte fosche: ritiene che sussistano nonostante tutto dei motivi di speranza?
Il miglior alleato di Dio in questa storia resta a mio avviso la natura umana. Un ragazzo e una ragazza – poco importa la cultura in cui si trovano a crescere – ritrovano sempre il desiderio di donarsi, di fare l’uno dell’altro un partner definitivo, la gioia dei figli. Anche quelli che dicono di opporsi a queste idee vengono poi recuperati dalla realtà dell’amore umano. Il fatto di avere figli obbliga ad avere un comportamento adatto, rimettendo in discussione ad esempio un atteggiamento puramente edonistico. La natura umana ha una potenza fortissima che salva l’idea di matrimonio naturale, anche se il legame sacramentale viene oggi fortemente rimesso in discussione.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]