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Il digiuno di Ester, le maschere e i regali. Così Israele celebra il Purim

PURIM FESTA EBRAICA MASCHERE

© David Cohen 156/Shutterstock

Miguel Cuartero Samperi - pubblicato il 09/03/20

«Vista la necessità del momento, in comunione con il Consiglio episcopale, chiedo a tutti i cristiani di Roma di offrire una giornata di preghiera e di digiuno, mercoledì 11 marzo 2020, per invocare da Dio aiuto per la nostra città, per l’Italia e per il mondo»

Con queste parole, in una lettera rivolta a tutti i fedeli della Diocesi di Roma, il cardinale Vicario Angelo de Donatis ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per implorale l’aiuto di Dio di fronte all’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del virus Covid-19. In un successivo passo della lettera, nel chiedere ai fedeli di «mettersi in ginocchio per intercedere per il mondo», il cardinale ha ricordato l’esempio della Regina Ester che intercede per la salvezza del suo popolo con preghiere e digiuni.

Proprio in questo giorni (dal 9 al 10 marzo) Israele celebra la festa di Purim, una festività che cade ogni 14 e 15 del mese di Adar e che ricorda gli eventi narrati nel libro di Ester. Il Meghillà Ester (Rotolo di Ester) è un libro dell’Antico Testamento che racconta come il popolo di Israele riesce a sfuggire all’imminente minaccia di sterminio durante l’esilio in terra persiana.

Alcuni aspetti della festa di Purim li ritroviamo nella nostra Quaresima, in particolare la pratica del digiuno e dell’elemosina per disporre l’anima alla conversione, assieme alla necessità di fare memoriale dell’intervento di Dio nelle nostre vite.

Storia di una salvezza inaspettata

La storia – una trama ben costruita, ricca di dettagli e di capovolgimenti – si svolge nella città di Susa, una delle quattro capitali dell’impero persiano nel 5 secolo prima di Cristo. Amàn, malvagio consigliere del re e secondo in dignità dopo il sovrano, infuriato perché gli ebrei – ed in particolare Mardocheo (Mordekhài), un giudeo in servizio presso la Corte – non riconoscevano la sua autorità, emise un editto col quale si ordinava il totale sterminio tutti gli ebrei del regno. Vennero dunque gettate le sorti (“purim”, plurale di “pur”: sorte) sul giorno in cui la strage sarebbe stata compiuta: la sorte cadde sul tredicesimo giorno di Adàr. La salvezza arriverà grazie al coraggio e la fede della regina Ester, donna ebrea sposata col re Assuero che inizialmente ignora le sue origini giudaiche. Sollecitata suo tutore Mardocheo, la Regina Ester decide di recarsi dal re Assuero per dissuaderlo dal mettere in pratica il terribile disegno. Dopo aver chiesto al suo popolo di digiunare per tre giorni e tre notti e dopo aver compiuto lei stessa il digiuno e implorato l’aiuto di Dio riempiendosi la testa «di ceneri e immondizie» si presentò al cospetto del Re. Nel corso di una banchetto offerto per volere della Regina, Ester denunciò pubblicamente il piano di Amàn per uccidere i giudei e rivelò le sue origini. Il racconto si conclude con l’annullamento del decreto imperiale, la salvezza dei Giudei e la disfatta del malvagio Amàn, impiccato al posto di Mardocheo che prenderà il suo posto come primo ministro del Re Assuero. Il tredici di Adàr, al posto dello sterminio, si consumò la vendetta dei Giudei sui loro nemici, e diventò per loro un «giorno di banchetto, di gioia e di festa» (Est 9,19). Mardocheo ordinò come “impegno inviolabile” che il ricordo di questo giorno fosse perenne, commemorato e celebrato di generazione in generazione in ogni famiglia, in ogni provincia, in ogni città.

Il digiuno di Ester

La risposta di Ester, alla richiesta di Mardocheo di intercedere presso il Re per salvare il suo popolo è chiara: «Digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno; anch’io con le ancelle digiunerò nello stesso modo; dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge e, se dovrò perire, perirò!» (Est 4, 16b). La regina era cosciente che di fronte a un tale pericolo, per lei e per il suo popolo, ogni discorso e ogni lusinga umana sarebbe vana se Dio non fosse intervenuto in loro difesa. È per questo che la festa di Purim inizia con un digiuno il 13 di Adàr (vigilia di Purim). Questo giorno prende il nome di Taanit Ester o “digiuno di Ester”. Il digiuno è la preghiera per eccellenza, è una preghiera che coinvolge il corpo, e con esso tutta la persona che rinuncia al godimento personale e alla sazietà del corpo per restare vigile e sveglio. Israele, nel momento dell’angoscia e del pericolo, si appella alla misericordia di Dio tramite il digiuno e la preghiera.

Così la preghiera di Mosé fu determinante per sconfiggere Amalek (Es 17) prototipo di tutti i nemici di Israele (di cui Assuero è figura oltre che discendente), il primo nemico ad attaccare il popolo ebraico dopo l’uscita dall’Egitto. Per questo, lo Shabbàt prima di Purim, questo brano del Deuteronomio (Deut 25, 17-19) viene letto in ogni Sinagoga. Digiunare vuol dire entrare pienamente nella conversione (teshuvà) , ritornare a Dio, voltarsi verso di lui, per implorare la sua misericordia e il suo aiuto, perché c’è sempre un Amalek pronto a distruggere il giusto.

La festa del Purim oggi: banchetto, regali e doni ai poveri

Oltre al digiuno nel giorno che precede la festa, sono quattro i precetti (mitsvot) che ogni israelita deve osservare a Purim. 1) La lettura del rotolo di Ester. 2) Celebrare con un grande banchetto e bere vino. 3) Fare dei doni agli amici 4) Elargire elemosina ai poveri. Questi precetti sono contenuti nel testo biblico di Ester: «Mardocheo scrisse questi avvenimenti […] per stabilire che ogni anno celebrassero il quattordici e il quindici del mese di Adàr, […] e perché facessero di questi giorni, giorni di banchetto e di gioia, nei quali si mandassero regali scambievolmente e si facessero doni ai poveri» (Est. 9,21-22).

1) In ogni Sinagoga si legge la Meghillà di Ester. Per adempiere alla mitzvah, deve essere letta dal rotolo in pergamena scritto a mano. Durante la lettura è d’uso fare molto rumore ogni volta che viene pronunciato il nome di Amàn. In particolare sono i bambini che, armati di rumorose raganelle, fanno baccano, urlano e battono i piedi per coprire il nome del nemico di Israele. È tanto il fracasso durante la lettura che spesso è impossibile ascoltare il racconto. Il fatto crea non poche perplessità (e fastidio) a chi vorrebbe invece ascoltare con attenzione le gesta di Mardocheo ed Ester. Ma per i rabbini il precetto è osservato anche se nessuno riesce ad ascoltare la storia. L’importante è il memoriale: rileggere la nostra vita e credere che, come Dio ha salvato il suo popolo nella storia, (oggi) salva anche noi che possiamo ricordare e rivivere (memoriale) la nostra salvezza.

2) Il banchetto è uno dei requisiti fondamentali per vivere il Purim. Il prodigioso epilogo della storia che vede il ribaltamento della scena, coi nemici di Israele sconfitti e i giudei glorificati, merita un grande festa. Cibo pregiato (carne di quadrupedi, dolci…) e vino in abbondanza non possono mancare. Sul vino il precetto chiede di esagerare! Fino a confondere le frasi «Sia maledetto Aman» e «Sia benedetto Mardocheo». Secondo alcuni rabbini non è necessario arrivare a ubriacarsi, per alcuni «basta arrivare alla sonnolenza». I maestri più ortodossi bandiscono la sfrenatezza. Ma il vino, segno di vita e di gioia, non deve mancare. Si tratta di un anticipo del banchetto escatologico dei giorni del Messia, della gioia finale per la sconfitta definitiva di Amalek.

3) Lo scambio dei doni è un gesto che crea e risana i rapporti all’interno della comunità in festa. Tutti sono invitati a scambiarsi (teoricamente, secondo il precetto biblico, a “spedirsi a vicenda”) dei doni. Solitamente ci si scambia del cibo o delle bevande (è anche d’uso regalare delle ceste piene di vivande, come quelle che usiamo donare a Natale). Ovviamente cibo rigorosamente Kashér!

4) L’elemosina è un altro precetto per celebrare il Purim. Ogni ebreo dovrà offrire qualcosa secondo le proprie possibilità, a due poveri. Si può donare cibo, vestiti o soldi (una cifra sufficiente per comperare un pasto da consumare a Purim). Solitamente i doni vanno fatti direttamente ai poveri ma per praticità, in tutte le sinagoghe si organizzano raccolte comunitarie da utilizzare dalla comunità per fini assistenziali;

Controversie e curiosità

  • Col passare dei secoli la festa religiosa del Purim si è trasformata in una grande festa di gioia e di satira. È usanza travestirsi, anche durante la funzione al tempio, a ricordo del ribaltamento delle sorti. Secondo una antichissima usanza, gli ebrei indossano dei costumi e coprono le loro facce con delle maschere. La mascherata è una degli aspetti più controversi della festa, anche perché il confine tra umorismo e irriverenza viene facilmente superato. Contro le sue forme eccessive e dissolute che sminuiscono la vera gioia religiosa (nel variegato mondo ebraico c’è anche chi ha voluto trasformare la festa in qualcosa di simile ad un gay pride!), molti rabbini hanno espresso le loro riserve. Ma sappiamo come anche le nostre feste cristiane, come il Natale, siano spesso travisate, svuotate dal suo significato originario e vissute in maniera esteriore, escludendo l’aspetto della spiritualità e della fede.

  • Il dolce tipico della festa di Purim è l’hamantash, biscotti di pasta fritta, a forma triangolare chiamati “orecchie di Haman”, farciti a piacimento con frutta secca, confetture o mela… Sul significato della forma triangolare ci sono diverse teorie, dalle orecchie, al cappello o le tasche di Haman; secondo alcune tradizioni il riferimento è all’organo femminile, per celebrare la gloria di Ester, donna tramite la quale Dio salvò Israele.
  • Il Libro di Ester (nella sua versione ebraica) è uno dei due soli libri biblici che non includono il nome di Dio. L’altro è Il Cantico dei Cantici. Inoltre, nel Libro di Ester manca ogni riferimento al Tempio, alla preghiera o alle pratiche ebraiche come il kashrut [mantenere il kosher].

Per approfondire:Francesco Voltaggio, Alle sorgenti della fede in Terra Santa, vol 1. Le feste ebraiche e il Messia, Cantagalli 2017.

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