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Consigli per coppie felici #8. Dire “hai ragione” non è fare un passo indietro

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My Ocean Production|Shutterstock

Semprenews - pubblicato il 09/03/20

Ci sono cose nella coppia che non vorremmo dire: "hai ragione" è una di queste, spesso. Per abitudine, per paura di diventare quelli "dipendenti", di perdere la nostra autonomia. Invece è creare spazio per l'altro, per quella diversità di pensiero che arricchisce e nutre il nostro rapporto.

di Marco Scarmagnani

«Sì»
«Hai ragione»
«Hai proprio ragione!»
«Ma sai che hai proprio ragione?» (con sorriso luminoso e incoraggiante)
Più eccitante di un sogno erotico potrebbe essere il sogno di ricevere dal partner una tale progressione di assenso.
Un sogno? Sì, perché un altro degli effetti paradossali del matrimonio, della convivenza, della vita di coppia in generale, è quello di entrare in una sorta di regno del torto. Un luogo ostile nel quale pare impossibile aver ragione, ma anche semplicemente essere apprezzati per quello che si dice o si fa. Mentre le critiche e le contestazioni vengono elargite copiosamente, a piene mani.
Nel corso della consulenza di coppia in genere sono gli uomini che lamentano la tendenza giudicante della donna, ma andando un po’ più a fondo spesso si scopre che – magari con modalità differenti – anche loro si sentono “giudicate”, “criticate”, “sotto controllo” o “valutate”.
Al netto dei temperamenti personali infatti, come abbiamo scritto altrove, vige una sorta di pareggio implicito nelle interazioni di coppia e quindi è sensato aspettarsi che la critica, la contestazione, più che appartenere ad uno dei due siano una modalità comunicativa co-costruita.
L’atmosfera all’interno della quale la comunicazione avviene è infatti creata insieme, spesso inconsapevolmente, e diventa un’abitudine, e come tutte le abitudini è molto difficile da modificare.

Ma procediamo per gradi.
Abbiamo sempre sostenuto che la coppia è formata da due individui differenti: ci sono un uomo e una donna innanzitutto, poi ci sono caratteri e temperamenti diversi, una storia alle spalle, esperienze, e poi due famiglie di origine, due stirpi con miti e riti propri. In quanto differenza (di-fero = porto qualcosa d’altro) è salutare e vitale che la crescita avvenga nell’incontro con una persona che è un universo altro-da-sè attraverso il quale, la quale, diventiamo fecondi. La fecondità infatti necessita di una differenza (un gamete maschile e uno femminile), e parallelamente sul piano psichico noi non possiamo che essere fecondi attraverso l’intrecciarsi di pensieri differenti. L’abbiamo trattato ampiamente al punto quarto: abbiamo una specie di sesto senso per innamorarci di chi ci porta un alto grado di differenza, e questa differenza – non neghiamolo – è anche una fatica.

Allora la domanda è: questa differenza è solo fonte di fatica? Di lavorio ed elaborazione continui? Di adattamento? Di pazienza?
La risposta è “fino ad un certo punto”.
Perché se noi sosteniamo – giustamente – che ogni differenza è una ricchezza, poi dovremmo anche essere coerenti e poterlo sperimentare nella relazione più intima che abbiamo.
Altrimenti il rischio è che bevete e vi ubriacate di frasi fatte (l’armonia degli opposti, chi critica sposa, l’amore bello e litigarello, ferita-feritoia), poi andate ad un corso di formazione professionale in cui si incoraggia il pensiero divergente, l’apporto di ogni idea, la curiosità su ogni punto di vista. E poi vi basta andare a casa, e vi cascano le…braccia.




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Ecco allora che il darsi ragione non avviene perché la pensate allo stesso modo, ma perché assumete un atteggiamento positivo, costruttivo, incoraggiante, nei confronti di chi avete a fianco.

Vedo due ostacoli abbastanza comuni nel mettere in atto questo atteggiamento:

La reattanza

E’ quel particolare modo di fare per cui si contesta l’altro “per principio”, “per partito preso”. La reattanza è come certe figure geometriche nei quiz grafici. Non si vede mai, ma dalla prima volta che qualcuno te la fa notare, non riuscirai più a smettere di vederla. Vi siete mai trovati nella condizione di pensare «Se non me lo chiedesse lui/lei magari lo farei»? O «Più insiste più mi passa la voglia»? O ancora «Se me lo chiedesse un’altra persona sarebbe diverso»? Ecco, in quei momenti siete vittime di reattanza. L’età in cui si manifesta in maniera più evidente è l’adolescenza: l’adolescente dice di no per opporsi ai genitori, non perché ha riflettuto se l’oggetto della discussione è per lui giusto o meno. Per quale motivo? Perché è schiavo del bisogno di dimostrare la sua autonomia. Cioé si costruisce da solo un paradosso: se li contesto litigherò, ma se do loro ragione dimostrerò la mia dipendenza. Così tutte le volte che cadiamo nella trappola della reattanza è perché non accettiamo di essere troppo dipendenti dal nostro partner. In realtà, in questo modo ci dimostriamo molto dipendenti. Perché una persona autonoma non ha bisogno sempre di contestare.Valuterà con libertà se e in che misura una proposta è accettabile o meno.

L'avarizia delle carezze

Ferradini docet: «Prendi una donna, dille che l’ami… e poi ti lascerà». Talvolta ci si costruisce nella mente una regola implicita: dare troppa soddisfazione a qualcuno (in questo caso al partner) lo metterebbe in una condizione di forza. Questa regola è ovviamente errata e non ha alcuna correlazione con la realtà, a meno che non vi troviate all’interno di un rapporto con tratti sadici, masochistici, o vittimistici, ma allora la gentilezza non è il vostro problema principale. Usiamo “carezza” nell’accezione che ne dà l’Analisi Transazionale, cioé qualsiasi atto che soddisfi il naturale bisogno di riconoscimento. Talvolta – in corrispondenza dell’avarizia nel dare carezze – si struttura una difficoltà nel riceverle. In questo caso avrete sperimentato che se una persona si schernisce o cambia discorso o si ritira ogni volta che le fate un complimento o le date ragione… semplicemente vi passerà la voglia di farlo.
Allora torniamo all’azione attraverso alcuni semplici accorgimenti che potete usare nella vostra comunicazione di coppia:

  • Non è necessario che dichiariate tutte le volte che siete in disaccordo. Non è obbligatorio dare la propria opinione contraria su ogni punto. Ci sono argomenti in cui è inevitabile, altri in cui è discutibile, altri ancora in cui è semplicemente superfluo. Una regola che applichiamo naturalmente quando siamo al lavoro. Un imperativo se svolgiamo una professione a contatto con le persone, in cui la cura della relazione, della ricerca di ciò che sintonizza e accomuna determinano se il cliente resta con noi o meno. Lo fate col cliente, e poi non lo fate con la moglie, con il marito… perché? Perché al lavoro vi sforzate e invece col partner potete essere spontanei? Bel guadagno questa spontaneità!

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  • Se non siete d’accordo potete tacere. Perché questa ansia di affermare la propria idea, sempre? Qualche volta, se qualcosa non vi convince, potete semplicemente tacere. Tacere in questo contesto non significa “tapparsi la bocca” o “mordersi la lingua”, immagini pessime. Tacere è creare uno spazio perché l’altro, l’altra si esprima. Tacere è ritirarsi e riflettere su quello che ho sentito, e dare al partner la possibilità di fare altrettanto. Non è intrigante questo spazio di silenzio e riflessione?
  • Impegnatevi a darvi ragione. Sì, c’è scritto di “impegnarsi“. Come sempre e linearmente sostenuto in questo lungo articolo. Contestarsi di continuo può diventare una (brutta) abitudine, e per cambiare abitudini non ci sono magie o scorciatoie. Occorre allenarsi, fare pratica: se state affrontando una discussione tranquilla, ci saranno aspetti in cui siete concordi ed altri meno. Sforzatevi di trovare i punti comuni e fateli notare. «È vero!» «Hai ragione» «È proprio così».

Uno spunto per la vostra prossima discussione:
«Secondo me quello che ha scritto Scarmagnani non è corretto»
«Hai ragione!»
Potreste ottenere questo risultato!

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL BLOG SEMPRENEWS

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