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Il toccante discorso di Patch Adams sulla missione dei medici

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cine

Catholic Link - pubblicato il 05/03/20

di Álvaro Díaz

Immagino che molti conoscano il film ispirato alla vita di Patch Adams, il medico statunitense diventato famoso perché praticava una medicina diversa, in cui le risate erano uno degli ingredienti principali. Oggi vorrei condividere un pezzo di questo film, che personalmente adoro e mi ispira molto.

Consiste nel toccante discorso di Adams quando studiava all’università, in cui difendeva il desiderio di laurearsi e di poter esercitare la Medicina, anche se molti dei suoi professori si opponevano perché non si adattava ai paradigmi e agli standard convenzionali.

In definitiva, era in gioco il suo titolo professionale, solo perché era un medico al di fuori degli schemi. Il suo approccio non era affatto contrario all’etica medica o alla morale, piuttosto prendeva molto sul serio quello che è alla base della Medicina ed è da sempre la sua ragion d’essere: l’attenzione alla persona umana, non solo come corpo malato, ma come essere bio-psico-spirituale.

Promuovere la dignità e i diritti dei pazienti

Ci si potrebbe chiedere perché questo medico dovrebbe dare ragioni per esercitare la sua professione quando non sta facendo niente di scorretto. È quello che ci chiediamo quando ci sono professionisti sanitari che devono affrontare opposizioni quando nella loro pratica medica promuovono la dignità e i diritti relativi alla vita dei loro pazienti.

Quando si astengono dal praticare aborto o eutanasia, quando obiettano perché non è nell’essenza della Medicina. Un’altra cosa molto diversa è che oggi questo sembri normale o naturale, perché purtroppo interessi politici o ideologici pretendono di cambiare i valori e i principi che hanno sempre sostenuto questa bella professione. E purtroppo oggi ci sono professionisti sanitari che credono che questa sia la cosa più ragionevole.

Bisognerà inventare una Medicina diversa per cercare il bene?

L’atteggiamento nei confronti di un medico come Adams è contraddittorio anche quando nelle isituzioni sanitarie si promuovono spesso iniziative che cercano l’umanizzazione della Medicina, cosa che in base all’opinione generale ritengo sia assai necessaria.

Ci sono speranze che la Medicina sia più olistica, che non si concentri solo sulla sicenza, che a volte più che aiutare sembra distanziare. Che sia più personalizzata, più centrata sul malato, compreso come un essere umano integrale. Una cosa richiama l’attenzione: perché se è una professione che di per sé è pensata per il benessere delle persone ed è sempre stata una vocazione di servizio si dovrebbe umanizzare?

La Medicina ha forse perso un po’ della sua natura? Ci si dovrà inventare una Medicina diversa per cercare un bene maggiore per i malati? Cos’è accaduto alla pratica medica se oggi richiede più compassione, più rispetto della dignità?

Ci sono sicuramente molti fenomeni storici, culturali e filosofici che hanno avuto un impatto sull’azione medica, e vari aspetti hanno portato un gran bene alla salute e a chi soffre, come le scoperte scientifiche, la professionalizzazione e le specializzazioni.

È anche chiaro che molte di queste trasformazioni hanno contribuito ad alcuni atteggiamenti che oggi vengono rifiutati: la depersonalizzazione, la frammentazione e la riduzione dell’essere umano, la divinizzazione della scienza, il pragmatismo e il sottolineare l’efficienza a scapito della dignità della persona malata, l’indifferenza e la mancanza di comprensione nei confronti di chi soffre.

Perché ci sono tanti cuori induriti nell’ambito della Medicina?

Per sapere come rispondere a queste sfide culturali e a questa realtà, è importante approfondire e scoprire cos’ha portato a far sì che i cuori non vibrino più tanto e non abbiano atteggiamenti più comprensivi nei confronti di chi soffre. Cos’ha portato ad avere tanti cuori induriti di fronte alla sofferenza dei malati? Quali sono i motivi per i quali la cultura dell’indifferenza e la routine impregnano tanto la pratica di una professione di servizio e di generosità piena di abnegazione come la Medicina?

Mi sembra che fare memoria possa aiutarci a riscattare dalla storia della Medicina le basi e l’essenza del come e perché è nata questa professione. Da sempre c’è stato qualcosa di essenziale, l’incontro di due realtà personali: una persona con una malattia che cerca aiuto per guarire e un’altra mossa dal desiderio di aiutare e servire, con la capacità di farlo.

Questo rapporto di aiuto e di servizio è stato sostenuto dalla carità, dalla comprensione e dal rispetto. Incoraggerei a continuare a promuovere questo proposito di umanizzare la Medicina, aggiungendo che penso che questo si verificherà non solo quando cambieranno le strutture, i sistemi sanitari e le politiche, ma quando cambieranno i cuori dei professionisti sanitari, quando saranno meno induriti e indifferenti e saranno più compassionevoli.

Servire con vero amore

La trasformazione che vogliamo vedere nella Medicina si verificherà quando i nostri cuori si trasformeranno e vivremo un servizio con amore, riconoscendo in chi soffre una persona integra, degna, preziosa, a esempio del Signore Gesà, buon samaritano.

È quello che ci incoraggia a fare anche Papa Francesco quando ci dice: “Quanto vorrei che, come cristiani, fossimo capaci di stare accanto ai malati alla maniera di Gesù, con il silenzio, con una carezza, con la preghiera!”

Se viviamo la nostra identità e missione medica con questo amore, credo che sarà il contributo più grande che noi medici potremo offrire per costruire un mondo migliore e più umano. Come ha detto San Giovanni Paolo II a un gruppo di medici, “come medici, poi, cioè come servitori della vita, trovate nell’esercizio della vostra professione un’occasione privilegiata per contribuire all’edificazione di un mondo sempre più rispondente alla dignità dell’essere umano”.

L’identità e la missione del medico

Vorrei concludere condividere con voi questa frase di un medico spagnolo sull’essenza dell’identità e della missione del medico:

“Se essere medico è donare la vita alla missione scelta… non stancarsi mai di studiare e avere tutti i giorni l’umiltà di imparare la nuova lezione di ogni giorno. È fare dell’ambizione nobiltà, dell’interesse generosità, del tempo opportunità. E della scienza il servizio all’uomo che è figlio di Dio. Quell’amore, infinito amore, per i nostri simili… allora essere medico è l’illusione divina che il dolore sia gioia, la malattia salute e la morte vita” (Gregorio Marañón).

Se siete studenti di Medicina e avete ascoltato il discorso di Patch, vi invito a chiedervi: volete essere medici con tutto il cuore?

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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