di Nory Camargo
Prima di iniziare la terza guerra mondiale, di affrettarci a giudicare, di concentrarci solo sulle cose negative o di scandalizzarci, vorrei ricordare qualcosa. Siamo tutti esseri umani, tutti commettiamo degli errori, tutti proviamo dolore, tutti soffriamo in modi diversi. Tutti ci vergogniamo di qualche aspetto del nostro passato, tutti possiamo pentirci, tutti possiamo chiedere perdono. Siamo tutti fragili.
René Pérez Joglar, più noto come “Residente”, ha lanciato qualche giorno fa una canzone che porta il suo nome. Il testo ha commosso milioni di persone, me compresa. Con questo articolo non pretendo certo di dire che è un santo, né che da questo momento in poi dovete diventare fans di René, ma vorrei chiarire che nonostante tutte le cadute e gli errori che può commettere una celebrità, non è meno umana, meno degna di perdono, di amore, di compassione o di sete di Dio.
Magari potessi ringraziare personalmente René per questo atto di coraggio! Sì, perché serve molto coraggio per spalancare il cuore, non con alcune persone, ma con il mondo intero.
Non tutti sono capaci di condividere il dolore in questo modo, di plasmare in un testo anni di dolore e di solitudine. Quanto sarà costato a René scrivere questa canzone, ricordare quegli atti violenti che hanno cambiato la sua vita per sempre! Quanto dev’essere ferito il suo cuore per aver realizzato in sette minuti un riassunto della sua infanzia, della sua adolescenza, della vita coniugale, della sua carriera artistica e del grido disperato per trovare la pace!
1. Il dolore che ci si trascina
“Quando cado in depressione, racconto i miei problemi al finestrino dell’aereo, lo stress mi fa ammalare…” Sono sicuramente molte le lacrime che René ha versato scrivendo questa canzone. Quanto è facile per tutti puntare il dito, aggrapparsi agli errori del passato, a episodi in cui l’altro non è stato quello che volevamo che fosse!
Quanto è facile essere indifferenti, trattare il prossimo con rancore… Sicuramente molti penseranno “Come mai una pagina cattolica parla di un artista come René? Perché dà spazio a quest’uomo anziché parlare di qualche santo?” E io dico: “Che cuore avete? Non abbiamo tutti lo stesso Padre?”.
Cosa farebbe Gesù con il dolore di René? Rifiuterebbe di consolarlo, lo guarderebbe in modo diverso, si lamenterebbe per il testo della canzone Tango del pecado? Rinfaccerebbe a René la frase della sua nota canzone Muerte en Hawaii che dice “Non ho bisogno di benedizioni perché ho sempre fortuna”?
Ma è questo che faremmo noi, no? Perché ci si è indurito il cuore, perché abbiamo dimenticato che anche poi possiamo commettere errori enormi, perché pensiamo di avere il diritto di vendicarci dell’altro. Quanta compassione ci serve, e quanto coraggio per ammettere che sbagliamo, ma che in fondo vogliamo solo risollevarci!
2. La prova del fatto che la fama e il denaro non bastano per riempire il cuore
Mi sento triste e delusa quando so che le aspirazioni e i sogni della gente puntano solo alle cose materiali. In fondo penso al grande vuoto che una persona deve avere nel cuore, che prova alla fine della giornata, quando una volta finiti gli eventi e le feste torna nella propria stanza e si sente triste e senza obiettivi.
René pronuncia una frase al riguardo che riassume tutto molto bene, soprattutto quando pensiamo che ai famosi non manchi nulla. Quando diciamo “Magari fossi io, magari avessi il suo denaro, magari tutti mi amassero, magari la gente mi riconoscesse quando cammino per strada”.
Nel testo dice “Sono triste e rido, ma sono vuoto. Nell’industria della musica è tutto una menzogna, mio figlio deve mangiare, e allora continuo”. Le parole di René sono anche un forte appello a non tacere quando la tristezza diventa depressione. Quanto è difficile per chiunque accettare di non sentirsi bene, ma può diventare anche più difficile quando apparentemente si ha tutto, si è invidiati da tutto il pianeta e anche così non si ha nulla.
È questo il motivo per il quale la notizia del suicidio di molti personaggi famosi ci lascia freddi, indifferenti, e ci coglie di sorpresa. Ricordo che quando è morto Robin Williams tutti dicevano “Com’è possibile? Sembrava tanto felice, faceva ridere tutti, aveva denaro a palate, fama e prestigio… Perché lo ha fatto? Cosa lo ha spinto a prendere quella decisione? Cosa lo ha portato a pensare al suicidio come soluzione al dolore o alla solitudine?”
Ed è allora che penso che tutti abbiamo bisogno di credere in Dio. Alcuni non accettano la figura di Gesù, e dicono “Non credo in Dio, né nella Chiesa, ma credo che debba esserci un essere superiore, un’energia che muove tutto”. E risulta che l’essere superiore è il denaro, lo yoga, la meditazione, il club di quelli che vogliono essere un giorno cavalli e l’altro unicorni. La religione che mi permette certe cose o Buddha perché non passa mai di moda.
3. La gioia che si trova solo nelle cose semplici
Nella canzone, René ricorda con nostalgia le piccole cose che gli davano felicità: la bici, i pasti condivisi, “il conto vuoto, ma mamma che ballava il flamenco ci rallegrava la giornata. Ha smesso di esibirsi per curare noi quattro, e siamo diventati la sua opera teatrale”.
La tristezza e la sincerità con cui René canta questo brano sono la prova del fatto che sono le cose semplici a donarci la felicità: l’amore dei nostri genitori, il calore della famiglia, i giochi in strada che ci facevano sudare, gli amici, i fratelli, i cugini… le canzoni, gli abbracci, i baci.
Non importa se non ci sono i soldi per mangiare in un ristorante lussuoso, o se semplicemente il cibo non basta per tutti e bisogna condividerlo. Tutto acquista senso e ci riempie di gioia quando ci sentiamo amati, quando mangiamo gomito a gomito e bisogna aggiungere delle sedie a tavola.
Quando l’unica cosa che ci preoccupa è l’uscita al parco, il bacio della buonanotte o l’abbraccio di mamma e papà. Sicuramente l’infanzia di ciascuno è stata diversa, alcuni hanno bei ricordi, ad altri costa ricordare senza sentire un nodo alla gola. Tutti, però, siamo convinti del fatto che prima fosse tutto più facile, si giocava meglio per strada e con i giochi semplici piuttosto che con quelli che costano un occhio della testa. Tutti custodiamo splendidi ricordi di quegli anni, tutti abbiamo luoghi e momenti che vorremmo tornassero.
4. Ci stanchiamo di fingere
Arriva un punto in cui semplicemente ci stanchiamo di fingere che tutto vada bene, che siamo felici, che non abbiamo bisogno di nessuno, che il denaro ci basta per comprarci anche Marte. Arriva un punto in cui l’aria non sembra entrarci nei polmoni. Stressa fingere, stressa sorridere quando c’è solo voglia di piangere, stressa correre quando si ha solo voglia di fermarsi, stressa tacere quando si ha solo voglia di gridare.
René, che voglia ho di abbracciarti forte per piangere finché la gola non fa male, finché il corpo non trema! Quanto sei stato coraggioso a scrivere questo testo! Vorrei ringraziarti per aver preso carta, penna e cuore per condividere le tue ferite, il tuo passato, la tua solitudine e le tue paure. Per dire al mondo che sei fragile, che sei stato ferito, che hai fatto del male, che hai chiesto perdono, che hai dovuto imparare a guarire, ma che ci sono sempre motivi per rialzarsi.
5. Tutti cerchiamo rifugio in mezzo al dolore
“Voglio tornare a vedere la cometa di Halley con mamma, voglio tornare a quando le mie finestre erano di sole e il calore mi risvegliava. A quando mi chiamavano per andare a giocare…” “Voglio tornare a sentire, tornare a quando non dovevo fingere. Io, voglio tornare ad essere io”.
A chi ricorriamo quando il dolore brucia e ci consuma? Da chi andremo?, come dice Giovanni 6, 68. Chi ho nei cieli se non te? (Salmo 73, 25). René condivide parole dure, ma c’è un dettaglio nel video della canzone che mi commuove: il momento in cui lascia cadere la bottiglia, e piangendo si china per prendere in braccio il figlio.
In lui René sembra trovare la speranza, le motivazioni, la ragione per andare avanti. È come se quel bambino (che è davvero suo figlio) fosse un pezzetto di cielo, un regalo che gli ha fatto Dio per tornare tra le sue braccia. René, offri il tuo dolore a Dio e corri, anche se la paura ti insegue, tra le braccia di chi ti ha sempre aspettato per amarti e consolarti.