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Niente sesso, siamo in Quaresima. Ma dove sta scritto?

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Viktor Solomin/Stocksy United

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 28/02/20

A letto, a casa, in chiesa, tra amici, più o meno velatamente striscia la domanda sulla liceità dei rapporti coniugali nel tempo quaresimale. Prima di provare a offrire una risposta, conviene indagare da dove sorga la domanda.

Uno dei grandi tormentoni di ogni quaresima, anche se il più delle volte la domanda serpeggia sottovoce, è “ma in quaresima si può fare l’amore?”. Tra marito e moglie, manco a dirlo. E anche se qualche risposta potrebbe affiorare istantaneamente è invece il caso di fare chiarezza sulle tacite premesse di una simile domanda: come mai ti viene un simile dubbio?

Disambiguazione

Perché se la risposta fosse “chiedo perché stavo pensando che in quaresima si deve fare qualche fioretto, rinunciare a qualche vizio, e allora…” – allora no, bisognerebbe subito sgombrare il campo da alcuni equivoci:

  1. i fioretti sono una cosa, i vizi sono un’altra;
  2. i vizi vanno sempre combattuti, non solo in quaresima, e tutti (non “qualcuno”);
  3. due coniugi che fanno l’amore non stanno – salvo il caso di qualche deviazione – indulgendo ad alcun vizio.

Il concetto di “fioretto”, poi, non mi è mai piaciuto: mi pare a stento accettabile per spiegare ai bambini il senso dell’“offrire qualche penitenza a Gesù”, ma per gli adulti mi sembra creare più problemi di quanti ne risolva. La quaresima è un tempo di penitenza globale, che dovrebbe spingerci a selezionare con più cura del solito ogni nostra attività: cosa mangiamo e cosa beviamo, cosa leggiamo, cosa guardiamo in tv e online, che musica ascoltiamo… In tal senso è difficile pensare che una cosa importante e santa come l’intimità coniugale (la cui gestualità ci compiaciamo talvolta di chiamare con Giovanni Paolo II “liturgia dei corpi”) non abbia punti di contatto con il tema quaresimale.

Il paradosso del sesso quaresimale

A questo punto debbo dire che effettivamente le nostre domande bisbigliate sono appena il vestigio (postsessantottino?) di una strana coscienza perpetuatasi carsicamente nella fu societas christiana. Che voglio dire? Che in effetti sembrerebbe di poter constatare come in passato la gente, in massima parte, non facesse l’amore in quaresima: ciò è stato osservato da diversi storici e statistici sulla base dei registri dei battesimi e/o delle nascite, che larghissimamente comportavano vistosi buchi (parliamo di un mese e mezzo per ogni anno) in corrispondenza dei nove mesi a seguire ogni quaresima (si tenga a mente comunque che i registri civili sono un’invenzione moderna, quelli ecclesiastici sono leggermente più antichi ma non ci sono pervenuti fin dalla notte dei tempi). Sul tema Lucetta Scaraffia e Margherita Pelaja hanno scritto che

[…] la scansione dei tempi di penitenza e dei tempi di festa nell’anno liturgico cominciò ben presto a prevedere, oltre ai digiuni e alle preghiere, anche una regolamentazione della sola sessualità consentita, cioè quella matrimoniale. Per tutto il Medioevo, la definizione dei periodi in cui non si dovevano avere rapporti sessuali, di quelli in cui erano consentiti, e le pene da comminare ai trasgressori, costituiva un tema importante, presente nella predicazione e nella normativa. In sostanza, era proibito avere rapporti coniugali in tutti i periodi dell’anno ritenuti sa|cri: cioè tutte le domeniche e le festività, e naturalmente durante i quaranta giorni della Quaresima, e nei venti giorni prima di Natale e di Pentecoste, e due o più giorni prima di ricevere la comunione. Proprio per questo vigeva l’uso di comunicarsi per lo più nelle grandi solennità, perché così si era sicuri del digiuno e dell’astinenza sessuale. Anche se la lunghezza dei periodi di astinenza variava da regione a regione, si può calcolare che la somma complessiva raggiungesse circa cinque mesi, quindi quasi la metà dell’anno. A questo si aggiungeva il divieto – avvalorato dal sapere medico – di avere rapporti durante le mestruazioni, i puerperi e in molti casi anche l’allattamento. La predicazione finalizzata al mantenimento di queste regole era rafforzata con il racconto di episodi in cui la nascita di un figlio cieco e storpio era collegata a un congiungimento in periodo proibito, e una serie di multe in denaro e di periodi più o meno lunghi di penitenza attendevano i trasgressori. Con il tempo queste regole divennero meno rigide perché, pur non mutando la tabella dei giorni proibiti, l’attenzione si spostò, più che sull’atto, sull’intenzione con la quale era stato perpetrato: se solo per generare un figlio, non costituiva impedimento alla comunione o profanazione di un periodo sacro. Con il catechismo tridentino, la continenza nei tempi sacri venne riproposta non più come obbligo ma piuttosto come “esortazione”. La rigidità medievale sarà ripresa dai giansenisti, che non ammettevano deroghe alle norme antiche, ma non dalla Chiesa cattolica.

Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia, Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, 87-88

Malauguratamente, le due storiche non citano nello specifico i sermoni a cui si riferiscono, né le normative canonistiche: si deve tuttavia ricordare che il grado di normatività di un’usanza in assenza di un Codice di Diritto Canonico – nonché la sua presenza “smussata” nel Catechismus ad Parochos (il primo autorevole di cui disponiamo) – rende quanto mai difficile misurare il coinvolgimento canonico e dottrinale della Chiesa.




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Scrivevo però di un perpetuarsi carsico dell’usanza, malgrado il carattere parenetico del Catechismo Tridentino, perché la tendenza è confermata almeno fino alla fine del XIX secolo. Gli storici del costume osservano che questo regime sessuale quaresimale era uno dei fattori che rendeva deflagranti le polveri del carnevale (nonché boccaccesco il Risus Paschalis!), e forse anche per questa ragione qualcuno scrive (leggo in particolare da A.E. Redgate, Religion, Politics and Society in Britain, 800-1066, 246) che i rapporti coniugali in quaresima erano considerati peggio della rottura del rigore quaresimale a tavola, e che l’una e l’altra cosa venivano intese come frode della decima ai danni di Dio (laddove 36 giorni – quaranta meno quattro domeniche – sono un decimo esatto dell’anno computato in 360 giorni). Redgate è uno studioso serio, come le due già citate, ma sembra particolarmente difficile trovare citata un’omelia o un penitenziale che menzionino espressamente la materia. È sempre difficile arguire le ragioni di un silenzio (posto che non ci sia una semplice nescienza di qualche fonte), e si deve altresì considerare l’eventualità che le ragioni potessero variare a seconda delle epoche e delle regioni interessate da un macrofenomeno apparentemente coeso e unitario: non è affatto pacifico che nell’Inghilterra del X secolo una disciplina ecclesiale simillima a una della Baviera del XVIII si reggesse sulle medesime motivazioni – anzi. L’evangelizzazione delle Britannie, ad esempio, era stata caratterizzata da un’implantatio Ecclesiæ (e da una disciplina) più monastica che diocesana, e di questo lo storico deve tener conto nello spiegare fenomeni che di primo acchito potrebbero sembrare “strambi”.


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La natura di questa prassi disciplinare, sopravvissuta al non tassativo regime tridentino e almeno in nuce (visto che ancora si pone il problema) alla pioggia acida sessantottina, sembra infatti risalire a ben prima del medioevo: potrebbe ovvero ricollegarsi all’encratismo diffuso in molti milieux del cristianesimo orientale antico (anch’esso ampiamente caratterizzato da un clero monastico), dove a essere sospettato di allontanare l’uomo dal divino non era il sesso, ma ogni sorta di materialità: i dati della Rivelazione vennero talvolta subordinati a precomprensioni filosofiche e riletti a partire da queste. Solo l’aspra contesa con il vivace Giuliano di Eclano portò Agostino, ad esempio, ad ammettere che se Adamo ed Eva non avessero peccato essi avrebbero concepito figli per via di rapporto sessuale e perfino – ma a questo sarebbe arrivato soltanto in ultimo – esperendo il tanto temuto piacere sessuale (imprescindibile sull’argomento Raniero Cantalamessa [ed.], Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, Milano 1976): la delectatio carnis invece non avrebbe costituito alcun problema per il medievale e più aristotelico Tommaso, il quale anzi ipotizzò che i protoplasti avrebbero goduto di un piacere sessuale parecchio più intenso di quello che a noi è dato provare, se non si fossero resi responsabili della corruzione della natura. Cose impensabili per i platonici antichi in genere, i quali anzi trovavano nella previa disposizione sessuata dei corpi edenici un indizio della prescienza divina circa il peccato dell’uomo.

La guida di un teologo ortodosso contemporaneo

A questo punto il lettore si porrà la domanda: «Insomma, cosa possiamo/dobbiamo ritenere di questi consigli che già da 500 anni la Chiesa cattolica neppure raccomanda più insistentemente (se mai fu insistente in merito) e che sembrano però essere stati seguiti da molti ben oltre il XVI secolo? Hanno qualcosa di valido per noi o sono pura ascesi medioplatonica improntata ad apàtheia e atarassia? Mi piace rifarmi alle parole di John Sanidopoulos, un teologo ortodosso attivo sul web con un blog, perché sanno essere più vicine delle mie alla sensibilità spirituale e dogmatica dell’Oriente cristiano, e dunque trovo in lui un esegeta migliore di me di quanto mi pare venire specialmente da quella tradizione:

La dottrina ortodossa [lui si riferisce specificamente alla confessione, ma noi possiamo serenamente assumere la parola come sinonimo di “cattolica” e di “giusta”, N.d.R.] sull’unione sessuale durante la Grande Quaresima [gli ortodossi conservano all’Avvento un tono decisamente penitenziale che gli ottiene il nome di “Piccola Quaresima”, N.d.R.] è basata su tre passaggi delle Sacre Scritture:

Il primo passo viene dall’Antico Testamento, dal libro dell’Esodo. Dopo che gli Israeliti fuggono dall’Egitto e giungono al Monte Sinai sotto la profetica leadership di Mosè, in Ex 19 troviamo che all’arrivo al Monte il popolo si consacrò a Dio come un sol uomo per essere una nazione santa che avrebbe obbedito alla volontà del Signore, e che tre giorni dopo avrebbe avuto il privilegio di assistere a distanza alla discesa sul monte della meravigliosa presenza di Dio – solo a Mosè sarebbe stato concesso di salire sul Sinai per un incontro personale con Dio. Gli israeliti ebbero tre giorni per prepararsi a questo, e così Dio ordinò loro tramite Mosè di fare così: lavarsi i vestiti e astenersi dai rapporti sessuali.

Anche il secondo passo viene dall’Antico Testamento, nella fattispecie dal Primo Libro di Samuele: in 1Sam 21 leggiamo di Davide che chiede al sacerdote Achimelech del pane da mangiare per via della fame. Achimelech rispose di non avere del pane comune, ma solo il pane santificato alla Presenza divina, e che glie l’avrebbe potuto dare solo se fosse stato esente da rapporti sessuali negli ultimi tre giorni. Quando Davide gli garantisce di non aver avuto rapporti in quell’arco di tempo […], Achimelech gli diede i pani consacrati da mangiare.

Il terzo passaggio viene dal Nuovo Testamento, e precisamente dalla Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi. In 1Cor 7,3-6 Paolo offre alcuni consigli coniugali, e quando arriva a parlare di sesso dice:

Il marito è tenuto a mostrare benevolenza alla moglie, e così la moglie al marito. La moglie non ha autorità sul proprio corpo, ma ce l’ha il marito; allo stesso modo il marito non ha autorità sul proprio corpo, ma ce l’ha la moglie. Non privatevi vicendevolmente di questa cura, a meno che non lo facciate di comune accordo e per un periodo ragionevole, per dedicarvi al digiuno e alla preghiera. Poi però tornate di nuovo a stare insieme, perché Satana non vi tenti a motivo della vostra intemperanza. Ve lo do come consiglio, non come comando.

Quello che impariamo da questi tre passi, in relazione all’argomento “sesso in Quaresima”, si può così sintetizzare:

Quando stiamo appropinquandoci alla santa e meravigliosa presenza di Dio dobbiamo consacrare noi stessi a Lui e presentarci quanto più possibile puri, cioè padroni di noi stessi e privi di indulgenze passionali, il che include abiti puliti (e difatti i cristiani ortodossi si rivestono di abiti nuovi quando sono stati appena consacrati nel Battesimo) e l’astenersi dal sesso per tre giorni.

Il pane santo, che è tipo della Santa Comunione, dev’essere assunto solo se non ci sono state relazioni sessuali (e consideriamo che Achimelech si riferisse alla notte precedente).

Marito e moglie non devono privarsi della reciproca tenerezza a meno che ciò non avvenga di comune accordo, e per dedicarsi al digiuno e alla preghiera. […]

La Chiesa ha sempre pensato che, idealmente, i cristiani debbono dedicarsi a Dio quanto più sia possibile, fino al punto da avere costante il ricordo di Dio mediante la preghiera incessante. […] Un tale obiettivo richiede un periodo di purificazione, tempo durante il quale dobbiamo imparare a indulgere alla carnalità quanto meno possibile e su ogni piano – non solo sessuale, ma per ogni cosa fisica che dà piacere e stimola passioni che ci intralciano dal conseguire la purificazione necessaria a che diventiamo tempio dello Spirito Santo. Senza scendere in dettagli, la Grande Quaresima è essenzialmente ciò, e la destinazione finale della Grande Quaresima non è la Risurrezione di Cristo, ma la Pentecoste in quanto festa di Tutti i Santi, così che anche noi facciamo esperienza dell’illuminazione nella discesa dello Spirito Santo e sappiamo annoverarci tra i santi. Ogni Grande Quaresima ci esorta a fare memoria di ciò, dal nostro battesimo al giorno della nostra morte.

Va comunque detto che non tutti i cristiani sono allo stesso livello né tutti si sforzano allo stesso modo di conseguire l’ideale. Ecco perché la Chiesa ha sempre insegnato l’ideale di una vita consacrata nella verginità e nella perfetta continenza – perché permette al cristiano di concentrarsi maggiormente sulla battaglia spirituale […]. Anche la vita di consacrazione verginale, però, ha diverse forme: c’è chi sceglie di vivere in ascesi solitaria, chi in un eremo con pochi, chi in piccoli conventi, chi in grandi monasteri con centinaia di fratelli – e ciascuno di essi vive una vita distinta conformemente al livello spirituale raggiunto. Una cosa è certa, come dice l’apostolo Paolo in 1Cor 9,25: «Un buon atleta è temperante in tutto».

Anche il matrimonio è benedetto dalla Chiesa, ma l’ideale di cui sopra si raggiunge diversamente nello stato coniugale: quel che fa la difficoltà, nel matrimonio, è che da sposati ci dedichiamo a un’altra persona, e la cura dei figli nati dall’unione richiede che ci concentriamo sul nutrire e sostentare la famiglia. Così come un monaco si sottomette al suo superiore per potare la sua volontà carnale, così anche gli sposi debbono sottomettersi l’uno all’altro per potare la propria volontà carnale. Il focolare domestico assomiglia in questo a un piccolo monastero, nella sua forma più ideale. Come avviene tra i vergini, però, anche il matrimonio ha diversi livelli e diverse tappe: in rarissimi casi trovate matrimoni dove c’è mutuo consenso nell’astensione totale dai rapporti sessuali. In altri rari casi trovate sposi che decidono di astenersi dalla pratica sessuale una volta che abbiano concepito i figli che desiderano accogliere. La maggior parte delle coppie, però, non ha la determinazione necessaria a queste risoluzioni, specie negli anni meno maturi: molte coppie anzi non riescono neppure a stabilire in dialogo quando vivere l’intimità, oscillando tra il privarsi del conforto affettivo e l’indulgere oltremodo alla passione.

Per molte coppie sposate oggi il sesso è un difficile argomento di discussione: quel che la Chiesa incoraggia è il mutuo accordo, e magari alcuni possono aver bisogno (per arrivarci) del sostegno di una guida. Non esistono regole, nella Chiesa, quando si parla di sesso tra le coppie sposate – neanche nella Grande Quaresima. Ci sono suggerimenti e principî-guida per aiutare le coppie a rispondere alla loro vocazione, ma non ci sono regole. […]

Certo, diversi passaggi di questa pagina possono a prima vista sembrare “strani” al lettore cattolico (e ne ho omessi altri!): li ho proposti però perché, come accennavo, essi mi sembrano in grado di restituire il parterre culturale di una disciplina resa ormai quasi impercettibile (ma non assente!) nella cristianità cattolica occidentale.

Dal Vaticano II un “esercizio sessuale-spirituale” quaresimale

Se ora il lettore cattolico occidentale mi chiedesse – dopo essere pazientemente giunto fino a questo avanzato punto del nostro articolo – se oltre all’excursus storico-religioso ci sia qualcosa di concreto, per lui, su cui lavorare in questa Quaresima, lo rimanderei al punto 49 della Costituzione Pastorale Gaudium et Spes del Concilio Ecumenico Vaticano II:

Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell’amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale.

Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi (116) anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce.

Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. Quest’amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio. L’unità del matrimonio, confermata dal Signore, appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia all’uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.

Per tener fede costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana si richiede una virtù fuori del comune; è per questo che i coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa, coltiveranno assiduamente la fermezza dell’amore, la grandezza d’animo, lo spirito di sacrificio e li domanderanno nella loro preghiera. Ma l’autentico amore coniugale godrà più alta stima e si formerà al riguardo una sana opinione pubblica, se i coniugi cristiani danno testimonianza di fedeltà e di armonia nell’amore come anche di sollecitudine nell’educazione dei figli, e se assumono la loro responsabilità nel necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia.

Più figli di san Tommaso e meno di san Giovanni Crisostomo, i padri conciliari nel pensare l’amore coniugale non stettero a porre sulle spalle dei loro fratelli e delle loro sorelle fardelli pesanti che essi non avrebbero sfiorato neppure con un dito: l’elogio del “generoso esercizio” della tenerezza coniugale non deve però essere preso alla leggera, quasi un bonario invito al “libero amore”. In quella formula si trova anzi l’espressione del banco di prova dell’amore che ogni sposo/a cattolico/a potrebbe/dovrebbe porsi (specialmente in Quaresima): il mio amore coniugale è generoso? È un esercizio? E se sì, per cosa? Fa crescere l’unione nel mio matrimonio o divarica le nostre vite? È l’espressione del possesso del sé che ciascuno dei coniugi dona irrevocabilmente all’altro… oppure è il banale rigurgito della «mentalità di questo mondo»?


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Perché a quella i coniugi non debbono piegarsi mai – mica solo in Quaresima – ma il tempo di penitenza è l’occasione propizia a una revisione di vita che affronti il tema e lo introduca sotto la luce pasquale.

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