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Tenacia – di Luca Cari: «C’è una mano che non molla la presa dentro il disastro»

LUCA CARI, GEMME, VIGILI

Luca Cari

Annalisa Teggi - pubblicato il 27/02/20

Il terremoto di Amatrice, la slavina di Rigopiano, il naufragio della Concordia, il crollo del ponte Morandi. Luca Cari era lì, nel mezzo e nel pieno di tutte queste tragedie, coi vigili del fuoco e ci testimonia la fragilità e la forza dell'umano nelle emergenze.

È un onore poter ospitare la voce di Luca Cari tra le nostre Gemme. Ci ha fatto dono di un paio d’occhi ferito e meravigliato che è prezioso da custodire. Chi sia e dove lo porti il suo mestiere lo lasceremo raccontare a lui in prima persona. Il senso di questa breve premessa è solo quello di mettere a fuoco una premura: siamo diventati bravissimi a commentare ogni genere di evento, il virtuale ci scherma dal pulsare intenso dalla vita e sprechiamo giudizi con l’irruenza di chi vuole dire, ma senza sentire sulla propria pella la vertigine della fragilità. Per quel che riguarda la gran parte dei tragici fatti che hanno segnato la cronaca italiana e anche straniera, Luca Cari è la voce di chi era in prima linea coi Vigili del Fuoco: Amatrice, Rigopiano, la Costa Concordia, per citare alcune tra le emergenze più gravi. Avevamo il forte desiderio di ascoltare che parola avesse da donare chi è stato dentro quelle realtà ferite e scottanti in cui l’umano sembra inesorabilmente schiacciato. Quando l’urto viene prima del pensiero, quando il pianto soffoca ogni discorso, quando il sudore del fare mette in un angolo le obiezioni astratte, che voce può nascere?

Di Luca Cari

Non capita spesso che mi soffermi a pensare chi sono oggi. È rischioso, farlo sul serio dico, perché si porta appresso un’altra stima, sulla soddisfazione del risultato e del percorso. Magari posso arrivarci raccontando cosa faccio. Da quattordici anni sono il responsabile della comunicazione in emergenza dei vigili del fuoco italiani, il loro portavoce. È un ruolo che mi rende orgoglioso, perché considero valore rappresentare quelli che salvanole persone, come li nominò Papa Francesco mentre lo accompagnavo tra le macerie di Amatrice dopo il terremoto.

Ho gestito la nostra comunicazione per il terremoto in Abruzzo, l’incidente ferroviario di Viareggio, il terremoto ad Haiti, il naufragio della Concordia e quello del  barcone di migranti a Lampedusa, l’incidente ferroviario a Corato, il terremoto nell’Italia centrale, la slavina di Rigopiano, il terremoto a Ischia, il crollo del ponte Morandi a Genova, fino al terremoto in Albania.


LUCA GRION, GEMME

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È una selezione delle situazioni che aiuta la riflessione, perché se non sei fatto di marmo, si comprende che qualcosa dentro ti s’è mosso in questo tempo, con un invito esplicito a riconsiderare le cose della vita e anche la vita stessa. Nelle nostre emergenze c’è tutto, il dolore indicibile di quando non si è potuto far nulla, come pure il rovescio meraviglioso, quando la mano dei vigili del fuoco è arrivata a strappare al proprio destino chi aveva trovato il peggiore. Quella mano è l’ultima risorsa, se non ti agguanta è la fine, lo sanno i pompieri e lo sanno le vittime, responsabilità per i primi e speranza per gli altri.

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È da questo vissuto che parte la mia considerazione delle parole, che a volte mi hanno raschiato e altre accarezzato la pelle. Sono tante, belle o spaventose, affascinanti o al contrario raccapriccianti. Voglio dire, se a Viareggio dopo l’esplosione delle ferrocisterne scorgi in una macchina fumante una sembianza piccolissima e capisci che è il corpo di un bambino disciolto sul sedile, cuore e testa si riempiono di cose terribili e quando ne esci impieghi mesi per recuperare il senso della vita. Cerchi risposte che non trovi, perché non ci sono. Restano ogni volta immagini e sensazioni da sistemare in qualche parte dentro di te, sempre senza condividerle con chi ti sta accanto perché non puoi coinvolgerli in questo modo.

Se penso a questo, mi viene in mente la parola “fragilità”, quella della vita, a come in un istante cambi o si perda per sempre, ma anche a come valga la pena di viverla con intensità e serietà ogni giorno.

Poi, se a Viareggio vedi anche i vigili del fuoco cercare senza sosta tra le macerie, sebbene la speranza non sia autorizzata dalla realtà dei fatti; e li vedi dannarsi senza mollare fino a tirare fuori un altro bimbetto annerito ma illeso, insomma, se vedi anche questo, la prospettiva cambia e mi sovviene un’altra parola, una nostra, che è “tenacia” e che rappresenta i vigili del fuoco che non si arrendono.


SUOR, ELENA, RONDELLI

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Mi piace, perché disegna un modo che per i pompieri non è un fatto d’indole ma un segno che esce da un miscuglio anche sorprendente di elementi. Non è per caso che non si fermano e vanno avanti convinti, perché esperienza, addestramento, fatica e sudore, forza e speranza si fondono nell’attimo in cui allungano la mano verso chi ha bisogno. E dentro quel momento c’è coraggio e umanità, che sono la spinta per andare oltre ciò che competenze e dovere imporrebbero.

Il senso di questa parola sta nella mano del vigile del fuoco che stringe quella del ragazzo sommerso dal fango a Sarno, mentre gli dice che se ne andranno in due o niente. Mi è entrata in testa altre volte questa frase detta da loro e so che non c’è retorica, perché risponde al vero: in due o niente, l’ho visto fare. Una resistenza che non è per azzardo, ma il risultato della capacità di comprendere la situazione grazie all’esperienza, del sapere cosa fare dato dall’addestramento, di coraggio e umanità che consentono gesti acclamati da tutti come eroici. Non la pensano così i vigili del fuoco, sia chiaro, l’accostamento al mito sminuisce ciò che fanno, perché non è in virtù di poteri speciali, ma per sacrificio e preparazione e fatica e sudore quotidiani anche poco pagati. Perciò il loro agire può essere d’esempio, specie per i giovani, perché è nella possibilità di tutti compiere quelle gesta celebrate dalle cronache, il segreto è impegnarsi senza risparmio. Nessun miracolo allora dietro il salvataggio dei bambini a Rigopiano, da credente quello semmai è avvenuto prima, quando la valanga non li ha raggiunti. Il messaggio è un altro: impegnati, studia, impara, applicati e credi fino in fondo in ciò che fai, confidando nella base che hai costruito. Con tenacia, la stessa con cui i vigili del fuoco svolgono tutti i giorni il mestiere più bello del mondo.

LUCA CARI, APPENNINO, LIBRO
Castelvecchi

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