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Asia Bibi a Parigi: «In ogni istante ho conservato Dio nel mio cuore»

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Agnès Pinard Legry - pubblicato il 27/02/20

Condannata a morte per bestemmia in Pakistan, Asia Bibi ha passato quasi dieci anni in prigione, da innocente, prima di essere liberata. Eccezionalmente di passaggio a Parigi, ha concesso un’intervista ad Aleteia.

Il suo nome è stato scritto, pronunciato e scandito migliaia di volte, in questi ultimi anni. La sua storia raccontata ai quattro angoli del pianeta: che strana impressione conoscere qualcuno senza averlo mai incontrato! Asia Bibi è diventata un simbolo, quello della lotta contro la legge anti-blasfemia in Pakistan e per la libertà religiosa in tutto il mondo. Condannata a morte per aver bevuto dell’acqua da un bicchiere di sue colleghe musulmane, il solo accostamento (peraltro favorevole) tra i detti di Gesù e quelli di Maometto le sarebbe costato più di nove anni di carcere.


ASIA BIBI

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Eccoci dunque con Asia Bibi: una pakistana, madre di famiglia e cristiana, una donnina dalla forza incredibile, un concentrato di resilienza e fede. Dalla sua partenza dal Pakistan sono filtrate poche informazioni sulla sua nuova vita – a parte il nome del Paese che l’accoglie, il Canada. E poi un giorno arriva la notizia: Asia Bibi passa in Francia. Dalla vigilia e per diversi giorni ancora la donna inanella interviste e incontri ufficiali: ricevuta dal sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che le ha conferito la cittadinanza onoraria luteziana, Asia Bibi incontrerà domani Emmanuel Macron, su richiesta dell’Eliseo, e gli significherà la sua domanda di asilo politico.




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Filmata, sollecitata e fotografata incessantemente da alcuni giorni, Asia Bibi mostra alcuni postumi della lunga prigionia. A dispetto della fatica, però, sorride instancabilmente. Se le sue risposte sono brevi e talvolta laconiche, il suo viso bello e caloroso, come pure il suo sguardo profondo, tutto testimonia quel che ha attraversato: lunghi anni di solitudine e, talvolta, di scoramento. Ma pure di fede – la roccia su cui si è fondata – di fiducia e di semplicità. Grazie a un’interprete per la lingua ordù (la lingua natale di Asia, N.d.R.), col cuore in tumulto Aleteia ha incontrato Asia Bibi.


Aleteia: Cosa dice Asia Bibi della sua storia?

Asia Bibi: La mia storia dovreste conoscerla. Ancora oggi però essa sembra surreale ai miei stessi occhi. Cristiana e madre di famiglia, il mio mestiere comprendeva, tra le altre cose, fare la raccoglitrice nei campi. Il 14 giugno 2009 – mi ricordo ancora il caldo che faceva – ho bevuto l’acqua del pozzo dallo stesso mestolo delle altre donne. Due di loro mi hanno accusato di aver contaminato l’acqua, essendo cristiana. Qualche giorno più tardi, sono stata accusata di blasfemia. Poi sono stata giudicata e condannata a morte per impiccagione per blasfemia, nel novembre 2009, e nell’ottobre 2014 l’Alta Corte di Lahore ha confermato la mia condanna.

A.: Quando ha appreso della sua condanna… che cosa ha pensato in quel momento?

A. B.: I miei figli. All’epoca ero ancora giovane e ho sentito una pena enorme. Mi dicevo interiormente che non era possibile, che non avevo fatto niente.

A.: Da condannata, avrebbe poi passato quasi dieci anni in prigione. Com’era la sua quotidianità?

A. B.: Ero molto isolata e facevo di tutto per essere estremamente silenziosa. Soprattutto, in ogni istante ho conservato Dio nel mio cuore. Pregavo ogni giorno.

A.: Che cosa l’ha trattenuta dal cedere?

A. B.: Ho vissuto tutto come una prova mandatami da Dio. Quando un essere umano è provato il desiderio di riuscire, di superare la prova, è estremamente forte. Ho sentito che la preghiera mi avrebbe aiutata, in tal senso. Numerosi segni mi hanno incoraggiata. Per esempio, una notte ho sognato un prete che mi faceva recitare versetti della Bibbia. Quando ho aperto gli occhi, mi ricordo di essermi stupita del fatto che non lo vedessi più. Mi sono detta che forse Dio mi mandava un segno perché apprendessi quei versetti che mi avrebbero sostenuta. Dunque ho fatto così, e ho letto i Vangeli con grande regolarità.

A.: C’è qualche passaggio biblico che l’ha particolarmente sostenuta?

A. B.: Sì, la parola che mi tornava incessantemente allo spirito era: «Il Signore è il tuo rifugio». Ogni volta, era il primo salmo [il 121, N.d.R.] che mi capitava davanti.

A.: Anche suo marito, Ashiq, è stato un sostegno fedele…

A. B.: Sì, è stato un pilastro, per me, in tutti questi anni. Non mi ha mai lasciato la mano, malgrado le minacce e le difficoltà. È stato lui a dirmi che una giornalista, Anne-Isabelle Tollet, si era espressa per la prima volta in mio favore. È stato lui a dirmi che numerose persone si interessavano al mio caso. Sempre lui a dirmi che il Papa pregava per me: mi ricordo che ne sentii una gioia intensa! I nostri figli facevano parte degli argomenti che toccavamo più di frequente. A causa delle minacce che pesavano su di loro, non li ho potuti vedere spesso. Spesso chiedevo ad Ashiq se fossero ancora scolarizzati.

A.: Alla fine è stata liberata nell’autunno 2019, ma un’ondata di manifestazioni senza precedenti le impediva di lasciare subito il Paese. Che cosa provava, davanti al deflagrare di tanta ira?

A. B.: La mia liberazione ha esacerbato le tensioni in un modo spaventoso. La cosa più dura, però, era che io le sentivo: sentivo tutto quello che dicevano. Potevo sentirli scandire la richiesta della mia morte, in tutti i modi. Per quanto incredibile possa sembrare, però, conservavo la forza: non avevo paura.

A.: Ha perdonato quelli che l’hanno condannata?

A. B.: Sì, li ho perdonati. Ho perdonato questi dieci anni di prigione, lontana dalla mia famiglia. Dal profondo del mio cuore, li ho perdonati.

A.: Nella cella che per dieci anni aveva occupato si trova oggi un’altra cristiana, Shagufta Kousar, condannata a morte in seguito all’accusa di bestemmia…

A. B.: Ha tutto il mio sostegno, e sarei felice se la mia storia e la mia testimonianza potessero venirle in soccorso. Shagufta Kausar è anch’ella madre di famiglia ed è accusata di aver inviato, col marito, degli SMS blasfemi: accusa tanto più inverosimile in quanto entrambi non sanno scrivere. So però che sono in buone mani: li difende Saif-ul-Malook, il medesimo avvocato che ha difeso me. Al di là di Shagufta, ci sono molte e molti altri ancora in detenzione e che devono essere aiutati. Vorrei che il mondo si unisse dietro a questa causa per ottenere la loro liberazione – appartengano a minoranze o a maggioranze. Tutti devono essere ascoltati! Questa è oggi la mia lotta: penso che la legge anti-blasfemia debba essere riformata. È a questo che intendo dedicare quel che resta della mia vita.

A.: L’altro ieri [martedì 25, N.d.R.] lei ha ricevuto la cittadinanza onoraria della città di Parigi e ha contestualmente espresso il desiderio di chiedere asilo politico a Emmanuel Macron. Perché la Francia?

A. B.: La Francia mi è carissima perché è dalla Francia che si è cominciato a parlare in mio nome. È la Francia che mi ha dato l’identità di Asia Bibi. Devo anche dire che gli antichi edifici, specialmente la cattedrale di Parigi, che ha attraversato tanti secoli, mi hanno sedotta: ho appreso proprio l’altro ieri che Notre-Dame era andata a fuoco la scorsa primavera, ne ho avuto una pena enorme.

A.: Come s’immagina il suo avvenire?

A. B.: Vorrei che potessimo lavorare tutti, mano nella mano, per riformare la legge anti-blasfemia in Pakistan. Per quanto riguarda il mio avvenire personale, il mio desiderio più ardente è che le mie figlie possano avere accesso all’istruzione, che possano crescere in un contesto civile e che possano battersi per l’equità.

A.: Lei si sente libera?

A. B.: Ricevo ogni giorno delle minacce, ma sì: sono libera.

A.: Che cosa la rattrista di più oggi?

A. B.: È stato un grande dolore dover lasciare il Pakistan, il Paese in cui sono nata. È stato dopo la mia liberazione, e so che Dio mi ha aperto la via, ma conservo fermamente la speranza di poter tornare un giorno nella mia terra.

A.: Che cosa, al contrario, le dà oggi più gioia?

A. B.: La gioia più grande la sento quando mi prostro davanti alla maestà di Dio.

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Éditions du Rocher.

Enfin libre ! Asia Bibi con Anne-Isabelle Tollet, Éditions du Rocher, 29 gennaio 2020.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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