Una tragedia che parla, tra le altre cose, di irregolarità e della complessa situazione dei bambini abbandonati dai genitori
Il Paese più povero dell’America Latina è tornato a fare notizia a livello internazionale, e ancora una volta per un aspetto che chiama a riflettere. Il 13 febbraio, la morte di 15 minori che vivevano in un orfanotrofio che ha subìto un incendio a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, ha suscitato la costernazione internazionale.
In base alle prime indagini, la causa della tragedia sarebbe collegata a una candela accesa lasciata in un corridoio, che ha fatto sì che due bambini morissero carbonizzati e gli altri intossicati dal fumo.
L’accaduto ha suscitato molti interrogativi, visto che è emerso che si trattava di un centro di accoglienza senza licenza ufficiale, cosa comune nel Paese centroamericano.
“Si è trattato di un incidente estremamente tragico”, ha affermato la direttrice dell’Istituto per il Benessere Sociale, Arielle Jeanty Villedrouin, che ha sottolineato come il Governo stia cercando una nuova sistemazione per i sopravvissuti, secondo quanto ha riferito la Reuters.
L’orfanotrofio, diretto dal gruppo cristiano della Chiesa della Comprensione Biblica (Church of Bible Understanding), con sede in Pennsylvania (Stati Uniti), non aveva la licenza di operare fin dal 2013, ha indicato BBC World.
In base a quanto ha dichiarato il giudice Raymonde Jean Antoine all’agenzia AFP, la struttura non rispettava gli standard di base, e le condizioni “erano caratterizzate da grande trascuratezza”.
“I bambini vivono come animali”, ha aggiunto senza mezzi termini.