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Il Paese più cattolico del mondo dopo il Vaticano

Timor-Leste

José Fernando Real | CC BY-SA 4.0

Ray Cavanaugh - pubblicato il 18/02/20

Se Papa Francesco potesse visitarlo, come si spera, attirerà molto l'attenzione

Si dice che Papa Francesco potrebbe visitare Timor Est quest’anno, come parte di un viaggio nelle più grandi Indonesia e Papua Nuova Guinea. Anche se molti non hanno mai sentito parlare di questo Paese – una Nazione di circa 1,4 milioni di abitanti nella zona sud-orientale dell’arcipelago indonesiano –, è degno di nota per molte ragioni, tra cui il fatto che, con una popolazione cattolica al 98%, ha la più alta percentuale di cattolici al di là della Città del Vaticano.

Timor Est spicca anche per le tante difficoltà che ha affrontato la sua popolazione. Tumulti e traumi hanno caratterizzato la storia di questa piccola terra alla fine del XX secolo, quando un terzo della popolazione è morto per violenza, malattie o fame.

Il cattolicesimo vi è arrivato all’inizio del Cinquecento grazie ai Portoghesi, che hanno mantenuto il territorio come propria colonia per più di quattro secoli (i Giapponesi lo hanno occupato brevemente durante la II Guerra Mondiale). Il portoghese resta la lingua ufficiale, insieme al tetum, una lingua austronesiana. Meno usati sono l’inglese e l’indonesiano.

Timor Est è diventato indipendente il 28 novembre 1975, e nove giorni dopo è stato invaso dall’Indonesia. Sono così iniziati decenni di conflitto tra le milizie indipendentiste di Timor Est e l’esercito indonesiano. Molti non combattenti, donne e bambini compresi, sono stati uccisi per le strade o arrestati per poi “scomparire”.




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Quando è iniziata la carneficina, solo il 20% degli abitanti di Timor Est era cattolico, ma nel clima di violenza prolungata molti non cattolici hanno cominciato a volgersi alle chiese cattoliche come luoghi di rifugio fisico e spirituale. Buona parte del clero cattolico è stata anche molto esplicita riguardo alle violazioni dei diritti umani, e alcuni chierici hanno perfino offerto assistenza diretta ai combattenti indipendentisti.

Alla guida del clero che sosteneva i Timorensi c’era il vescovo Carlos Ximenes Belo, il cui coraggio e la cui autorità morale gli hanno fatto vincere il Premio Nobel per la Pace nel 1996, che ha condiviso con José Ramos-Horta, varie volte Presidente e Primo Ministro del Paese.

Papa Giovanni Paolo II ha richiamato l’attenzione internazionale sulla lotta di Timor Est quando ha visitato la capitale del Paese, Dili, nell’ottobre 1989. Durante la sua visita, la tensione era tale che mentre il Pontefice stava celebrando una Messa all’aperto è scoppiata la violenza tra i dimostranti timorensi, che lanciavano delle sedie, e la polizia indonesiana armata di bastoni.

Potrebbe sembrare una semplice schermaglia rispetto a quello che ha avuto luogo il 12 novembre 1991, quando circa 250 civili disarmati sono stati freddati dalle forze di sicurezza indonesiane durante la processione per un funerale nel cimitero di Santa Cruz a Dili.

Un troupe straniera è riuscita a girare delle scene del massacro. Il video, contrabbandato fuori Timor Est, è stato in seguito inserito nel documentarioIn Cold Blood: The Massacre of East Timor, che ha contribuito ad attirare l’attenzione internazionale sull’occupazione militare, che molti hanno iniziato a considerare colpevole di genocidio.

Un referendum sull’indipendenza supervisionato dall’ONU e svoltosi nell’agosto 1999 ha visto circa l’80% degli abitanti di Timor Est esprimere il desiderio di separarsi dall’Indonesia. Subito dopo quel voto decisivo, i combattenti timorensi contrari all’indipendenza, sostenuti dall’Indonesia, hanno avviato la controffensiva. In poche settimane hanno ucciso circa 1.400 persone, inclusi sacerdoti e suore, ne hanno costrette molte di più a diventare rifugiate, hanno dato fuoco a interi villaggi e distrutto le già deboli infrastrutture del Paese, scuole comprese.

Questo ha aumentato notevolmente il numero di abitanti di Timor Est (alcuni stimano che si tratti quasi della metà della popolazione) che non hanno mai ricevuto un’istruzione formale di alcun tipo. I tassi di analfabetismo, pur se diminuiti negli ultimi anni, sono ancora molto elevati in base agli standard del XXI secolo. Ciò vale soprattutto per le donne, e la maggior parte della popolazione, maschile e femminile, non ha mai letto un quotidiano. Circa i due terzi della popolazione vivono in piccoli villaggi geograficamente isolati. Metà della Nazione vive in condizioni di estrema povertà (meno di 1,90 dollari al giorno), e metà dei bambini al di sotto dei 5 anni soffre di malnutrizione.




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Timor Est continua ad avere molte difficoltà a creare opportunità lavorative per i suoi cittadini più giovani, molti dei quali, soprattutto nelle zone urbane, gravitano intorno a uno stile di vita criminale e di gang. Anche se questo fenomeno ha portato alla latitanza della legge, dall’inizio della sua indipendenza, conquistata a fatica il 20 maggio 2002, Timor Est non ha più visto nulla che si avvicini al dramma della fine del secolo scorso.

Nonostante tutte le difficoltà, il Paese ha mantenuto una fede solida. Contrariamente ad altri Paesi, in cui i seminari chiudono per mancanza di aspiranti, Timor Est ha centinaia di aspiranti seminaristi che vengono respinti per la mancanza di strutture.

Una visita papale potrebbe offrire un po’ dell’attenzione che merita a questo Paese giovane e poco sviluppato che cerca ancora di riprendersi dai massacri, e permetterebbe al Pontefice di trascorrere del tempo in un Paese cattolico quasi quanto quello in cui regna.

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