Il coraggio di una madre di fronte all’ignoto di una malattia rara. Una sofferta testimonianza di amore per la vita sempre e comunque!
Che sia benedetta
Per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta
Per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta
Siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta
Tenersela stretta
Mi è venuta in mente la canzone di Fiorella Mannoia “Che sia benedetta” leggendo sul blog Malattia come opportunità del Corriere, la testimonianza di una mamma, P.G., che ha deciso di aprire il suo “cassetto, quello che ognuno di noi custodisce gelosamente, il più doloroso (…) con la speranza che possa essere di aiuto a chi magari è ancora dentro il tunnel” (Ibidem). A quale tunnel si vuol fare riferimento? Quello di una malattia genetica rara, con il calvario senza fine di una diagnosi tardiva e l’assenza di terapie specifiche.
Il sesto senso di un mamma
Che mio figlio avesse qualcosa l’ho sempre saputo, sono quelle «strane sensazioni», quelle «strane vocine» che solo le mamme avvertono e che sono impossibili da spiegare. Ci sono, e basta. (Corriere)
La signora era alla sua seconda gravidanza, portata avanti senza problemi particolari, ma stranamente aveva la sensazione di essere alla prima esperienza. La conferma che c’era qualcosa che non andava arriva con l’allattamento; il momento di interazione più straordinario fra madre e neonato si rivela doloroso per entrambi: il piccolo comincia a contorcersi appena inizia a succhiare e la poppata, in un sofferto dormiveglia, dura ore finché – allo stremo delle forze per entrambi – non arriva in soccorso il sonno ristoratore.
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Il dramma di non essere creduti, nemmeno dai medici
Tutti dicevano che ero io con le mie ansie, con le mie paure, a farlo stare così. Il mio senso di colpa aumentava di giorno in giorno. All’età di due mesi lo ricoverarono per un’infezione respiratoria, durante quella degenza il bambino continuò a manifestare il suo disagio e la sua sofferenza, mille domande a chi avrebbe dovuto rassicurarmi, ma rimanevano tutte senza risposta. (Ibidem)
Con il ritorno a casa si accende timidamente la speranza, presto spenta da una broncopolmonite bilaterale che si manifesta dopo soli 15 giorni dalla dimissione.
Il mio bambino passò da un medico all’altro, da un esame all’altro, rivoltato come un calzino, lo sguardo dei medici era sempre lo stesso: scettico, stupito, perplesso. Per loro era il bimbo più sano del mondo. Per evitare quello sguardo e le loro mille domande imparai a nascondere le mie sensazioni, le mie paure. Annuire, era la cosa che facevo più spesso. (Corriere)
Lo sguardo amoroso vede ciò che sfugge ai camici bianchi
La frustrazione di non trovare attenzione ai suoi timori, che man mano aumentano, spingono la mamma a registrare minuziosamente, come farebbe uno scienziato, qualunque anomalia nel comportamento del bambino.
Era infastidito dalla luce, soprattutto dalla luce del sole, mentre in casa, con la luce soffusa, stava meglio, notai che sudava solo dietro la testa, e quindi il caldo lo infastidiva molto, come lo infastidiva essere troppo vestito, per farlo rilassare era sufficiente il body e il pannolino. Fu così che mi ritrovai a portarlo fuori meno di giorno e più di sera. Il bimbo era quasi arrivato a sei mesi, e proprio quando pensavo di aver superato la fase critica, quella «strana sensazione» tornò a farsi sentire, e questa volta era più forte, più insistente. (Ibidem)
La situazione precipita
Finché un giorno la situazione degenerò. Ormai mio figlio non mangiava e non beveva da giorni, vomitava e il suo pianto era sempre più inconsolabile. (Corriere)
La corsa in ospedale, vedere il bambino spegnersi progressivamente fino a quando un pediatra prende atto della gravità della situazione e fa ricoverare il piccolo paziente in terapia intensiva, dove arriva ormai in coma. Dopo quattro ore di angoscia,
(…) quando finalmente me lo fecero vedere, non lo riconobbi. Era intubato, gonfio, macchinari ovunque (…) La pelle del bambino era cambiata: si era scurita, era secca e presentava tante macchioline bianche. Vedevo barcollare i medici. Avevo un bambino che stava molto male e non potevo aiutarlo, intanto eravamo passati all’alimentazione assistita. (Ibidem)
È proprio la sua disperata insistenza nel chiedere di concentrarsi su questo cambiamento della pelle, finalmente raccolta da uno psicologo, a convincere i medici per un consulto con un superspecialista dermatologo. Questo fu il viatico:
«Signora la mando dal migliore, era il mio professore, se non ci riesce lui, non ci riesce nessuno». (Corriere)
Ci vollero sei lunghi mesi di attesa per ricevere finalmente da questo luminare, “di poche parole, dai modo duri e molto diretto”, lo sprazzo di luce per squarciare il buio dell’ignoto.
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Finalmente la diagnosi
«Suo figlio ha una malattia rara, forse lei ne è la portatrice sana». (Ibidem)
Nella mente della madre esplode una miscela di emozioni:
mi sentivo libera, le mie «sensazioni» erano sempre state giuste. (Corriere)
La malattia, diagnosticata al bimbo di ormai tre anni, si chiama: X-linked Reticulate Pigmentary Disorder with Sistematic Manifestations (Disordine reticolare della pigmentazione legata al Cromosoma X con manifestazioni sistemiche), il cui acronimo è XLPDR, una patologia genetica multisistemica ad andamento cronico e invalidante.
Il miracolo della vita
Oggi il piccolo – unico caso italiano della malattia che registra circa 20 casi in tutto il mondo – non è più tale, non sarebbe dovuto arrivare a 5 anni, perché non ci sono cure ed invece ne ha 11, frequenta la prima media ed è seguito attentamente dall’ospedale di zona in cui ha superato il suo sessantesimo ricovero.
Mio figlio presenta una serie di limiti che influenzano in modo importante la sua vita di bambino, per lui non ci sono cure, progetti di ricerca e forse non ci saranno mai. Ma nonostante le peggiori previsioni è vivo, ed è il mio miracolo della vita. Potrà sembrare un’eresia, ma preferisco la donna «nuova» che sento di essere diventata a ciò che ero. Sono più stanca, è vero, ma poi penso che se ce la fa lui, allora devo farcela anche io. Ho imparato ad apprezzare la vita con le sue sfumature, il buio, il silenzio della notte, a vedere i colori anche dove non ci sono, ma soprattutto a dare valore al tempo, a non dare più tutto per scontato, a volermi bene… (…) non si può controllare tutto, ci sarà sempre qualcosa che sfuggirà al nostro controllo, ci sarà sempre qualcosa che non si aspetta. Perché la vita è questo: un viaggio inaspettato dove non sempre è dato sapere la destinazione. (Ibidem)
Una testimonianza preziosa! Nonostante il dolore questa mamma non maledice la sua storia e quella di suo figlio, non si lamenta, anzi! Le sue parole ci ricordando che la sofferenza è ingiusta ma fa parte dell’esistenza e anche quando i perché non trovano risposta l’unica strada da percorre è quella dell’amore.
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