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Ecco perché essere single non significa solitudine o tristezza

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Catholic Link - pubblicato il 15/02/20
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di María Belén Andrada

“E il fidanzato?”. Spesso negli incontri familiari qualche zia indiscreta pone questa temuta domanda. “Non c’è”, rispondiamo, e vorremmo aggiungere “Sono single, sola con me stessa, sola contro il mondo”. Beh, forse no, è un po’ esagerato.

Oggi, però, vorrei parlarvi di come affrontare il tema dell’essere single, come guardarsi in modo adeguato quando non si ha un partner. Iniziamo a riflettere un po’ sul tema della solitudine, perché è in qualche modo collegato al modo in cui ci percepiamo quando siamo single.

Mi riferisco al fatto che al giorno d’oggi ci sono atteggiamenti opposti al momento di parlare del fatto di essere single. Uno di questi è vederlo come qualcosa di terribile, perché in parte si collega – e in modo molto drastico – alla solitudine. E pensando alla solitudine, questa viene vista come un male da sradicare o una triste realtà che merita compassione, quando in realtà se sappiamo approfittarne è tutto il contrario.

Dall’altro lato, però, si può percepire il fatto di essere single anche come qualcosa di splendido, quasi un ideale elevato, che permette di fare ciò che si vuole e quando si vuole, concentrandosi su se stessi, sulla propria carriera, su quello che “ci fa bene”, ecc. Penso che questo aspetto abbia a che vedere con un’altra interpretazione errata della solitudine, vista come uno spazio interiore in cui non entrano né devono entrare gli altri.

La solitudine in sé non è negativa

In questi tempi in cui ogni pensiero è oggetto di un tweet e non usciamo senza documentare tutto ciò che facciamo su Instagram, credo che ci si disperi un po’ quando ci si trova da soli con se stessi, vivendo qualcosa che non si può condividere.

La solitudine viene considerata qualcosa di scomodo, e in un’epoca in cui non vogliamo che nessuno ci tiri via dalla nostra zona di comfort vogliamo liberarcene.

Imbattersi in questa crisi è però molto positivo per capire che siamo persone, e in quanto tali abbiamo uno spazio interiore, intimo, che ci appartiene e che non è per un’altra persona. Capire che quello che sentiamo non lo può provare nessun altro. Se lo capiamo senza frustrarci, possiamo trarne molte cose positive.

Ad esempio, imparando a vivere il silenzio che accompagna la solitudine possiamo crescere nella vita interiore. L’indipendenza ci fa maturare e valorizzare molto di più gli altri. Possiamo imparare a contemplare, e in questo modo di contemplazione scoprire quello che Dio ci vuole rivelare in ogni evento che ci si presenta.

Santificazione o egoismo?

Anche se possiamo trarre molti beni spirituali da una solitudine ben vissuta, spesso bisogna discernere se la nostra solitudine è una circostanza da santificare o un isolamento per egoismo, per il fatto di non avere pazienza con il prossimo, di volerci riservare del tempo per noi anziché condividerlo o per la superbia di pensare che nessuno possa capirci o anche “meritarci”, per il fatto di metterci al centro e di non voler cedere un po’ di spazio a chi ci circonda, e a Dio, che a volte spingiamo fuori dal nostro circolo, perché nessuno entri a turbare la nostra pace (apparente).

Single per paura dell’impegno = ulteriore solitudine

Spesso il fatto di essere single non ha tanto a che vedere con la mancanza di pretendenti, quanto con la paura di assumere un impegno. L’impegno con l’altro, più che un’opportunità di crescere in libertà e di trovare la pienezza, sembra essere qualcosa che limita o impedisce la realizzazione personale o professionale.

È così che si rimanda o si annulla una famiglia o un impegno con altre persone – o anche con Dio, che potrebbe chiamare a una vocazione specifica consacrata – e l’“ideale” è in se stessi e nel cammino che si compie. Ma da soli, perché gli altri possono ritardare i successi a cui si ambisce.

Spoiler alert: se uno sta solo per questo motivo, troverà ancora più solitudine nel cammino, perché avrà evitato lo spazio in cui avrebbe potuto trovare la sua vocazione, e come conseguenza alla risposta ad essa la sua felicità.

E se sono single e non voglio esserlo?

Forse all’epoca delle nostre nonne o anche delle nostre madri era qualcosa di inconcepibile. Ad esempio, arrivare a 30 anni senza essere sposata o senza avere una relazione stabile con la prospettiva del matrimonio era considerato quasi un incubo. A 25 anni già suonava una sirena che avvertiva che ci si stava addentrando in un terreno pericoloso, lo spazio di quelle che sarebbero rimaste “zitelle”.

Alcune persone hanno ereditato questo pensiero, e per questo vedono nella solitudine una specie di maledizione. Qualcosa di terribile da cui bisogna fuggire, ed è lì che si cade nell’errore di ricorrere in modo disperato a relazioni passeggere che finiscono per aumentare la sensazione di solitudine, o si apre una porta a una relazione tossica a partire da cui non si può mai arrivare ad amare davvero. Come terza opzione, si cade in una profonda tristezza, a volte anche in una depressione profonda che ha le sue radici nel non accettare la propria realtà, diversa da quella che si immagina o si idealizza.

Si può essere single ma non essere chiamate “zitelle”

Credo che sia importante distinguere quanto segue: una cosa è essere single, un’altra è essere zitelle. Queste ultime sono quelle che non hanno imparato a vedere nella solitudine un dono e nel loro essere single un momento per crescere, maturare e scoprire la vocazione a cui Dio chiama. Piuttosto, si sono lasciate vincere dal disagio o dalla frustrazione che ho menzionato in precedenza, e questo le ha trasformati in esseri le cui parole, pensieri e opinioni traboccano amarezza e cinismo.

Le zitelle potrebbero allora essere quelle che rifiutano di accettare la loro condizione e vanno con il cuore in mano, aspettando di vedere se qualcuno le vuole, e in quella disperazione sono capaci di accettare qualsiasi cosa inferiore all’amore che meritano, a patto di non rimanere sole.

Penso che queste persone mendichino amore. Alcuni (se nessuno vuole il loro cuore) forse glielo offrono a Dio, ma come seconda opzione, indipendentemente dal fatto che sia o meno la loro vocazione, o forse lo offrono a qualcuno, ma senza sperimentare il vero amore per la paura di non “concretizzare” quella relazione.

Non possiamo vivere senza amore

Siamo stati chiamati all’amore, creati per amore. Dio ci ha donato un cuore di carne assetato d’affetto. Egli stesso ha voluto avere un cuore umano con cui amare la gente, gli amici, come Lazzaro, Maria, Marta, sua Madre, suo padre San Giuseppe, i suoi apostoli.

Tutte quelle persone che incontrava sul cammino, come il giovane ricco che ha guardato con amore e tanti altri menzionati dal Vangelo, di cui aveva compassione quando le vedeva. Nessuno direbbe che Gesù è vissuto senza amore, anche se è rimasto single, perché Egli stesso era amore.

Accade lo stesso con noi. Possiamo trovare amore in varie parti, nella nostra famiglia, tra i nostri amici, nel servizio al prossimo o ai bisognosi. Non avere un partner non è come dire di non avere amore.

È chiaro che non possiamo vivere senza amore. Quello che dobbiamo fare è incanarlo bene, verso ciò che è nobile, verso ciò che è divino: i nostri amori terreni ci portino ad amare di più Dio, e portino chi amiamo ad amare Dio.

Finché si vive il fatto di essere single come un tempo per crescere nell’amore, credo che una persona sarà disposta a rispondere alla sua vocazione, qualunque sia, e a viverla con libertà e allegria, in modo più stabile e maturo.

Cos’ha a che vedere la vocazione in tutto questo?

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Come ho detto in precedenza, non possiamo vivere senza amore, ma questo non è sinonimo di riempirci di buoni sentimenti e spargerli sugli altri senza senso. L’amore ha dimensioni profonde, l’amore deve conoscere la dedizione, e deve portarci e portare gli altri alla felicità.

In altre parole, deve renderci santi e rendere santo chi ci circonda. E per essere santi bisogna fare la volontà di Dio, il che vuol dire rispondere alla propria vocazione. Prima di rispondere, però, bisognerebbe conoscerla, no?

Una volta che si scopre, qualunque sia la situazione, arriverà la pace. Ad esempio, se è chiarissimo che la mia vocazione è il matrimonio va bene, devo aspettare il tempo e la persona che Dio ha pensato per me.

E se vedo che Dio mi sta chiedendo un’altra cosa, come il fatto di essere single, non penserò che non avere un partner sia un’opzione triste, vuota e senza amore, ma riterrò che sia un dono che può darci pienezza e portarci lungo un cammino di gioia e amore.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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