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Studio scientifico sugli effetti dell’aborto spontaneo: non c’è nulla da “cancellare”

ABORTION

KieferPix|Shutterstock

Giovanna Binci - pubblicato il 13/02/20

La scienza conferma gli effetti psicologici dell'aborto spontaneo: le mamme hanno il diritto di piangere una perdita che è reale e dolorosa, anche se questa società spesso ci educa a pensare che la vita sia "vera" solo da una certa epoca gestazionale.

A chi ci è passata non serviva uno studio scientifico per dimostrare quello che un vissuto doloroso e troppo spesso silenzioso ha già confermato. Chi ha perso una piccola vita nel grembo, a qualunque epoca gestazionale, a volte proprio nell’ultimo trimestre, quello in cui si tira un “sospiro di sollievo” e il pensiero più insistente nei primi mesi di gravidanza, del lutto perinatale, lascia spazio a quello del parto e a quelli più dolci di un abbraccio tanto atteso o una cameretta ormai da dipingere, sa quante conseguenze fisiche e psichiche porti con se l’aborto spontaneo e quanto sia difficile elaborare un lutto spesso senza forma, con un nome appena sussurrato e un viso immaginato. Così a volte, noi mamme per prime ci affrettiamo a nascondere il dolore di questa perdita dietro a un “meglio che sia capitato ora, che più avanti”, oppure “è normale, anche i medici lo dicono”. In fondo, ognuna elabora il dolore come può, ognuna cerca le sue ragioni per andare avanti, per farsi forza, anche sulla scia di questa società che ci ha educate al pensiero che in fondo, fino a un certo momento, quella non è una “vera” vita. Ma la verità è che nessuna vita si può archiviare velocemente o sostituire con un’altra: ognuna ha avuto la sua storia, il suo tempo per essere amata, che sia stato qualche mese o qualche giorno.


FRANCESCA BARRA, CLAUDIO SANTAMARIA

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C’è bisogno anche del tempo per piangerla e di uno spazio da lasciare nel cuore che sarà per sempre suo. Allora forse, lo studio scientifico pubblicato online il 13 dicembre 2019, nell’American Journal of Obstetrics and Gynecology (AJOG), riportato da Huffinghton Post, condotto su cinquecentotrentasette donne colpite da aborto spontaneo di cui centosedici con gravidanza extrauterina, serve alle mamme certo, per prendere atto che sì, hanno il diritto di “stare male”, di elaborare quello che è un vero lutto, di versare lacrime, di prendersi tempo, di non sentirsi in imbarazzo o di dover archiviare la cosa quanto prima, anche di fronte alle affermazioni inopportune e poco sensibili di chi le circonda, ma serve soprattutto a questa società. A chi si trova a dover confortare una mamma che ha perso il suo bambino e che spesso pensa che aiutarla a “dimenticare”, a fare spazio per il nuovo quanto più velocemente possibile sia meglio, ma anche a chi crede che la differenza, nel dolore di una perdita e di un aborto, stia solo in quel “cercato” e “voluto”. Forse, mi permetto di dire che arriviamo “tardi” a riconoscere anche dal punto di vista scientifico gli effetti empirici e tangibili dell’aborto spontaneo, pure perché immersi in una cultura che rinnega il valore della vita fetale almeno fino a un certo momento: quanto meno è un po’ ipocrita pensare di piangere un bambino come il lutto che è e contemporaneamente negare a qualche altro questa dignità di essere umano. Lo studio evidenzia come i sintomi di stress post-traumatico sono presenti in quasi un terzo delle donne dopo un mese e persistono fino a quasi il 20% anche dopo nove mesi dalla perdita. A questo si aggiungono ansia in circa il 25% delle donne dopo un mese e anche oltre in più del 15% dei casi, depressione dopo un mese in una donna su dieci e in una su cinque dopo i nove mesi. Sintomi che sono risultati ancora più frequenti nelle donne colpite da perdita a seguito di gravidanza extrauterina.


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Nelle conclusioni, i ricercatori sostengono la necessità di dare un adeguato supporto a queste mamme perché l’assistenza spesso arriva in ritardo, in modo inadeguato e affrontando la questione con la poca sensibilità che caratterizza anche il contesto familiare. Eppure, come riportato sempre da Huffinghtonpost, l’aborto spontaneo colpisce circa una donna in gravidanza su cinque e in particolare in Italia, secondo i dati ISTAT, i casi all’anno sono circa circa settanta mila. E’ necessario parlarne, educare tutti alla gestione di questa perdita che, anche se non ha un volto, anche se non si è mai concretizzata in un abbraccio non è archiviabile solo come un qualcosa che “non è stato”, perché c’è anche tanto di quello che invece “è stato”, a cominciare dallo stupore, dal desiderio, dalla gioia, ma anche dalla paura, dall’ansia, dalle domande come è normale che sia quando una donna scopre di essere incinta. Tutto questo non può essere sostituito o cancellato e oggi, se ce ne fosse stato bisogno, arriva anche la conferma scientifica che abbiamo diritto a quel dolore.

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