Parlare di cibo, di tradizioni culinarie, dello stare bene a tavola non è solo intrattenimento di serie B. Quando è fatto con una certa coscienza e professionalità diventa invece qualcosa di profondamente simbolico e culturale, che ha a che fare con le persone, di tutte le latitudini. E il cristianesimo è anche la religione della tavola, della Cena definitiva!Ci sono momenti in cui si sente il bisogno di fermarsi un attimo e chiedersi: ma che cosa sto facendo? Perché quando racconto che sono una food blogger, normalmente alle persone cominciano a brillare gli occhi pensando già alle ricette che potranno trovare sul mio blog e quando scoprono che non ci sono ricette scatta l’espressione delusa e amareggiata (ho fatto solo un paio di eccezioni, come per la ricetta del Tiramisu alle fragole).
Allora comincio a spiegare che è un blog di cultura della tavola e il progetto non è, a mio modesto parere, meno importante. Mi sento come una piccola ambasciatrice dell’importanza della tavola nella società, e a supporto del valore del mio lavoro mi viene in aiuto nientemeno che il Corriere della Sera, che ha dato spazio al tema con queste motivazioni: «Abbiamo deciso di aprire un dibattito sul foodwriting. Perché ci siamo resi conto che in Italia è considerato ancora giornalismo di serie B. Serve allora una riflessione su chi vogliamo essere, per capire in che direzione crescere. Consapevoli di muoverci in un ambito che racconta la vita di tutti noi. Provarci, per il Corriere, è una sfida doverosa.» (Angela Frenda)
Vi riporto alcuni flash di quanto è stato pubblicato in questi mesi: «Scrivere di cibo, oggi, non significa più esercitare quella modesta forma di «giornalismo di servizio» che aiutava le persone — soprattutto le donne — a decidere che cosa comprare e che cosa cucinare. Il foodwriting in questi anni è cresciuto ed è diventato una branca giornalistica a tutti gli effetti, nella quale il cibo viene collegato a temi molto importanti, dall’ambiente alla salute, dalla scienza alla cultura.» (Michael Pollan, giornalista, autore di libri-inchiesta sul cibo).
«Cucinare e mangiare sono atti culturali che devono essere considerati come tali. E oggi, in particolare, il tema del cibo ha raggiunto un posto nel firmamento culturale, insieme all’arte e alla musica, alla letteratura, all’architettura e alla danza, al teatro, al cinema e alla televisione. Quindi lo scrivere di cibo, il food writing, significa anche scrivere di cultura. Scrivere di cibo è uno dei modi più importanti per spiegare la cultura di un luogo, per esplorare la sua politica, capire la sua economia, la sua storia, il suo futuro e la sua lingua. Il food writing è estremamente utile, anche importante.» (Sam Sifton, food editor del New York Times).
Condivido in pieno quindi il pensiero della giornalista e foodwriter inglese Bee Wilson: «Forse il foodwriting, in generale, suscita la stessa domanda. È utile? Tante persone credono che manchi di serietà. Che quello che noi foodwriter facciamo sia banale, irrilevante, una forma di autoindulgenza. Il foodwriting, in questa accezione, non è altro che una pantomima, uno spettacolino rispetto alle questioni importanti. I detrattori del foodwriting dicono che riguarda solo il piacere e che quindi non è utile. Non sono d’accordo.
Intanto, chi dice che il piacere non è utile? Sicuramente lo è più del dolore. Nella vita umana è raramente una cattiva idea fermarsi a prestare attenzione alle cose che ci rendono felici. Il cibo è uno dei pochi argomenti di conversazione universali. Tutti possono parlare dei propri gusti e dei piatti dell’infanzia di cui ancora vanno ghiotti. Tantissime persone leggono ricette la sera prima di andare a dormire perché il cibo, anche solo il pensiero di esso, ci può consolare come nient’altro.
Come disse una volta la storica Barbara Wheaton, «veniamo al mondo piangendo in cerca di conforto e di cibo e non smettiamo di farlo fino alla fine delle nostre vite». Proprio per questo il foodwriting non riguarda solo il comfort. Anche il benessere, la politica, l’economia e tanti altri argomenti “pesanti”».
Può sembrare strano, ma si fa fatica in Italia a trovare foodwriters, proprio da noi che in cucina siamo leader nel mondo. In realtà sta crescendo una saggistica anche nel nostro Paese, ho avuto occasione di segnalarvi alcuni libri nella mia rubrica “Distillati di sapienza”; ma questo impegno culturale non è ancora abbastanza valorizzato come in altre nazioni, viene appunto guardato come attività un po’ inutile e comunque di serie B.
Io con il mio blog e con il libro Pane & Focolare cerco di dare il mio piccolo contributo.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG PANE E FOCOLARE