In Cina sarebbero ormai 44.653 le persone contagiate dal Coronavirus, ormai chiamato ufficialmente Covid-19. L’epidemia ha fatto almeno 1.113 morti. Una situazione preoccupante alla quale i cattolici (come tutti) devono adattarsi. Così essi si trovano sottoposti a regole sempre più stringenti che toccano anche i contesti di pratica comune della loro fede. Aleteia ha potuto contattare un prete delle Missioni Estere che vive a Hong-Kong.
Il Coronavirus ha provocato in Cina la morte di 1.113 persone, e ne ha contaminate (stando alle dichiarazioni fornite dalle autorità cinesi) 44.653. Da parte dell’OMS si ritiene che ci sia «una realistica possibilità di stoppare» la propagazione del virus nel mondo (il 99% dei casi sono stati localizzati in Cina), ma resta pur sempre vero che il virus rappresenta «una gravissima minaccia». Stando a rare testimonianze in loco, sembra aver preso piedi la psicosi, e il governo cinese dà prova di grande severità per proscrivere l’epidemia, instaurando coprifuoco e divieto di riunione.
A Hong-Kong è la diocesi che ha dato la settimana scorsa delle indicazioni molto strette per i cattolici. Così, per evitare quanto possibile gli assembramenti nei luoghi chiusi, la diocesi ha deciso di accordare ai fedeli cattolici una dispensa dal precetto festivo, dando a ciascuno la possibilità di assistere alla Messa domenicale via internet, con un sito dedicato. È stato anche suggerito – ai fedeli che hanno visitato una regione toccata dal Coronavirus, che hanno viaggiato all’estero o che sono stati in contatto con delle persone sospettate di contagio – di non assistere alla Messa e di restare in isolamento per quattordici giorni. In ultimo, per quelli che assistono alla Messa è obbligatorio l’uso della mascherina, ed è vivamente raccomandato di accordare la più grande attenzione all’igiene personale, nonché di mantenersi a una certa distanza gli uni dagli altri.
Ordinato nel 2013 per le Missioni Estere di Parigi (MEP), padre Nicolas de Francqueville è prete a Hong-Kong, dove la popolazione è cattolica per l’8%. Ha imparato il cinese cantonese, che parla correntemente, essendo ormai residente nel paese da cinque anni. Ogni domenica, circa 2.500 cattolici partecipano a una delle sette messe celebrate nella sua parrocchia, Holy Redeemer Church. Prova del dinamismo del cattolicesimo sul posto, il prete accoglie un centinaio di catecumeni l’anno, e nella diocesi sono quasi tremila quelli che accolgono la fede nella veglia di Pasqua.
Aleteia: Può descriverci lo stato d’animo che regna a Hong-Kong con la propagazione del Coronavirus?
Padre Nicolas de Francqueville: Chiaramente c’è un clima di psicosi e di paura senza precedenti, che arriva direttamente dopo più di sei mesi di manifestazioni e di violenze, che hanno già profondamente diviso la società e le famiglie. Inutile dire che il morale degli abitanti non è migliorato: in una città iperpopolosa e molto competitiva, in cui le persone cercano di difendersi le une dalle altre e mettono l’igiene e la sicurezza in cima alle priorità, il virus non fa che decuplicare quest’atteggiamento di paura, tanto più che il trauma della SARS, dal 2003, non ha abbandonato l’immaginario.
Come trascorre la giornata delle persone?
Le vacanze del Capodanno cinese sono state prolungate per più di un mese per tutte le scuole e per gli studenti (fino all’inizio di marzo, e si attende un nuovo prolungamento). La maggior parte delle attività di formazione, degli svaghi, dei momenti di raccolta sono annullati o sospesi fino a nuovo ordine. Le persone restano a casa e, se escono, l’uso della mascherina è imprescindibile. Non portare la mascherina per strada e ancora di più sui mezzi pubblici è visto come una provocazione e trasforma la persona in appestato da tenere alla larga. La mascherina è diventata un cimelio raro e caro, e le persone fanno la coda per diverse ore, giungendo anche alla rissa, per aggiudicarsene una.
Lei incontra dei malati?
Le visite in ospedale sono proibite per i parenti, ma come cappellano dell’ospedale, e con l’accordo dei medici, valutando caso per caso, posso continuare a visitare alcuni malati che fanno domanda del sacramento dell’Unzione o della semplice Riconciliazione. Questa settimana, se tutto resta com’è, dovrei battezzare una catecumena che secondo i medici sta per morire.
La diocesi di Hong-Kong ha adottato misure molto strette?
Sì, la diocesi pubblica regolarmente nuove misure, sempre più stringenti, per evitare ogni rischio di contagio. Glie ne elenco alcune, ché la lista completa sarebbe troppo lunga: l’uso della mascherina è obbligatorio e sono vietati messalini e libretti dei canti. È proibito cantare, a parte l’Alleluia e il mysterium fidei. Il sacerdote e i ministri della comunione si comunicano per ultimi e debbono lavarsi le mani col disinfettante prima e dopo. La comunione non si fa sotto le due specie e viene data unicamente in mano. I fedeli che ricevono il corpo di Cristo sono invitati a rispondere “Amen” nel loro cuore e non ad alta voce… Bisognerebbe aggiungere alcune misure che non possiamo applicare, per mancanza di mezzi, come quella recentissima di fare lo scan termometrico a infrarossi di ogni parrocchiano che entra in chiesa. Ma sono più di 2.500, tra le sette messe della domenica!
Lei ha il diritto di spostarsi?
Più o meno… L’ultima misura della diocesi è di costringere ogni cattolico che torna dall’estero (non importa la destinazione) – prete o laico che sia – a mettersi da sé in quarantena a casa dandosi quindici giorni di isolamento assoluto. Il governo invece non chiede quarantene che per quanti tornano dalla Cina continentale, dove il rischio è più elevato. Era previsto che partissi per la Thailandia, in questi giorni, per una sessione di formazione permanente MEP organizzata da lunga data, ma ho dovuto annullare all’ultimo momento perché tornando qui mi sarei dovuto mettere in quarantena quindici giorni, il che non è compatibile con il mio ufficio di parroco.
Come fa, da cattolico, a resistere?
Il clima è piuttosto agitato, ma bisogna anche rendere grazie perché possiamo continuare a celebrare l’eucaristia. Rendo grazie anche per i cattolici di Hong-Kong, che conservano la fede e continuano a venire in buon numero alle differenti messe del fine-settimana, laddove i luoghi di assembramento sono considerati rischiosi e pertanto sconsigliati. In Cina continentale e a Macao, tutte le chiese devono essere chiuse per ordine del governo. Il virus, in questo senso, è stato una buona occasione per un giro di vite nel controllo sulle attività religiose.
Qual è il suo messaggio, oggi?
In cinese, la parola “crisi” si traduce con due caratteri: 危機. Il primo carattere, 危, indica la pericolosità, mentre il secondo, 機, indica l’opportunità. Che questa nuova crisi ormai mondiale diventi anche un’opportunità di rinforzare i legami di solidarietà, di crescere in umiltà, di rallentare l’usitato sfrenato ritmo di vita per ricentrarsi sull’essenziale: l’amore incondizionato di Dio – che ci vuole «sale della terra e luce del mondo» – per ogni persona.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]