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Il consiglio decisivo che ho ricevuto dal mio parroco quando ho condiviso con lui una lotta recente

PRAYING

Khosro | Shutterstock

Calah Alexander - pubblicato il 12/02/20

Quella conversazione casuale in chiesa mi ha fatta fermare

Qualche settimana fa, in una conversazione casuale con il mio parroco, ho ricevuto il consiglio migliore che mi abbiano mai dato in tutta la mia vita. Gli stavo raccontando del mio tentativo di perseguire una carriera diversa e dei vari ostacoli che stavo affrontando. Non solo spaventa pensare a un grande cambiamento lavorativo a 35 anni con cinque figli che dipendono da me, ma si tratta di un cambiamento drastico. È qualcosa che non ho mai preso in considerazione – non è una cosa di cui pensavo di essere capace anche solo pochi mesi fa. Mi ci è voluta moltissima fede per prendere sul serio quest’idea.

Mentre gli stavo spiegando questa sfida e tutte le paure e i dubbi che la circondano, il sacerdote mi ha fermata per dirmi: “Hai chiesto a Dio di aiutarti al riguardo? Gli hai detto che vuoi questo chiedendo il suo aiuto?”

Non ha detto “questo” intendendolo in modo generale, per comprendere l’ampio spettro di desideri, speranze e paure – stava parlando di un “questo” specifico. Questa carriera, in questa città, e queste sfide che temevo. Un obiettivo specifico, accompagnato da un ostacolo specifico, ed entrambi sfidavano debolezze specifiche che so di avere.




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Non sapevo cosa rispondere. Ho detto qualcosa del tipo “Sicuro, ci ho pregato su”, ma lui mi ha fermata e mi ha detto: “No, Calah. Non ti sto chiedendo se hai pregato in generale. Ti sto chiedendo se hai chiesto a Dio di aiutarti in questa cosa specifica – di aiutarti ad affrontare queste paure”.

Non lo avevo fatto. Non avevo mai chiesto a Dio una cosa del genere – pregare Dio per qualcosa di concreto mi era sempre sembrato nella migliore delle ipotesi presuntuoso, se non egoista, come se volessi che Dio facesse andare la mia vita nel modo che volevo io anziché in quello che voleva Lui. Ma quando l’ho detto al sacerdote, lui ha scosso la testa e ha detto: “Calah, se questo non va nel modo che desideri, ti allontanerai da Dio e non gli parlerai più?” Ho riso e ho risposto: “Ovviamente no”. Il mio parroco ha detto: “Lo so, e lo sa anche Dio. E allora perché non lo preghi per questo, visto che significa tanto per te? Lui vuole essere parte della tua vita – più della tua famiglia e dei tuoi amici. Vuole che tu gli chieda le cose che desideri di più, al punto che te l’ha detto nella Scrittura! Fidati abbastanza di Lui da chiederglielo”.

Tutto quello che ha detto mi ha risuonato come nient’altro aveva mai fatto da molto tempo. Nel corso degli anni ho sviluppato in qualche modo l’idea che fosse scortese, presuntuoso nonché egoista pregare Dio per cose specifiche. A volte lo facevo, ma poi facevo rapidamente seguire a queste richieste un caveat – “Ovviamente, Dio, se questo non è ciò che vuoi donami la grazia di accettarlo”. Solo con quella conversazione, però, mi sono resa conto che il mio caveat, la mia riluttanza a pregare Dio per cose specifiche, non era un segno di umiltà, ma un muro che alzavo tra me e Dio.

Dentro di me, penso di temere che Dio non possa o non voglia assecondare i desideri del mio cuore. A volte è probabilmente dovuto alla paura di non meritare cose buone, altre volte è più che altro il dubbio che Dio si curi molto di me. Ad ogni modo, fino a quella conversazione non mi ero mai resa conto di quanta poca fiducia e vulnerabilità mostrassi a Dio, mio Padre e Creatore.

Come qualsiasi persona cresciuta in una famiglia cristiana, ho sempre saputo che il nostro Dio è onnisciente. Sa tutto, anche i miei pensieri prima ancora che mi vengano in mente. E allora, se Dio già sa tutto ciò che ho in mente, perché annoiarlo ripetendolo? Quando pregavo, cercavo invece di mostrare a Dio il meglio di me. Non il mio vero io, ma quello che pensavo che gli sarebbe risultato più gradito. Ma quando ci ho ripensato alla luce di quella conversazione, mi sono resa conto che il meglio di me era solo un’altra forma di disonestà.

Non conta che Dio conosca i desideri del nostro cuore – se rifiutiamo di dirgli quali sono, sicuramente gli spezzerà un po’ il cuore. So che mi spezza il cuore quando i miei figli non sono onesti con me sulle cose che vogliono o di cui hanno bisogno, o con cui lottano – soprattutto quando so già quali sono queste cose. Non voglio forzare loro la mano. Non voglio che mi dicano qualcosa che non vogliono dirmi. Voglio che si fidino abbastanza di me da sapere che li amerò e li guiderò e aiuterò in qualsiasi modo mi sia possibile, anche se va oltre le mie capacità.

Tenendo a mente questo, ho iniziato a pregare in un modo diverso. Ero a disagio, ma ho iniziato a chiedere a Dio quello che volevo davvero… e sono rimasta scioccata da quanto fosse potente questa azione. Non solo l’atto di dar voce ai miei desideri li ha resi più reali per me, ma mi ha anche aiutata a capire perché volevo quelle cose. Sono riuscita a esprimere – sia a Dio che a me stessa – tutte le mie motivazioni più profonde e tutte le paure segrete che ho nascosto per tanto tempo da non esserne neanche consapevole. Le mie preghiere sono diventate più autentiche, genuine e vulnerabili di quanto non fossero mai state. Non sono finiti caveat e scuse, ma apro a Dio il mio cuore, e nel farlo sono riuscita a vedere il mio cuore molto più chiaramente di quanto non abbia mai fatto in passato.




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Riguardo alla mia preghiera specifica, la risposta che ho ottenuto è stata sia positiva che negativa. Ho ottenuto un via libera dove me lo aspettavo, e ho inciampato laddove ero invece convinta del mio successo. È stato incredibilmente difficile, ovviamente, ma anche un grande dono. Mi ha permesso di vedere che avevo sopravvalutato sia i miei punti di forza che le mie debolezze. Mi ha aiutata a capire che il mio orgoglio mi aveva resa cieca di fronte alle mie mancanze, ostacolandomi anche nel vedere i miei veri punti forti. È stato un momento disorientante di riorganizzazione del carattere che mi ha mostrato tutti i modi in cui avevo fatto male le cose, e come raddrizzare quei sentieri tortuosi. Penso che non sarei stata in grado di vedere chiaramente quello che Dio stava cercando di mostrarmi se non fossi stata tanto specifica nella mia preghiera.

Quando ci apriamo a Dio e lo invitiamo a vederci completamente – mancanze e tutto il resto –, c’è una vera grazia che accompagna il tutto. È la grazia di riuscire a vederci chiaramente e di renderci conto, in certi casi per la prima volta, che in alcune situazioni i nostri punti di forza sono in realtà mancanze e queste forze. E con quella grazia vengono anche la speranza e la fiducia che Dio ci donerà la forza per diventare più simili al popolo che vuole che siamo – più simili a Lui.

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