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Rincontra la figlia morta grazie alla realtà virtuale: era come il paradiso!

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Screenshot | YouTUbe | MBCdocumentary

Silvia Lucchetti - pubblicato il 11/02/20

Le modernissime tecnologie hanno permesso ad una donna sudcoreana di interagire con l'avatar della sua bambina morta nel 2016.

“I met you” (Ti ho incontrato) è il titolo di un sorprendente documentario televisivo targato Munhwa Broadcasting in cui Jang, una mamma sudcoreana, interagisce nella realtà virtuale con Nayeon, la figlia morta prematuramente nel 2016 all’età di sette anni a causa di un male incurabile (Repubblica.it).

La tecnologia, con tutte le sue stupefacenti potenzialità, ha permesso a Jang di “rincontrare” la sua bambina, o più correttamente una sua realistica riproduzione elettronica, tre anni dopo la morte.

Mamma e figlia (virtualmente) di nuovo insieme

Un documentario emozionante e assurdo, simile ad uno di quei sogni in cui rivediamo i nostri cari defunti e parliamo con loro ancora una volta. Quante volte al risveglio abbiamo detto: “era come se lui/lei fosse di nuovo con me!”. Mamma Jang avrà pensato lo stesso i momenti seguenti all’esperienza che ha potuto vivere grazie all’ausilio di un casco virtuale e dei sensori per le mani che le hanno permesso di entrare in un mondo digitale che l’ha introdotta in un paesaggio campestre, con prati e alberi e dove ha incontrato la figlia, animata in 3D. Un modello ricreato sulle immagini di Nayeon con i movimenti replicati catturando in digitale il moto di un bambino, proprio come si fa al cinema e nei videogame (repubblica.it).

Jang vede la sua bambina e comincia a piangere: è incredula ma si comporta come se Nayeon fosse davvero lì e in fondo lo è, almeno la sua fedele “immagine”. Abitino viola, borsetta a tracolla, capelli neri sciolti fino alle spalle. E così cerca di toccarla, le parla, le sorride, la guarda: è tutta protesa con il corpo verso sua figlia. La voce le trema mentre interagisce con la bambina e mi viene in mente il film Ghost, perché lo spettatore prova gli stessi atroci e bellissimi sentimenti. Ma nella famosissima pellicola solo Sam (Patrick Swayze) può vedere Molly (Demi Moore), e soltanto alla fine – poco prima che Sam vada in paradiso – l’uomo ha la possibilità di diventare visibile agli occhi della sua amata.

L’emozione dei parenti

Jang non può abbracciare la figlia, ovviamente, perché nulla è vero, di carne, ma le opportunità della realtà virtuale, la capacità di ricreare in maniera molto fedele le persone e i paesaggi le regalano un momento unico. E così le due, nel visore di Jang, passano del tempo insieme e nel frattempo i parenti osservano la scena attraverso alcuni monitor esterni e compartecipano all’emozione di Jang. Piangono, hanno gli occhi fissi sullo schermo, mentre la piccola corre sul prato, gioca e addirittura insieme alla mamma soffia le candeline della sua torta di compleanno. Le emozioni superano la realtà virtuale, travalicano la finzione tecnologica annullando così, pericolosamente, il confine tra simulazione e vita vera.

“Era come fosse il paradiso”

La bimba regala poi un fiore bianco alla mamma e poco dopo si addormenta. Accanto a lei appare una luminosissima farfalla che inizia a volare intorno alla madre e poi in alto sempre più in alto, verso il cielo.

“Ho vissuto un momento felice, il sogno che ho sempre voluto vivere” ha raccontato Jang. “Era come fosse il paradiso” (Ibidem).

Sempre più sottile il limite tra finzione e realtà

Possiamo facilmente immaginare la gioia e il sollievo spirituale che questa mamma avrà provato nel “rivedere” la figlia. Ma questo tipo di tecnologie possono generare conseguenze pericolose assottigliando sempre più il limite tra finzione e realtà. Se da un lato la realtà virtuale potrebbe rappresentare un valido strumento di aiuto nell’elaborazione del lutto, dall’altra fa correre il rischio di non accettare mai la morte dei propri cari, in un certo senso di non farli morire mai.

L’ispirazione all’eternità è costitutiva dell’essere umano – “era come fosse il paradiso”, dice la signora Jang – e l’uomo da sempre ha cercato di realizzarla, culturalmente con la gloria della fama, oltre che tramandando la parola scritta, e biologicamente con la trasmissione dei propri geni alla prole. Oggi la tecnologia permette di creare degli avatar teoricamente immortali, ma per quanto possano scimmiottare l’originale sono in fondo dei robot. L’amore è la forza più potente dell’universo che trascende il tempo e lo spazio ma forse è necessario ricordare, per non perdersi nella finzione, che nessuna tecnologia può sostituire la vita e quindi la morte che ne è parte. L’unica autentica strada per l’eternità è quella che ha tracciato Gesù Cristo resuscitando da morte per mostrarci come solo il suo amore è in grado di far proseguire la vita dopo la tomba.

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