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Prima di innamorarti, sposati!

ROSE
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Robert Cheaib - pubblicato il 10/02/20
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L’invito che ti rivolgo – «Prima di innamorarti, sposati» – potrebbe essere terribilmente frainteso. Non ti sto invitando a quello che mi pare sia addirittura una specie di reality show in cui le persone si sposano con degli sconosciuti scelti a tavolino per loro, per poi vedere come vanno (o, più realisticamente, come non vanno le cose).

Ti sto proponendo una cosa elementarissima. La dico con altre parole, forse meno incisive, ma più chiare: prima di entrare in relazione con un’altra persona, vivi una sana relazione con te stesso. I suggerimenti che ti proporrò in queste puntate sono frutto di un lavoro prolungato realizzato con coppie di sposi e di fidanzati oppure con persone che desiderano prepararsi all’amore in maniera più sana, sia perché sono passate attraverso l’inferno di relazioni erronee, sia perché sono desiderose di vivere bene le primizie dell’amore.

Questi consigli sono stati condensati in 10 passi verso la felicità di coppia, quale sottotitolo audace del libro Il gioco dell’amore.

Il primo passo, appunto, è «osa essere te stesso».

Sembra la cosa più evidente essere e voler essere se stessi, ma non è così. Lo psicologo Carl G. Jung ricorda che «in ognuno di noi c’è un altro che non conosciamo». Il poeta Rainer Maria Rilke spiega a un giovane che «vivere, esattamente, significa trasformarsi in se stessi». La santa e mistica cattolica, nonché dottore della Chiesa, Teresa de Jesús spiega che «non c’è peggior ladro di noi che noi stessi».
Da qui l’invito – con la sensibilità della volpe che si rivolge al piccolo principe: «addomestica te stesso», «addomestica la tua solitudine, la tua unicità».

È bella la parola “addomesticare”. Sa di casa, di famiglia. In essa troviamo il gesto di ospitalità, di portare a casa (dal latino ad domus). Parlare di addomesticare la solitudine è quindi un atto di riconciliazione con la solitudine che fa e deve far parte dell’esistenza umana.

Nessuno può farti star bene se non stai bene con te stesso. Per questo urge imparare l’arte di stare con se stessi. Se non sai stare bene da solo non saprai stare bene con gli altri. Il tuo modo di rapportarti a loro sarà sempre un rapporto di attaccamento utilitaristico. Saranno un mezzo per colmare il tuo angosciante isolamento. Loro si sentiranno usati e tu scoprirai che nessuno è una prolunga o un’eco del tuo ego.

Se la persona non riesce a stare bene nei propri panni, se non riesce a stare a galla nella sua esistenza, non vedrà l’altro come persona ma come salvagente. Se l’uomo non è riconciliato con se stesso, la ricerca dell’altro sarà sempre una fuga da sé e l’altro non avrà alcuno da incontrare, ma solo un’anima in pena e in fuga che vorrebbe riscattarsi con uno sguardo d’amore altrui verso un io che non ama se stesso.

Non si può vivere l’amore come fuga da sé, perché nell’amore l’unica “cosa” che conta dare è se stessi.
L’interiorità dell’uomo è come una stanza. Se la persona non trova la sua stanza interiore bella e accogliente, evita di entrarci e passa il suo tempo fuori. Più la stanza rimane chiusa più l’odore soffocante del chiuso la rende invivibile. Per interrompere questa dinamica, l’uomo deve avere il coraggio di sopportare la difficoltà iniziale di odorare e ordinare la sua stanza interiore. Deve cominciare ad abitarla e abituarsi a vivere in essa.

Fuggire da se stessi è una fuga dalla libertà. Una delle grandi scoperte liberatorie dell’esistenza è quella della «stanza silenziosa» come la chiama Etty Hillesum. Quando la si scopre, si inizia a portare con sé e in sé «una grande e feconda solitudine. E talvolta, il momento fondamentale di una giornata è la quieta pausa tra due respiri profondi, quel tornare fino a se stessi in una preghiera di 5 minuti». Chi vuole amare (e amarsi) deve imparare a pregare!

Tante coppie si formano non per scelta, ma per un certo fatalismo; non per pienezza d’amore, ma per paura degli echi di vuoto affettivo ed effettivo della propria esistenza. La nostra solitudine non è da esorcizzare, bensì da esercitare. L’incapacità di saper stare da soli spinge le persone a rifugiarsi nell’amore come antidepressivo, come droga, come sedativo e a costituire delle «bébés couples», coppie fatte di individui che si rifugiano nell’amore dalle loro identità incerte. L’arte di saper stare bene da soli, invece, apre a un grande privilegio: quello di poter scegliere con chi stare.

Per cui, il primo pilastro che ti regalo, non lo devi cercare in nessuno, ma in te stesso. Ultimo hint. per una persona di fede, questo sposare se stessi avviene in un’atmosfera stupenda. Si chiama la preghiera. Pregare non è tanto dire preghiere, ma entrare alla presenza di Dio. È vedersi negli occhi di Dio. Vedendoti con i suoi occhi amanti, ti potrai amare e accettare più facilmente. Scoprirai che la tua solitudine è visitata e che sei «un prodigio».

Gesto pratico

Trova un tempo per stare con te stesso. Un tempo chiamato revisione di vita. È uno sguardo benevolente che punta non a giudicare la tua esistenza, ma a riconoscerla, E, come credente, a essere riconoscente. Non ci vogliono le ore. Bastano – per cominciare – dieci minuti al giorno. Te li meriti!

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