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La felicità esclude la sofferenza? È solo “happiness”?

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Habrus Liudmila | Shuttetrstock

Chiara Bertoglio - pubblicato il 03/02/20

Felicità non è assenza di dolore, perché per non soffrire basta spesso non amare. Ma quanto sia umana una vita senza amore non lo so.

Ho appena terminato la lettura di un libro avvincente come un romanzo e profondamente coinvolgente sia dal punto di vista intellettuale sia da quello emotivo. Si tratta di Happiness. A History di Darrin McMahon. Premetto che lo consiglio a chiunque abbia il coraggio di tuffarsi in centinaia di pagine fitte di un inglese scorrevole, spesso spiritoso, denso seppur non arduo.
Lo scopo del libro è ambizioso: delineare una storia del concetto di felicità nella storia umana (o meglio, nella Storia di ciò che siamo abituati a chiamare “cultura occidentale”).
Ovviamente, tale Storia finisce per sovrapporsi alla storia del pensiero, alla filosofia, anche se l’autore prende in considerazione non soltanto i “pensatori” canonici, bensì anche artisti, scrittori, musicisti, e maîtres à penser come uomini religiosi o politici.
Fra gli elementi più interessanti e, direi, sorprendenti, è che la felicità abbia iniziato ad essere considerata un bene raggiungibile, e quindi un diritto, solo in tempi molto recenti (diciamo dal Settecento in poi).
Al di là dell’apprezzamento per un lavoro eccellente e godibile, ho un paio di osservazioni che vorrei condividere con i miei amici.
La prima riguarda il silenzio delle donne: purtroppo, non è una novità che nella storia del pensiero umano le donne siano rimaste (siano state tenute) silenti. Colpisce, però, che su un argomento che sta tanto a cuore ad ogni essere umano ci sia rimasto così poco da parte delle donne; e forse ciò non è senza conseguenze sulla seconda osservazione.
E tale seconda osservazione è che mi ha stupita la rarità con cui si incontra, nella storia del pensiero, l’idea che la felicità consista nell’amare e nell’essere amati. C’è chi pone la felicità nel benessere; chi nella virtù; chi nel piacere; chi nella libertà; chi nell’assenza di sofferenza; sorprendentemente pochi sono quelli che la situano nell’amare e nell’essere amati.


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E in questo, onestamente, credo che le donne della Storia avrebbero (o avrebbero avuto) molto da insegnare. Pur non essendo mamma io stessa, devo dire che, fra le poche occasioni in cui qualcuno descrive la perfetta felicità, moltissime riguardano il momento in cui si prende in braccio per la prima volta un figlio, oppure il momento in cui ti chiama “mamma” per la prima volta, o momenti legati ai successi dei propri figli.
E questo darebbe un significato secondo me più grande e più vero alla felicità, un significato che la nostra società (che spesso si limita a pensare la felicità come benessere [materiale]) farebbe bene a recuperare. La felicità non sarebbe quindi solo “happiness” nel senso di “be happy”, bensì qualcosa che non esclude, dal suo interno, anche la sofferenza, la preoccupazione, il dolore. Nel dare la vita c’è gioia e c’è dolore, e probabilmente entrambi in massimo grado; ma forse la felicità risulta dalla combinazione di entrambi.
Felicità non è assenza di dolore, perché per non soffrire basta spesso non amare. Ma quanto sia umana una vita senza amore non lo so.
Felicità, io credo, è proprio la coscienza del fatto che la propria vita ha un perché, ha un senso; e tale perché e tale senso si trovano molto più facilmente e molto più sicuramente quando si cercano nell’amore. Voi cosa ne dite?

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG DI CHIARA BERTOGLIO

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