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Coronavirus: è italiano e quasi tutto rosa il team che ha isolato il virus

Spallanzani coronavirus

Andreas SOLARO / AFP

Annalisa Teggi - pubblicato il 03/02/20

Ora il vaccino è più vicino, grazie al lavoro eccellente di tre virologhe dello Spallanzani che in appena 48 ore hanno rintracciato la sequenza genica del Coronavirus.

Domenica 2 febbraio, a sole 48 ore dal primo caso accertato in Italia, il Coronavirus è stato isolato nel laboratorio di Virologia dell’istituto nazionale Malattie infettive dell’ospedale Spallanzani di Roma. È stato sequenziato il codice genetico del virus e questo significa, tradotto in termini facili, che siamo più vicini al vaccino. Mentre nel racconto mediatico si guadagnava spazio il panico della gente comune nel nostro paese e nel mondo, qualcuno era al lavoro.




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L’Istituto Spallanzani è un’eccellenza italiana che ora può appuntarsi sul petto questa medaglia di merito, una notizia accolta come un risultato di grande significato anche dalla tv cinese Cgtn. I nostri ricercatori, che vedremo essere soprattutto ricercatrici, hanno messo a disposizione della comunità internazionale tutti i dati che permetteranno di fare un passo avanti nella cura dell’epidemia:

La sequenza di geni, perciò, è stata “letta” per ricavarne informazioni utili per capire – ad esempio – come si trasmette, possibili farmaci a cui è sensibile. Permette cioé di studiare i meccanismi della malattia, per sviluppare le cure e creare un vaccino. È un passo fondamentale perché permetterà di perfezionare i metodi di diagnosi esistenti e prepararne di nuovi. La sequenza parziale del virus isolato nei laboratori dello Spallanzani, denominato “2019-nCoV/Italy-INMI1”, è stata già depositata nella banca dati GenBank. (da Il fatto quotidiano)

Per inquadrare bene i fatti occorre aggiungere che anche i cinesi avevano isolato il virus e avevano condiviso col resto del mondo solo una sequenza dati, in pratica non l’avevano “fatto uscire dalla Cina”. Grazie al team italiano ora si ha a disposizione il virus vero e proprio. L’elaborazione di un vaccino vero e proprio richiederà ancora dei mesi, ma lo scatto in avanti è stato fatto.

Chi c’è dietro questo successo? A lavorare senza sosta nei laboratori dello Spallanzani è stato un team composto da quattordici donne e un uomo. A completare il quadro anche la nota della provenienza geografica delle dottoresse in prima linea: Sicilia, Molise e Campania. Ci sono tutti gli ingredienti per sgretolare molti pregiudizi: non tutti i cervelli sono in fuga dal nostro paese, dal Sud Italia non giungono solo storie di malasanità ma anche talenti, le donne fanno squadra sul lavoro e si guadagnano sul campo il proprio merito indiscutibile.

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Donne forti nelle emergenze

Hanno posato sorridenti insieme al Ministro Roberto Speranza per annunciare il grande risultato ottenuto in appena due giorni di lavoro. Quali sono i volti della squadra vincente dello Spallanzani?

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La direttrice del Laboratorio di Virologia è Maria Rosaria Capobianchi, sessantasettenne di Procida. Lei è la voce autorevole dell’esperienza, una donna che ha conosciuto emergenze dai nomi terribili: Sars ed Ebola, per citare nomi molto noti all’opinione pubblica. Agli atti è annoverata tra le Top Italian Scientists e alle spalle ha una famiglia che ha imparato a capire la sua dedizione a un lavoro che non ha orari e, soprattutto, può diventare totalizzante all’improvviso. Per isolare il Coronavirus si è lavorato 24 ore su 24 senza interruzioni; il risultato è arrivato in brevissimo tempo, ma non è detto che sia sempre così.

[mio marito] ha tollerato le mie assenze, i continui viaggi, il ritorno a casa in orari improbabili. Ha capito quanto fosse importante per me poter coccolare le mie cellule. (da L’occhio di Napoli)

Più direttamente operativa nei laboratori dello Spallanzani, ma con una storia personale simile, è stata la ragusana Concetta Castilletti, responsabile dell’unità virus emergenti. Cinquatasei anni e due figli, una carriera devota alla ricerca anche sul campo: tra le molte attività, ha trascorso un periodo in Africa a studiare e combattere il virus dell’Ebola. Verrebbe da porle la classica domanda che si fa alle madri impegnate: come concilia i tempi della famiglia con quelli del lavoro? Gliel’hanno in effetti chiesto e lei ha messo da parte il verbo conciliare, parlando invece di una famiglia che ha dovuto maturare col tempo la consapevolezza del suo ruolo:

Sono abituati a questo genere di emergenze a casa mia – dice – anche perché io non mi ricordo una vita diversa da questa. E’ sempre stato così. (da Il Giornale di Sicilia)

Allo Spallanzani il suo soprannome è “mani d’oro” e a quanto pare occorre avere un tocco materno perfino quando si ha a che fare con i virus. All’Ansa la dottoressa Castilletti ha spiegato nel dettaglio le procedure svolte, ma poi ha riassunto il tutto con grazia e umiltà molto femminili:

Abbiamo cullato il virus e abbiamo avuto anche un po’ di fortuna. (da Ansa)  

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Sì certo, va messa a verbale anche l’incidenza provvidenziale del caso; ma qui c’è soprattutto da lodare l’impegno di chi compie un mestiere in prima linea, per quanto nascosto al grande pubblico, che non conosce frontiere e orari.

Il volto più giovane di questa impresa è quello della giovane trentenne, ricercatrice precaria a millecinquecento euro al mese, Francesca Colavita. E’ cresciuta Campobasso e si legge nelle tappe della sua storia l’entusiasmo appassionato di chi, prima di carriera e titoli, si butta a capofitto nel lavoro: molti i viaggi in Africa per conoscere e curare epidemie gravi. Durante le 48 ore cruciali nello studio del Coronavirus, lei è rimasta in laboratorio a “coccolare” il virus, cioé a far sì che potesse crescere ed essere pienamente sviluppato in vitro. Non è facile fare il ricercatore in Italia, la Colavita è una di quelli che ci prova e questo grande risultato appena ottenuto, a quanto pare, le permetterà di avere un contratto definitivo.

Non è mancato un applauso da parte del ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia per sottolineare il volto rosa e di squadra che dà lustro al nostro paese:

Il risultato ottenuto nel laboratorio di ricerca dell’Istituto Spallanzani guidato dalla Professoressa Capobianchi certifica ancora una volta la dedizione, la professionalità e l’elevata qualità scientifica del mondo della ricerca italiano. Una squadra per lo più al femminile, a cui va la gratitudine dell’intero Paese. La qualità delle nostre scienziate e ricercatrici dimostra come anche nella scienza le donne danno un contributo fondamentale. Continuiamo a promuovere e incentivare le giovani donne ad intraprendere percorsi di formazione nelle materie STEM. Il futuro chiede il loro coraggio, la loro intelligenza, la loro creatività.

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Se queste tre donne si stanno guadagnando applausi e titoli delle prime pagine, meritatamente, va però allargato l’entusiasmo dei nostri complimenti anche alla parte maschile della squadra, di cui fanno parte Fabrizio Carletti, esperto nel disegno dei nuovi test molecolari, e Antonino Di Caro, che si occupa dei collegamenti sanitari internazionali.

Agli addetti del settore non è nuova la notizia dell’eccellenza dello Spallanzani, mentre noi comuni cittadini rimaniamo a bocca aperta nello scoprire una realtà così luminosa, nel bel mezzo delle nostre eterne lamentele sulla sanità. Come sempre, la differenza la fanno le persone sul campo. E per l’ennesima volta abbiamo la prova che le vie molto operative del bene non sono altisonanti: mentre sembrava che Coronavirus fosse soprattutto il panico di chi era alla ricerca disperata dell’ultima mascherina disponibile, qualcuno stava al suo posto a lavorare a testa bassa. Grazie.

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