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Il tradimento, una ferita (quasi) mortale. Come salvare se stessi e la coppia

BETRAYAL

Di miami beach forever - Shutterstock

BenEssere - pubblicato il 31/01/20

Non è vero che le lacerazioni di questo tipo possono alla fine far bene alla coppia. Sono causa di un dolore molto intenso; per superarlo serve grande senso di responsabilità in entrambi i coniugi.

di Maria Teresa Antognazza, in collaborazione con Elisabetta Orioli, psicologa e psicoterapeuta

DECALOGO TRADIMENTO
BenEssere - La Salute con l'anima- Edizioni San Paolo

«La separazione è l’unica soluzione al nostro litigare. Non è possibile più nulla, ne ho subìte troppe in questi anni. Ha preferito un altro a me, cosa
posso fare per tenere ancora mia moglie»? «Non eravamo mai l’uno senza l’altra; abbiamo condiviso un sacco di momenti felici insieme, lui era
molto attento ai miei bisogni, mi voleva bene. Come ha potuto tradirmi con una ragazza che può essere nostra figlia»?  «Pensavo che la mia vita fosse finita, che avrei continuato a starti a fianco come un fantasma, ma poi ho incontrato una persona che mi ascoltava, gli raccontavo e lui mi capiva… era dolce, con te non ho mai provato certe emozioni».

Brandelli di storie raccolte nella stanza di mediazione familiare dalla professionista Rosangela Carù, esperta di “guai di coppia”. Confessioni sempre dolorose di tradimenti, sofferti o consumati, dentro relazioni a due che nel tempo hanno ceduto al grigiore della routine; una “fine” inevitabile se non si provvede alle “manutenzioni ordinarie” e alle “revisioni” periodiche del rapporto.

“L’altro” è il collega di lavoro, o un conoscente incontrato alla scuola dei figli o alla scuola di ballo, ma anche un vecchio amico d’infanzia che si ritrova, o la migliore amica della moglie… spesso è già separato e ha figli – racconta la pedagogista nel suo libro La bacchetta magica. Cento incontri nella stanza di mediazione familiare (In dialogo, pagine 160, euro 14) –. La relazione nasce per compensazione affettiva, inizia con consigli di lavoro poi di vita.

Un’esperienza purtroppo molto diffusa. E tanti sono alla ricerca di “ricette” per rimettere ordine nella propria vita o per curare le ferite. Tanto da accogliere volentieri anche una “scorciatoia” come quella furbescamente suggerita tra le righe del romanzo di Giulia De Lellis dal titolo sibillino: Le corna stanno bene su tutto (Mondadori Electa, 160 pagine, 15,90 euro). Quasi che – hanno forse sperato tanti lettori frettolosi – il tradimento possa “far bene” al grigiore della coppia, dando uno scossone alla relazione.

Una visione che emerge spesso anche nei colloqui con la mediatrice familiare: «Alimenta il rapporto coniugale», ha riferito un marito nello studio di Rosangela Carù; e un altro: «L’amante non toglie nulla a mia moglie; a lei do tutto quello di cui ha bisogno». Ma la realtà è ben altra. La ferita, infatti, provoca tanto dolore da entrambe le parti.

«Lei era solo un giocattolo per far capire a mia moglie che qualcosa non andava tra noi due…, confessa lui a un certo punto della seduta dalla mediatrice familiare. Ho usato l’altra donna, ma non è servito a nulla: ho perso ugualmente mia moglie»! Leggi anche:Coppia e tradimento: risalire alle radici della delusione per tornare felici

Addio alle premesse

Tutti partono nutriti dalle migliori aspettative, immersi fino in fondo nella “promessa” delle favole: “…e vissero sempre felici e contenti”. «È la premessa di ogni storia d’amore», spiega Camillo Regalia, psicologo e membro del Comitato direttivo del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano, autore del libro Ci perdiamo o ci perdoniamo? (San Paolo, 144 pagine, 14 euro).

I finali delle favole che ci hanno accompagnati da bambini ci influenzano molto più di quanto potremmo supporre e finiscono, in qualche modo, per caratterizzare anche le speranze che riponiamo nella vita adulta di coppia. Aspettative troppo elevate oppure irrealistiche aprono però la strada alla delusione.

Federica (nome di fantasia), 50 anni, si presentava sempre da sola nello studio della psicologa e psicoterapista Elisabetta Orioli.

«Dopo 25 anni di matrimonio», racconta la professionista «aveva scoperto che il marito la tradiva. Lui improvvisamente se n’era andato di casa e tutto era venuto alla luce: aveva un’altra da tre anni, ma lei non si era mai accorta di nulla. Ora era disperata, mentre lui giustificava l’abbandono accusando la moglie di “averlo trascurato”. Eppure questa donna era sempre vissuta in adorazione del marito, servendolo e assecondandolo in tutto,  riconoscente” di essere stata scelta per moglie.

E così facendo aveva completamente perso di vista il proprio valore. Lui, di converso, un narciso patologico, la dominava e non le aveva mai neppure fatto un regalo di compleanno. Un bel giorno lei aveva deciso di iscriversi a un corso universitario serale e così alcune sere non era presente a servire la cena e accudire il marito. Tanto era bastato all’uomo per sentirsi autorizzato a farsi consolare da un’altra donna».

Ma allora, c’è qualche strada per “prevenire” che si formi un terreno favorevole al tradimento? «La relazione di coppia ha bisogno di un lavoro costante e accurato», suggerisce Orioli. «Il tradimento classico, quando un “terzo” si insinua nel rapporto a due, denuncia una fragilità nella tenuta delle “promesse” che hanno dato inizio alla vita di coppia. Fin dal principio il legame assume delle caratteristiche che i due concordano assieme, anche se magari non l’hanno deciso a tavolino. E tra le cose irrinunciabili a cui si promette di non venir meno di solito c’è la fedeltà. Un concetto che contiene il desiderio di un senso di costanza, di durata; si guarda a una dimensione costruttiva, che assicura la continuità nell’esserci, una vicinanza continua che dà una profonda sicurezza. Questo tipo di legame emana anche molto calore: ci si promette un’appartenenza reciproca che prende vita anche  attraverso riti, abitudini, che diventano un punto fermo nella vita a due. Come tutto, però, la fedeltà è doppia, non c’è nulla che è solo positivo o solo negativo; presenta delle ombre su cui occorre vigilare». È per questo – sottolinea la psicologa milanese – che all’indomani del tradimento a nulla serve interrogarsi su “di chi è la colpa”:

«In un tradimento ognuno ci sta mettendo del suo». E dunque, che cosa occorre fare? «La prima cosa è coltivare la propria identità».

Occorre mettere al centro della coppia la relazione con l’altro, e non semplicemente l’altro, come invece aveva fatto Federica che aveva idealizzato il marito perdendo di vista se stessa. Nella relazione efficace, così come io desidero uno spazio di realizzazione personale, voglio garantirlo anche al mio partner. Il secondo consiglio è avere buoni amici di coppia, con cui confrontarsi e ragionare delle dinamiche amorose. L’isolamento in questo campo è dannosissimo. È utile anche cercare percorsi formativi che possano far crescere la vita a due, incontri spirituali o anche culturali, che possono essere offerti dalle comunità parrocchiali o da associazioni di spiritualità familiare. Sono tutti strumenti per prevenire i disastri di coppia».

E dopo che cosa fare?

E se il patatrac è successo, si può curare la ferita? «Direi che ci sono margini di “cura” solo se scatta un senso di responsabilità di entrambi i coniugi di “voler capire” come hanno contribuito alla situazione», dice Elisabetta Orioli.

«C’è sempre una corresponsabilità e ci sono radici remote che vanno cercate, anche nel passato della propria vita personale, prima della formazione della coppia. È poi importante il ruolo di un “terzo” per  elaborare il dolore legato al tradimento». C’è poi la “parola magica”: perdono. «Esiste davvero», si chiede Regalia, «un buon motivo per cui qualcuno dovrebbe perdonare il coniuge che lo ha fatto soffrire? Può essere sensato pensare di non vendicarsi, ma perché proprio perdonare? » E risponde:

«Il perdono autentico, conviene: a chi perdona, a chi è perdonato, alla coppia».

Si tratta, non tanto di “dimenticare” ma di «lasciar andare», spiega Orioli.

«Perdonare nella coppia significa che entrambi riconoscono quello che è successo, ne hanno compreso i motivi e decidono di andare oltre, di buttar fuori quel dolore affinché la vita continui».



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