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Incontrarsi senza parole: la Pixar va a scuola da Madison, giovane autistica e non verbale

MADISON BANDY, LOOP, DISNEY
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Annalisa Teggi - pubblicato il 31/01/20
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Loop è un cortometraggio che parla di un incontro quasi impossibile tra un teenager chiacchierone e una ragazza autistica che non parla. Si capiranno e riusciranno ad affrontare insieme un viaggio in canoa? Connessione è una parola protagonista del nostro quotidiano, in molte accezioni lontane dal suo puro significato originale … che non è legato a pc e smartphone. Creare un legame autentico (non per forza sdolcinato, magari anche brusco ma non distratto) con le persone che entrano nel nostro vissuto è una sfida che fa sudare. Diciamolo con leggerezza, ma diciamolo: non a caso, il diavolo si è preso la parte facile, quella della separazione e del reciproco slegamento. È corroborante sapere che la strada giusta è quella tosta.


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Ci sono connessioni davvero complesse da creare e la Pixar ci stupisce nel provare a raccontarne una quasi impossibile, in un cortometraggio intitolato Loop. Uscito il 10 gennaio, arriverà da noi in Italia tra un po’, per la precisione il 31 marzo sulla piattaforma Disney+. È già disponibile a tutti, invece, il video che illustra il progetto: la storia animata di un dialogo tra opposti, tra René una ragazza di 13 anni autistica e non verbale e un teenager chiacchierone. Questi due tipi umani nella quotidianità non incrocerebbero mai le loro strade, allora l’immaginazione ha scritto per loro la trama di un incidente che li porta a sbattere l’uno contro l’altra:

La storia si svolge in un campo estivo dove i ragazzi affrontano quotidianamente delle piccole avventure in canoa e quando uno di loro arriva in ritardo, perdendo l’opportunità di andare in barca con gli amici, si trova costretto ad affiancare una ragazza autistica nella consueta gita e ad affrontare delle sfide tutte nuove. (da Greenme)

René e Markus si trovano quindi insieme su una piccolissima imbarcazione e per poter arrivare sani e salvi a destinazione dovranno imparare come l’altro vive il mondo. Non è fuori luogo tirar fuori il detto “Siamo tutti sulla stessa barca”, perché l’esperienza della navigazione – da Ulisse in poi – è immagine della piccola comunità umana che si confronta con l’elemento diverso e alieno per eccellenza, l’acqua.

Ma si può costruire un film la cui protagonista non parla? I cortometraggi sono esempio perfetto di quanto la comunicazione passi anche attraverso tutto quello che non è verbale. E il progetto di Loop fa parte di un programma sperimentale della Pixar chiamato Sparkshorts: è un invito ai giovani sceneggiatori ad accompagnare gli spettarori verso nuove esperienze di animazione, attraverso nuove tecniche di narrazione incentrate sul dar voce a chi di solito non ce l’ha.

Loop è nato da un’idea della regista Erica Milsom, già autrice di un cortometraggio bellissimo dedicato alla sindrome di Down (prendetevi il tempo di guardarlo, si intitola Troppo giallo). Il loop riguarda il comportamento ripetitivo adottato dalla protagonista, che preme continuamente un’app in grado di riprodurre delle note seguite dal suono di un cane che abbaia. La scrittura e produzione del cortometraggio è stata affiancata da un gruppo di esperti di autismo, affinché il personaggio potesse davvero riflettere un’esperienza reale di disabilità. Ma la vera anima della storia è stata lei, Madison Bandy: una ragazza autistica e non verbale che ha prestato la propria espressività al personaggio di René. Non solo, ha guidato l’intera squadra della Pixar a entrare nel suo mondo fatto di una comunicazione che passa prevalentemente dal disegno e intensi vocalizzi.



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All’inizio Madison era stata portata negli studi della Pixar, ma l’ambiente era sovraffollato e inadatto a lei. Allora, l’intera troupe si è spostata a casa sua. E mi pare il passo significativo di una vera immedesimazione. La regista Milsom si è dedicata a costruire un’amicizia con Madison e ha commentato:

Madison ha una vocalità molto espressiva ma se non la conosci è difficile capire cosa intende. E in fondo questo è il succo del film. Attraverso questi due personaggi volevo che gli spettatori rimanessero disarmati e potessero riflettere sui modi insospettabili in cui possiamo connetterci agli altri.

Ecco qui che salta fuori la connessione, quella che chiede uno sforzo propositivo per accadere. L’umano non funziona come un segnale wifi, non c’è nessun comodo pulsante per farci incontrare gli altri. Mettere al centro dello sguardo la disabilità non significa solo valorizzare ciò che normalmente si emargina, ma far fare un passo fuori dal seminato a chi si adagia comodo e beato sulle proprie capacità. Parlare è così facile – per molti. Parlare, perciò, diventa tutto tranne che parlarsi. Sono monotona e pigio sempre sullo stesso tasto; quando Dante immaginò la punizione per chi usava le parole per ingannare (i seminatori di discordie) li mise nella condizione di essere non-verbali, intrappolati in un guscio di silenzio. La sottrazione della voce, per contrasto, ne fa nascere un desiderio smodato e rimette a fuoco i cardini del discorso umano. Per essere ciascuno di noi ha bisogno di raccontarsi all’altro, di tirar fuori il magma che cova dentro.

Nessuno ha più autorevolezza nel farci riflettere su questo desiderio di essere capiti di chi affronta ostacoli insormontabili per incontrare e farsi incontrare dagli altri.