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Billie Eilish, nella camera oscura del dolore non c’è il diavolo

BILLIE EILISH

Billie Eilish

Annalisa Teggi - pubblicato il 30/01/20

Il dietro le quinte di questa star è meno inquietante di ciò che lo show-biz ha costruito per lei: tutto è cominciato da una ragazza che insieme al fratello scriveva musica parlando di un male di vivere che apre domande sincere.

Miliardi di ascolti su Spotify, centinaia di milioni di visualizzazioni su Youtube e 5 Grammy appena vinti, grazie a cui è diventata l’artista più giovane a ottenere un riconoscimento così clamoroso. Billie Eilish ha solo 18 anni ed è l’idolo indiscusso dei teenagers di tutto il mondo; non è seducente come Ariana Grande, non è l’erede di Britney Spears, non è chic ed elegante come Taylor Swift. Anzi. Molti adulti sono spaventati dal suo aspetto e dalle sue canzoni, notando un forte alone dark che negli ultimi video si spinge verso tinte che ammiccano al satanismo. Devo preoccuparmi se mio figlio ascolta Billie Eilish? – si chiedono alcuni.


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La realtà vince sull’incubo

La risposta ai genitori preoccupati richiede uno sguardo che salta a pié pari ciò che il mercato discografico sta costruendo su Billie Eilish (distorcendola, a mio avviso) e che non corrisponde al senso prevalente dei suoi contenuti. Entriamo nel merito. Il tema dell’ultimo album pluripremiato ai Grammy è quello del sogno/incubo, da cui il titolo When we all fall asleep, where do we go? (quando ci addormentiamo, dove andiamo?); l’ipotesi non è solo interessante, è finalmente qualcosa di profondo in mezzo a un pop che trasuda sconcerie da ogni banale poro.  Qualcuno, questa Billie-occhi-di-vetro, ci riporta allo stesso dramma che si poneva Amleto:

Morire, dormire. Niente altro. E dire che col sonno mettiamo fine al dolore del cuore.

Basta addormentarsi per mettere a tacere le ferite dell’anima? Questa è la vera Eilish-proposta. Ma poi, quello che immediatamente ci arriva di questa cantante sono dei video in cui la dimensione dell’incubo è esagerata fino all’eccesso (lacrime nere che scengono dagli occhi, sigarette spente in faccia, decine di siringhe piantate sulla schiena, citazioni dalle scene de L’esorcista, travestimenti da diavolo, sangue che cola dal naso) e titoli che – presi da soli – suggeriscono nichilismo, autodistruzione, violenza: Bad Guy (cattivo ragazzo) e Bury a friend (seppellire un amico). E vediamo folle oceaniche cantare a squarciagola il ritornello: I wanna end me (voglio farla finita). Sarebbe ed è più che naturale trarne conclusioni scettiche ed etichettarla come una 18enne che incita all’autolesionismo e al pessimismo depresso. Proviamo a disinnescare il meccanismo mediatico che spinge l’acceleratore sul macabro perché sa che la provocazione vende.

L’album contiene un bellissima risposta al tema del sogno, nient’affatto scontata. Mi riferisco alla canzone Everything I wanted, in cui Billie parla del rapporto con suo fratello Finneas. All’origine di questo progetto musicale ci sono infatti loro due, fratello e sorella, compositori di musica e testi fin da giovanissimi nella loro cameretta. Il testo ci porta dentro un incubo: lei sogna di buttarsi dal Golden Gate e nessuno se ne accorge. Si delinea l’ipotesi che nessuno risponda al tuo grido di aiuto.

Ma poi mi sono svegliata, ho visto
te accanto a me
e dicevi: Finché sono qui
nessuno può farti del male.

Dunque l’incubo è il suicidio e l’indifferenza, ma la realtà è una presenza di bene che resta accanto. In qualunque posto ci precipiti la voragine dei nostri pensieri inconsci e delle nostre paure, c’è un’alternativa da costruire nel vivo presente. Perché enfatizzare solo l’incubo nell’immagine prevalente che si offre di questa cantante? Lo chiedo al mercato discografico, che ha fatto scomparire dalla scena ciò che anche i fan più sinceri dell’artista apprezzano di più, il legame positivo tra fratello e sorella che cantano assieme … nel mezzo di quella crisi che è l’adolescenza. Guarda caso, però, nell’esibizione ai Grammy non è andata in scena tutta la carnevalata horror da cui siamo assaliti nei video, ma un duetto meraviglioso di Billie e Finneas.


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Sono convinta che lo show-biz stia fagocitando quella che all’origine era una proposta musicale da applaudire e che ora sta virando verso una provocazione eccessiva per otterenere facili click. Spero che Billie Eilish si scrolli di dosso gli sciacalli che la guardano come una macchina da soldi e prosegua da dove tutto era cominciato molto bene. Spero che la sua musica vada ancora a fondo del male di vivere, tralasciando diavoli e zombie posticci, e ripartendo da quel ritornello del 2017 in cui pregava che anche dalla morte fiorisse qualcosa:

Il nostro amore è due metri sotto terra, non posso fare a meno di chiedermi: se la pioggia portasse acqua sulla nostra tomba potrebbero le rose fiorire? Potrebbero fiorire di nuovo le rose?

(Ascoltatela, vi prego!)

Spegni Youtube, ascoltala

Ho conosciuto Billie Eilish su Youtube e ne sono rimasta disgustata. Poi ho ascoltato solo la sua musica e ne sono rimasta incantata. Non riuscivo a spiegarmi questo iato e ho chiesto aiuto a due amici, il musicista Walter Muto e la cantante Silvia De Santis. Walter mi ha offerto uno sguardo d’insieme sul fenomeno mondiale di questa cantante:

A me sembra una maschera quella di veicolare o comunque di spingere su certi contenuti, stile horror. Quando si toccano certi nervi scoperti degli adolescenti, è evidente che sanno di poter fare più successo rispetto al non toccarli. Se vedi Billie Eilish al di fuori del contesto costruito dei video lei è solare. I suoi contenuti non lo sono, ma lei non si mostra sempre oscura. In questo è simile ai nostri figli adolescenti che all’improvviso sono tremendamente depressi, poi dopo poco tornano solari. Mi sembra che si sia costruito un personaggio attorno a lei, per cavalcare una certa onda. Ma se la vedi anche solo 3 anni fa, lei era una ragazza acqua e sapone e il fratello sembra un ragazzo appena uscito dalla Cresima. Da allora mi pare abbiamo cucito loro addosso un personaggio preciso, anche perché c’è un progetto musicale molto solido alle loro spalle. C’è dietro un investimento cospicuo da parte dell’industria musicale, un po’ come quando emerse Lady Gaga.

Silvia mi ha riportato al cuore della musica della Eilish:

Ha una bella voce, sopranile per la precisione, che usa in modo molto particolare. Non ha un modo di cantare potente, ma intimo e sussurrato. Gli arrangiamenti dei brani sono fatti in modo ultra minimalista, molto spesso tutto è costruito sulla sua linea vocale e quasi non si riconoscono altri strumenti, se non altre voci che armonizzano con la sua. Il suo modo di utilizzare la voce, riesce a trasportarti in mondi magici e allo stesso tempo mistici.

Ho avuto la stessa impressione ascoltando soprattutto il primo album, una timida purezza che inciampa nel male di vivere. Per contrasto, la smaccata provocazione dei video mi ha dato ancora più fastidio, quasi fosse un tradimento totale della sostanza. L’eccesso vende, d’accordo. Possiamo fieramente contestare? Sì, soprattutto perché i nostri figli italiani guardano i video senza capire le parole. Faccio un esempio.


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La canzone Xanny ha un bel testo, è il quadro impietoso di una gioventù stordita e sballata a cui lei risponde: «Non ho bisogno dello Xanax per sentirmi meglio». Ha fatto centro, noi siamo la generazione che risponde alle ferite dell’anima con i sedativi. Voltate le spalle alla buona novella (a un bene incontrabile dentro le contraddizioni quotidiane), il mondo vaga in una ricerca alla rinfusa di piaceri e tranquillanti. E qui, dopo Amleto ci sarebbe da tirar fuori Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. S. Eliot; ma solo per dire che il contenuto dark non è per forza da pessimisti sull’orlo del suicidio. A fronte di un contenuto così intenso, che finalmente dice che il tranquillante non è la risposta a niente, perché costruire

in cui mani ignote spengono sigarette sul volto della cantante? Per dirci che non ha bisogno di nessuna anestesia? Per suggerire che la violenza piomba addosso senza pietà? Le immagini parlano autonomamente e se chi le guarda non capisce il contenuto della canzone, coglie l’opposto del senso giusto.

Forse è proprio questo il punto dolente. L’importante è che lo spettatore si fermi a guardare a bocca aperta, che clicchi anche senza capirci un tubo; che clicchi ignorando che dietro il sangue che cola potrebbe trovare parole non proprio distruttive. A proposito: a quanto pare, Billie Eilish è molto generosa nell’incontrare i fan dopo i concerti, più volte ha dissuaso dall’autolesionismo delle ragazze con le braccia piene di tagli. Per ora però il circo mediatico attorno a lei punta su altro, ahimé. Era anche la paladina di un modo di vestirsi opposto a chi usa la sessualità spinta per vendere di più, e ora ce la ritroviamo come un manichino marchiato Gucci e Louis Vuitton dalla testa alle unghie. Che tristezza.

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Puoi essere triste

Siamo di fronte al triste paradosso del successo, una macchina schiacciasassi capace di dirottare lo sguardo nella direzione sbagliata. In

Billie Eilish ha confessato di avere sofferto di depressione proprio a causa della fama raggiunta: piuttosto che stare di fronte all’impegno di una carriera decollata alla velocità della luce, avrebbe preferito uscire con gli amici.


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Con la stessa schiettezza ha spiegato che il tono cupo delle sue canzoni ha un senso preciso: in un mondo che ci impone di vestire a tutti i costi la maschera della felicità, si ha il diritto di dire che siamo tristi. Sono convinta che questo abbia attirato l’attenzione di tanti giovani assetati di dare un senso al proprio lato oscuro; ne sono convinta perché quando avevo 13 anni trovai un amico in chi cantava Disperato e Malinconoia. Ci sarebbe da ragionare su questo, sul fatto che i nostri figli ci chiedono di esplorare le tinte sporche di nero e di lacrime della loro anima; ce lo chiedono magari  diventando fan di chi urla al posto loro «voglio farla finita». Lo show trasforma tutto questo in spazzatura macabra, noi riportiamo il discorso sulle parole e riempiamole di esperienza. Quanto al destino di Billie Eilish, condivido la riflessione con cui Walter Muto ha incorniciato la sua parabola:

Ho notato che c’è una grande cura per le melodie che sono belle e ti rimangono addosso. Ovviamente stiamo parlando di pop, non di Mozart o di jazz. Alcune di queste melodie ricordano la grande tradizione del songwriting americano. Il fratello di Billie suona il pianoforte e la chitarra, non è uno che fa musica solo col computer. Quello che si ascolta è una musica davvero minimalista: il suono è curatissimo e ammicca alla trap e alla dance, che è quello che è di tendenza ora. I contenuti si rivolgono agli adolescenti. Evidentemente questa miscela ha funzionato. Quando lei canta, canta davvero: non ha una voce trascendentale, ma è intonata e pulita. Ha attecchito molto, bisognerà vedere cosa succede oltre questo momento in cui è il fenomeno del momento.  

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