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Sono un uomo e sono pro life. L’aborto è anche “affar mio”!

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Valentina Razumova/Shutterstock

Universitari per la Vita - pubblicato il 21/01/20

Infondatezza della tesi, spesso indimostrata, per cui un maschio non avrebbe diritto di esprimersi sul tema dell'aborto. Anzi, può farlo ma solo se è favorevole! Incongruenze dell'età del dialogo e del rispetto della diversità.

diMatteo Casarosa

Chiunque abbia fatto attivismo pro-life per un tempo ragionevolmente lungo se ne è accorto: di solito i pro-choice non gradiscono per nulla che una persona di sesso maschile parli contro l’aborto. Questo non significa che le donne che osano affermare i diritti del concepito vengano trattate meglio, anzi, potrebbe benissimo essere vero il contrario; tuttavia ad un uomo viene spesse volte detto chiaramente di tapparsi la bocca, che non ha il diritto di parlare su un argomento che “non lo riguarda”.


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In questo articolo si vedrà se l’idea che un maschio non abbia diritto di parlare riguardo (ed in particolare contro) l’aborto, che a molti potrebbe sembrare intuitiva, al punto tale che viene raramente difesa da coloro che la affermano, ha un fondamento razionale oppure no.

Come prima cosa bisogna chiedersi che cosa intende di preciso la persona secondo la quale un uomo non possa parlare di e contro l’aborto perché “deve farsi gli affari suoi” o “non può capire” o “così è troppo facile”, visto che raramente le motivazioni fornite sono più articolate e chiare delle espressioni summenzionate.

Potrebbe essere che chi avanza questo tipo di obiezioni, voglia dire che per riflettere adeguatamente su una certa questione morale è necessario averne avuto esperienza diretta, in prima persona, cosa che nel caso della gravidanza e dell’aborto è impossibile per un maschio?

Se il ragionamento soggiacente fosse questo, l’obiezione avrebbe almeno un minimo di valore. È giusto ammettere che l’esperienza diretta, soprattutto se ripetuta, di una certa situazione aiuta la riflessione su cosa sia bene fare in circostanze simili; questo è il motivo per cui si ritiene che generalmente l’età avanzata porti maggiore saggezza: chi ha più esperienza della vita avrà, a parità d’altre condizioni, una percezione più chiara di come è meglio affrontare un frangente simile a tanti altri in cui si è già imbattuto.

D’altra parte, questo vantaggio dato dall’esperienza sembra sostanzialmente limitato all’ambito della prudenza, ovvero sembra riguardare solo la determinazione dei mezzi più efficaci per raggiungere e salvaguardare dei beni, una volta che si è già stabilito quali sono questi beni che si vuole perseguire.

Sempre considerando l’età, non è raro che una persona giovane mostri un più chiaro senso della giustizia rispetto ad una più anziana. Evidentemente la capacità di determinare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non dipende in maniera preponderante dall’esperienza.

Infatti, la riflessione etica è e rimane un’attività razionale, fatta di deduzioni e di analogie piuttosto che di aneddoti personali. Nessuno pretende davvero che un filosofo abbia vissuto la guerra in prima persona per poter esprimere una posizione su quali circostanze rendano lecito scendere in guerra e cosa di preciso sia ammissibile durante il suo svolgimento. Tutto questo perché le facoltà della mente umana non si limitano solo ai sensi esterni, con cui facciamo esperienza di varie situazioni concrete, ma comprendono anche l’immaginazione, con cui possiamo figurarci situazioni che non abbiamo realmente vissuto, e la capacità di astrarre dei concetti ed usarli in un ragionamento. Avendo ad esempio i concetti di “aborto” e di “male”, possiamo argomentare a partire da premesse più evidenti per vedere se si può trarre come conclusione che l’aborto è male.

In realtà, è improbabile che chi nega il diritto di un maschio di parlare di aborto abbia in mente questo tipo di obiezione. Infatti, chi protesta in tal senso è quasi sempre un pro-choice, e non ha alcun problema col fatto che un uomo parli dell’aborto, semplicemente non tollera che parli contro l’aborto. Non ha niente da ridire sul fatto che la sentenza Roe vs. Wade, che ha legalizzato a livello federale l’aborto negli Stati Uniti, sia stata decisa da una corte composta interamente da uomini, né si lamenta del fatto che David Boonin (probabilmente il più celebre filosofo vivente a sostenere la liceità dell’aborto) scriva sull’argomento pur essendo maschio.




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Inoltre, se il punto fossero le esperienze pregresse, tutte le donne che non hanno mai vissuto una gravidanza sarebbero ugualmente escluse dal numero di coloro che possono parlare di aborto.

Ciò che ha davvero in mente chi sostiene che un uomo non abbia il diritto di parlare contro l’aborto sembra dunque essere qualcosa di nettamente diverso e decisamente meno ragionevole. L’idea è probabilmente che qualunque maschio che ritiene l’aborto un’atrocità inammissibile voglia impedirlo solo perché non ha alcuna considerazione per le donne coinvolte, sapendo che non si ritroverà mai nella loro stessa situazione.

Questo ragionamento però è poco più di un gratuito attacco personale. Come fa il pro-choice a sapere verso chi il suo interlocutore prova empatia? Non è forse possibile compatire una donna che vive forti preoccupazioni a motivo di una gravidanza indesiderata ed al tempo stesso affermare che queste non legittimano l’uccisione del concepito? Il fatto di presumere che i maschi pro-life siano egoisti e combattano l’aborto solo perché non si troveranno mai ad affrontare loro stessi una gravidanza indesiderata oltretutto è senza fondamento, infatti anche molte donne che hanno affrontato una gravidanza indesiderata combattono la battaglia a favore della vita.

Sembrerebbe addirittura che questo attacco si possa rivoltare contro la posizione pro-choice. Se è sbagliato parlare contro l’aborto qualora non si possa avere in futuro una gravidanza non è ugualmente sbagliato affermare la sua liceità qualora non si corra più il rischio di essere abortiti? Come disse il Presidente Ronald Reagan: «Ho notato che tutti quelli a favore dell’aborto sono già nati». In quest’ottica, i maschi già usciti dal ventre materno sembrerebbero gli unici veramente imparziali, e quindi, paradossalmente, i più qualificati ad esprimere un giudizio.

In realtà non è così. Non c’è alcuna imparzialità per nessuno. Anche un uomo può avere forti motivazioni personali a favore dell’aborto. Può, per esempio, desiderare che la legge permetta alla sua compagna o partner sessuale occasionale di abortire, in maniera da potersi liberare di quel figlio come se nulla fosse successo, se necessario facendo qualche pressione alla donna in questione.

Si è visto dunque che la posizione per cui gli uomini non avrebbero diritto di dichiarare ingiusto e illecito l’aborto manca di fondamento razionale.

Le ultime osservazioni fatte dovrebbero però ispirare un’ultima riflessione. Se è vero che nessuno è realmente estraneo alla questione dell’aborto perché tutti potrebbero trovarsi ad essere tentati di usufruirne, nessuno ne è estraneo anche nel senso che siamo tutti ex-embrioni. Riflettere sul fatto che c’è stato un periodo della tua vita in cui la legge di molti paesi avrebbe permesso la tua uccisione può spingerti a prendere maggiormente a cuore la questione. Considerare inoltre che in alcuni paesi come gli USA un terzo di coloro che sono stati concepiti dopo il ’73 sono stati abortiti può spingerci a riflettere su quanto poco banale sia il fatto di essere qui oggi con la possibilità di fare qualcosa per quelli che ancora non sono al sicuro.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG UNIVERSITARI PER LA VITA

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