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Se la vera storia di Cappuccetto Rosso fosse un sermone medievale sul Battesimo?

LITTLE RED RIDING HOOD

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Una penna spuntata - pubblicato il 20/01/20

Forse una probabile antenata da cui Perrault può aver tratto spunto per scrivere il suo "Cappuccetto Rosso": la storia scritta da Ecberto da Liegi però era un sermone con lo scopo di ricordare quanto fosse importante ricevere il Battesimo, unendo fede e tradizioni popolari.

Avete presente quelle bizzarre interpretazioni psicanalitiche di Cappuccetto Rosso, per cui la fiaba è una metafora dell’iniziazione sessuale della fanciulla, il vermiglio dei suoi vestiti rappresenta il primo sangue mestruale (a esser ottimisti), e l’incontro con il lupo e il cacciatore alludono, in realtà, ad tutt’altro tipo di incontri?
Ecco: con buona pace di queste interpretazioni (ché poi, è sempre molto difficile risalire alla vera origine di una fiaba), Cappuccetto Rosso potrebbe avere una genesi molto diversa da quella di cui sopra.
Per la precisione, potrebbe essere nata con un sermone altomedievale per seminaristi.

Siamo nella scuola della cattedrale di Liegi, attorno all’anno 1023. Ecberto di Liegi, che per l’appunto è insegnante in questa prestigiosa scuola, non si accontenta di tenere le sue lezioni in cattedra, ma decide di reinventarsi come…autore di libri di testo. Nasce così il suo Fecunda Ratis, un manuale antologico per gli studenti del Trivio, pieno zeppo di aneddoti, racconti, facezie a sfondo morale.
Una di queste è la favola che Ecberto intitola “De puella a lupellis servata”, letteralmente “La fanciulla risparmiata dai lupacchiotti”.
Ora, amici: io ve la ricopio paro paro, poi ditemi voi se non si potrebbe cambiare il titolo in “Cappuccetto Rosso in salsa cattolica”.

La storia che narro, la gente del villaggio la può ripetere con me; e non dovete meravigliarvi, ma anzi farete bene a credere fermamente che tutto sia vero. Un tale condusse una bambina sul fonte battesimale e le donò un abito di lana rossa (il Battesimo, infatti, ebbe luogo a Pentecoste). L’indomani, la bambina, che aveva cinque anni, uscì di casa e si mise a vagare senza meta, incurante dei pericoli che poteva correre. Ed ecco, la catturò un lupo, e la trascinò nella foresta selvaggia e profonda. L’aveva portata lì come preda per i suoi cuccioli, e infatti la gettò in pasto a loro, perché la divorassero.
I lupacchiotti si precipitarono su di lei, ma, aperte le fauci non riuscirono a morderla, anzi si misero a leccarle la testa, come se fossero cagnolini mansueti. La bambina disse loro “Vi proibisco, animaletti miei, di rovinare o fare a pezzi questo mio bel vestito, che mi ha regalato il mio padrino nel giorno del mio Battesimo”. E Dio, loro creatore, rese mansueto il cuore selvaggio di quelle belve.

Eh beh.
Certo, certo, la versione di Perrault è piuttosto diversa, e senz’altro la storia dev’essere passata di bocca in bocca subendo chissà quante trasformazioni, prima di cristallizzarsi nella versione che conosciamo tutti.
Però, dai, è innegabile che questa narrazione (tratta, del resto, da un’antologia divenuta poi molto popolare nel Medioevo…) sia da annoverare tra gli antenati della fiaba più famosa.

E potrei anche chiudere qua, ma sono troppo nerd per farlo, quindi aggiungo qualche noterella a margine su quegli elementi che rendono la favola di Ecberto così interessante anche da un punto di vista storico-ecclesiastico.




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La morale: il Battesimo è importante!

Con buona pace di chi (me compresa) si scandalizza di come oggigiorno siano, spesso, le stesse parrocchie a spostare sempre più in là l’età media dei battezzandi, possiamo consolarci pensando che…“si stava peggio quando si stava meglio”.
Nel cristianissimo Medioevo europeo, era comune che i bambini venissero battezzati quand’erano già grandicelli. La nostra Cappuccetto Rosso va al battistero all’età di cinque anni, e Ecberto – a ragione – mostra di non trovarci niente di strano. All’epoca, non era ancora in voga la consuetudine di battezzare il bimbo quand’era ancora in fasce. Tra i popolani, molti non comprendevano nemmeno l’urgenza di battezzare quanto prima il neonato; in tal senso, anche la Chiesa ci metteva del suo, officiando i Battesimi solo due domeniche all’anno (Pasqua e Pentecoste). Insomma: se per X ragioni non riuscivi a organizzarti per la tal data, poteva anche capitare di dover aspettare un anno per la successiva ‘domenica utile’.
Conoscendo questo scenario, la morale della favola di Ecberto diventa molto chiara: genitori, il Battesimo è importante! Vedete bene quali poteri soprannaturali ha! Pensate un po’ che brutta fine avrebbe fatto Cappuccetto Rosso, se i suoi genitori avessero tardato ancora un po’ a battezzarla! Al posto di Cappuccetto Rosso potrebbe esserci il vostro bimbo: ordunque, non perdete tempo, e correte a battezzarlo non appena vi è possibile!

Ma era davvero un cappuccetto rosso?

Non ho capito bene per quale ragione, ma tutti gli storici che hanno analizzato la favola di Ecberto si sono arrovellati nell’angoscioso interrogativo “ma che tipo di indumento era esattamente il vestito rosso indossato dalla bambina?”.
Ma chi se ne importa, mi vien da dire. Se anche non era un cappuccio ma era una gonna a ruota, questo cambia così tanto l’economia della storia? A quanto pare sì, a dar retta agli angosciatissimi storici. Posto che la versione originale della fiaba parla genericamente di “abito” (e cioè, dice tutto e niente), possiamo ragionevolmente supporre che la bimbetta della fiaba stesse indossando una sopravveste di colore rosso.
All’epoca, il tipico abbigliamento femminile si componeva di due strati distinti: una veste dritta a maniche lunghe, spesso di colore chiaro, che possiamo immaginarci come una via di mezzo tra la tunica e la camicia da notte, e poi una sopravveste scamiciata, tipo grembiule, da indossare sopra al primo strato. Per capirci: in questa foto, la sopravveste è quella di colore azzurro. Con fogge diverse e diversa ricercatezza a seconda delle mode e della classe sociale di chi l’indossava, la sopravveste era un capo d’abbigliamento potenzialmente anche di pregio, che completava ogni look che si rispettasse. E non poteva essere altro che una sopravveste, il capo d’abbigliamento regalato alla piccina nel giorno del Battesimo: l’avrebbe indossata, terminata la cerimonia, al di sopra della tunichetta bianca da tradizione.

Eh ma il cappuccetto? Ce l’aveva, ‘sta bambina?
Può darsi di sì, nel senso che parecchie sopravvesti erano, effettivamente, provviste di cappuccio. Alcuni storici sottolineano pure che la bimba intima ai lupi di non rovinarle il suo bel vestito proprio quando loro cominciano a leccarle il volto. Un ammonimento sparato un po’ a casaccio, verrebbe da dire: ‘e chi t’ha toccato il vestito?’, avrebbe legittimamente potuto rispondere il lupacchiotto.
Certo: se invece ipotizziamo che il vestito avesse anche un cappuccio alzato, allora sì che i denti dei lupi sarebbero stati pericolosamente vicini alla preziosa stoffa…


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Il rosso, un colore speciale

Resta il dubbio: ma perché proprio rosso doveva essere questo vestito da indossare sopra alla veste battesimale? Ok d’accordo, buon senso vuole che si regalino ai monelli vestiti di colore acceso perché non li macchino dopo mezzo minuto, ma perché proprio il rosso?
Ecberto lo mette strettamente in relazione col tempo liturgico: giacché il Battesimo era stato amministrato a Pentecoste, il padrino aveva scelto un abito coordinato con…i paramenti del sacerdote. Una scelta come un’altra.
Da un punto di vista molto laico e materialistico, il rosso era un colore molto cool da regalare. A causa del costo elevato dei pigmenti, i vestiti vermigli erano particolarmente ricercati. Insomma, Cappuccetto aveva ricevuto un gran bel regalo.
Resta da dire, però, un’altra cosa: tradizionalmente, nel Medioevo, il rosso era considerato un colore portafortuna. Molti fanciulli (compreso Gesù Bambino, a dar retta a certi dipinti) portavano al collo un pendaglio corallino nella speranza che esso li proteggesse dalla malasorte. Il rosso in generale era considerato un colore dai poteri apotropaici, come se potesse allontanare dai piccini le malattie esantematiche e il pericolo d’emorragie.
Partendo da questo presupposto, alcuni storici hanno addirittura ipotizzato una genesi ancor più antica, per la storia raccontata da Ecberto (il quale, in effetti, calca sul dettaglio del colore rosso con un’insistenza modaiola che, francamente, lascia interdetti). E se Ecberto, con la sua fiaba, avesse voluto cristianizzare una leggenda già esistente, per cui la bambina di rosso vestita scampava alla morte grazie al magico potere del rosso in sé e per sé?
A me sembra una tesi piuttosto convincente, che spiega quello che sennò resterebbe ad aleggiare nella mia testa come un grosso punto di domanda.

Il Battesimo, uno stato ancora più speciale

Lo so, l’ho già scritto sopra, ma lo ripeto perché Ecberto ci tiene veramente tanto a questa cosa. È chiaro che la sua fiaba nasca per sponsorizzare il Battesimo e che sia questo il suo scopo primario: se ci prestate attenzione, quello che salva Cappuccetto Rosso non è un generico miracolo di belve ammansite come se ne trovano molti nell’agiografia. No, no, questo miracolo è un miracolo chiaramente battesimale, e probabilmente non è un caso che i lupacchiotti, pronti a sbranare la bambina, si trovino invece a leccarla proprio sul viso, e cioè la parte del corpo che, poche ore prima, era stata unta col crisma battesimale.

…e poi, a proposito di superstizioni del popolino, ce n’era un’altra, molto diffusa, all’epoca di Ecberto. Era la credenza secondo cui le vesti di un neo-battezzato avevano in sé e per sé una certa qual dose di miracolosità, come se in qualche modo avessero ‘assorbito’ per contatto l’eccezionale potere del sacramento d’iniziazione.
E a me piace, a me piace molto, il modo in cui Ecberto, mescolando il sacro e il profano, riesce a unire in una storiella per bambini superstizioni popolari legate ai colori e credenze popolari legate alla religiosità dei piccoli.
Soprattutto se la sua intenzione era quella di cristianizzare una leggenda già esistente… beh: complimenti, Ecberto, te la sei studiata bene.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE DAL BLOG UNA PENNA SPUNTATA

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