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Pensieri e azioni sono decisi dal cervello o dalla coscienza?

La preghiera, un’alleata del cervello a difesa della nostra salute

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 20/01/20

Il libero arbitrio è centrale per l'uomo. Sanguineti: amore e peccato sono imputabili alla libertà umana

L’io cosciente sarebbe più un notaio che certifica i fatti quando sono già accaduti (anche se poi si attribuisce ingiustamente la scelta) che non uno stratega. Ogni nostra attività sarebbe decisa dal cervello.

Il neurofisiologo di fama internazionale Piergiorgio Strata qualche tempo ha, presentando le ultime conoscenze sui meccanismi cerebrali, concludeva che il libero arbitrio è un’illusione. Un’affermazione “rivoluzionaria”, che ha scatenato parecchie polemiche.

Gli esperimento di Libet

Un’idea del genere negherebbe il funzionamento della coscienza. Il professore Juan José Sanguineti, ordinario di Filosofia della conoscenza alla Pontificia Università della Santa Croce, esperto di neuroscienze, è scettico:

«Secondo quanto l’articolo dice, mi pare che le obiezioni all’esistenza della libertà della parte della neurobiologia siano due. Prima di tutto, quando si dice che la decisione cerebrale avviene “qualche secondo prima che la coscienza intervenga”, è ovvia l’allusione ai famosi esperimenti di Libet, che risalgono agli anni ’80 e che poi sono stati ripetuti secondo diverse modalità».
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L’origine dei movimenti

Questi esperimenti, secondo Sanguineti, «dimostrano che movimenti volontari semplici eseguiti in laboratorio, come decidere arbitrariamente di muovere un dito o una mano entro un periodo di tempo prefissato, sono anticipati da un potenziale di preparazione corticale circa un secondo prima, e anche ancora prima, che il soggetto indichi di essere cosciente di aver compiuto la decisione di muovere il dito o la mano».

Allo stesso tempo non consentono di concludere semplicemente che le nostre scelte siano sempre precedute (e quindi causate, cioè che non siano vere scelte libere) da attivazioni cerebrali.

«La scelta di muovere arbitrariamente un dito in quelle condizioni di laboratorio non è l’esempio più tipico di atto libero. C’è stata anche la scelta di decidere di sottomettersi all’esperimento. In altri casi, si può scegliere di fare una cosa tra una settimana, o tra un anno. Alcune scelte immediate, invece, possono essere quasi automatiche, perché ci si è abituati, o perché si è scelto in anticipo di entrare in un corso di azione, come chi comincia una corsa o chi comincia a suonare la chitarra, dovendo compiere in seguito molti atti semi-automatici che comunque sono liberi».




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Diversi tipi di azioni volontarie

Ci sarebbe, dunque, «molto da discutere» su questo esperimento, e «infatti la letteratura al riguardo è molto ampia e non tutti concludono che il libero arbitrio non esista».

Il problema, sostiene l’esperto, «è che ci sono molte modalità di atti volontari e che la genesi dell’atto volontario può essere più complessa di quanto possiamo immaginarci. Si pensi, ad esempio, che una cosa è la scelta libera, e un altra è l’espressione esterna di tale scelta – che poi è quello che l’esperimento di Libet misura – la quale ovviamente viene dopo nel tempo».

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Nomad_Soul/Shutterstock

Libero arbitrio e patologie

In secondo luogo, le obiezioni alla libertà nell’articolo sembrano nascere da gravi patologie in cui il soggetto compie atti criminali (il caso del cannibale-serial killer americano Dahmer) o comunque atti moralmente diversi da quello che si era abituati a fare (come nel caso di Phineas Gage, l’uomo a cui una sbarra perforò l’occhio e che dopo l’incidente da persona tranquilla divenne iroso, asociale, senza inibizione).

«Ma i casi patologici non dimostrano che l’uomo non sia libero. Soltanto dimostrano che la libertà umana, come la coscienza, la capacità di ragionare, di programmare, e così via, possa essere attenuata o perfino cancellata in determinate situazioni, come quando si ha un grave danno nelle regioni prefrontali della corteccia».


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La mente di Hitler

Senza il buon funzionamento del cervello, ragiona Sanguineti, «non possiamo esercitare la libertà, ma ciò non significa che il cervello sia la causa della libertà. Ma non sempre i comportamenti criminali sono frutto di una disfunzione cerebrale. Qualche volta una forte ideologia potrebbe portare a compiere con freddezza crimini e genocidi. Hitler era un malato mentale o forse ha provocato l’Olocausto a causa di una radicata ideologia? Se ne può discutere. Io propendo per la seconda possibilità».

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La libertà e il peccato

Nella visione cristiana dell’uomo, sottolinea il filosofo, «la libertà è una caratteristica fondamentale della persona che la rende responsabile dei suoi atti. Grazie alla libertà possiamo fare il bene ed evitare il male. Il peccato è imputabile soltanto se siamo liberi. Il merito della risposta di amore alla grazia divina corrisponde alla libera risposta umana. Senza la libertà scompare la dimensione morale dell’uomo».

La Chiesa è ben consapevole, comunque, dei «limiti» della libertà umana. E al suo interno «esiste una tradizione secolare di teologia morale, di pratica confessionale e di prassi giuridica in cui sono stati studiati accuratamente gli intralci all’esercizio della libertà – passionalità, malattia, ignoranza».


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Una visione parziale

È vero che per un neuroscienziato, ammette Sanguineti, se si regola soltanto secondo la metodologia delle scienze naturali, «la libertà può essere un mistero, qualcosa che non entra bene negli schemi spiegativi della biologia».

Il problema è quindi «metodologico». «Non si può pretendere – sentenzia – che la neurobiologia dimostri la libertà umana, ma neanche è possibile che la escluda, contraddicendo un’esperienza umana di base che è pienamente attendibile e che può essere individuata e interpretata con metodi filosofici e non con metodi empirici. La visione biologica, con i suoi metodi, è molto utile, ma è parziale».

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La complessità dell’uomo

«Queste osservazioni – conclude – non tolgono valore ai casi patologici o ad esperimenti come quello di Libet e altri simili. Al contrario, da tali esperienze scientifiche si può imparare molto sui limiti e sulle condizioni della libertà umana. L’uomo è molto complesso. Per conoscere meglio la nostra natura, occorre un rapporto armonioso e interdisciplinare tra l’antropologia filosofica, la psicologia e la neuroscienza».




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