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L’itinerario spirituale dei Beatles

THE BEATLES

Shutterstock | Michele Paccione

Martín Susnik - pubblicato il 20/01/20

Successi e fallimenti, e qualche riflessione anche per la nostra epoca

È comune che le manifestazioni artistiche siano un riflesso dell’epoca in cui si sviluppano, e se l’opera artistica è rilevante – per la qualità, la creatività o il successo (o tutti e tre i fattori, come in questo caso) – gli artisti saranno non solo il prodotto del loro tempo, ma anche i “gestori” di determinati costumi e di certe cosmovisioni.

I Beatles, forse il gruppo rock di maggior successo nella storia e per molti “la band più grande di tutti i tempi”, hanno entrambe le caratteristiche. I musicisti britannici sono stati frutto e al contempo promotori della controcultura degli anni Sessanta, con le sue inquietudini intellettuali, esistenziali e sociali in tono di rifiuto nei confronti delle risposte tradizionali e con la fiducia nel fatto che la loro ricerca rinnovata avrebbe permesso di avvicinarsi a quel mondo migliore sempre promesso e mai raggiunto.

L’itinerario dell’opera Beatle, dai pezzi più semplici e adolescenziali alle opere più liriche e musicalmente elaborate, come anche la vita personale dei Fabulous Four, ci permette di comprendere questo tentativo, con i suoi successi e i suoi fallimenti, e lascia spazio ad alcune riflessioni valide anche per la nostra epoca.

In questa sede, vorremmo ripercorrere brevemente l’itinerario spirituale dei ragazzi di Liverpool, non solo perché sono stati grandi rock star, ma anche perché sono stati forse le prime stelle di questo tipo che la gioventù dell’epoca ascoltava e seguiva non solo a livello musicale, ma anche di idee e opinioni.

Il più famoso era forse John Lennon, che ha avuto intenzioni sempre maggiori di manifestare e diffondere la propria visione politica, religiosa e filosofica.

Figlio di padre irlandese, con cui aveva perso i contatti in tenera età, frequentava la chiesa di St. Peter a Woolton, caratterizzata da un certo moralismo formalista. Ce lo portava la zia Mimi, che si prendeva cura di lui (la madre era stata uccisa da un guidatore ubriaco), preoccupata per la correzione e la decenza derivanti dal fatto di appartenere alla classe media “religiosa”.

John assisteva agli incontri giovanili della chiesa, anche se le sue ragioni erano più sociali che autenticamente religiose. I sermoni noiosi e dalla scarsa vitalità spirituale gli fecero sperimentare che “in chiesa non accadeva nulla… niente ci toccava”, come ricordava anni dopo.




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Nell’adolescenza si “convertì” al rock and roll, con una speciale “adorazione” per Elvis Presley. Sguì una reazione di ribellione, anche aggressiva, nei confronti di Cristo e della Chiesa, con atti blasfemi di vario tipo.

Il suo atteggiamento contestatore si attenuò col passare del tempo, e la sua inquietudine religiosa cercò nuove direzioni, interessandosi alla meditazione induista (“La meditazione trascendentale non è opposta ad alcuna religione…”, consolava per lettera una fan cristiana preoccupata), anche se rimase sempre affascinato dal personaggio di Gesù, non concepito però come Dio fatto uomo.

Nel 1968 dichiarò: “Tutti siamo Gesù e tutti siamo Dio. (…) Gesù non era Dio venuto sulla terra più di qualsiasi altra persona, ma un migliore esempio di una brava persona”.

Le sue esperienze con l’LSD lo indussero a una reinterpretazione dell’idea del “regno dentro di te”. Nella sua ricerca sembra essersi inclinato verso un certo sincretismo religioso (“Tutte le religioni sono lo stesso in tutto l’universo”) di taglio immanentista.

Al di là del clamore suscitato dalla sua sfortunata affermazione secondo la quale i Beatles erano più popolari di Gesù Cristo, le sue radici giudaico-cristiane rimasero in vigore: “Non sono un cristiano praticante, come mi hanno educato, ma non ho idee che non siano cristiane”, rivelò.

Venne accusato di ateismo, soprattutto per la sua esortazione a un mondo senza un paradiso trascendente e senza religioni nella celebre Imagine, anche se altre persone più benevole videro in quel brano un invito all’ecumenismo.

“La gente ha l’idea che io sia anticristiano o antireligioso, ma non è assolutamente così. (…) Sono una persona molto religiosa, sicuramente non sono ateo”, dichiarò nel 1980, anno della sua morte.

Nello stesso anno disse di essere cresciuto come cristiano, e che solo allora comprendeva alcune delle cose che Cristo diceva nelle sue parabole. Due canzoni scritte qualche settimana prima di essere assassinato sembrano rivelare perfino un ritorno al cristianesimo più esplicito, anche se la moglie Yoko Ono ha nascosto quel materiale per trent’anni.

Il rapporto di Paul McCartney con la religione è meno stretto. Di origini irlandesi da parte di entrambi i genitori, battezzato ed educato nel cattolicesimo, crebbe però in una famiglia in cui la religione non aveva grande rilevanza.

In seguito si definì agnostico. Nel 1963 diceva della religione: “Può essere che ne avrò bisogno quando invecchierò, per consolarmi quando morirò, ma non ora”. Alcuni credono di vedere in Let it be un riferimento mariano, anche se varie testimonianze non avallano questa ipotesi. Paul provò l’LSD nel 1966, e per lui fu un’“esperienza religiosa”. “Non sapevo di cosa parlasse la gente quando diceva che Dio è dentro di te, che è amore e la verità. L’unica immagine che avevo di Lui era quella di un anziano in cielo con una lunga barba. Non sto dicendo che mi dedicherò alla Chiesa o cose de genere. Per me è qualcosa di molto più personale. Dio è una forza di cui tutti facciamo parte. Vuol dire però che ora credo che la risposta a tutto sia l’amore”.




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La sua canzone All you need is love (che ha un precedente nel brano The Word di Lennon) è la chiara manifestazione di questa idea, elemento essenziale della maturità del quartetto di Liverpool e di Paul in particolare.

“Sappiamo tutti cosa ci piacerebbe vedere nel mondo oggi: pace”, indicava nel 1967; “essere capaci di capirci a vicenda”. Su di sé diceva nel 1990: “Non sono religioso, ma molto spirituale”. Alcuni dicono che continui a meditare ogni giorno.

La definizione di “beatle spirituale” per eccezione spetta però a George Harrison. Figlio di una devota cattolica, venne battezzato ed educato nel cattolicesimo, anche se la sua esperienza formalista finì per allontanarlo.

Nel 1966 diceva: “Credo più nelle religioni dell’India che in tutto quello che ho imparato dal cristianesimo. (…) La loro religione non è come quello che sembra essere il cristianesimo, andare in chiesa la domenica mattina perché si pensa che si debba fare anziché andarci perché si vuole”.

Nell’induismo trovò qualcosa che “è in ogni secondo e minuto della tua vita, in come agisci, come ti comporti e come pensi”. Andò in pellegrinaggio in India, e imparò anche a suonare il sitar con Ravi Shankar.

È stato lui che nel 1967 ha fatto sì che i Beatles conoscessero il Maharashi Makesh Yogi, divulgatore della meditazione trascendentale in Occidente, e un anno dopo si recassero a Rishikesh, scatenando un momento di grande creatività che si tradusse in seguito nel cosiddetto White Album.

Dio fu sempre la grande preoccupazione di George, anche se il suo misticismo era collegato anche alle esperienze con l’LSD.

Il più ascetico della band, dichiarava: “Abbiamo fama e fortuna, ma questo non è amore, non è pace”. Divenne poi devoto della setta Hare Krishna.

Nel 1981 parlava così di Dio: “Tu sei l’unico, sei il mio vero amore, sei mio amico, e quando la vita finisce sei la luce nella morte. Sei il mio amore, mandi la pioggia e porti il sole, rimani solo e dici la verità, sei l’incoraggiamento della vita”.

La sua opera come solista My Sweet Lord riassume la sua visione. Riguardo a questo brano, commentò nel 2000 a El País: “I cori che cantano Alleluia e Hare Krishna sono una specie di richiamo alla saggezza e al ritorno a Dio, qualunque egli sia. Senza questo aspetto spirituale, la vita attuale sarebbe per me un’esperienza vuota”. Dicono che le sue ultime parole siano state “Amatevi gli uni gli altri”.

Quanto a Ringo Starr, la madre apparteneva all’Ordine di Orange, un’organizzazione protestante, e venne educato nell’anglicanesimo, ma nel 1965 dichiarò: “Sono agnostico, perché onestamente non so se c’è qualcosa lì sopra o qui sotto”.

Ad ogni modo, gli era chiaro che quando si ha tutto ciò che si può comprare con il denaro, “le cose dopo un po’ smettono di avere valore”. Nel 2010, al compimento dei settant’anni, ha confessato il suo ritorno alla religione. “Dio è nella mia vita. Non lo nascondo”, ha dichiarato, riconoscendo gli errori del passato. “Tutto riguarda il fatto di trovare se stessi. (…) Credo che la ricerca sia iniziata negli anni Sessanta. Ho perso la direzione per molti anni, ma ho trovato la via del ritorno grazie a Dio”.

Al di là delle particolarità personali, l’itinerario spirituale dei Beatles presenta alcuni tratti comuni, riconoscibili anche nella nostra epoca: una formazione cristiana nell’infanzia, magari troppo formalista, e una successiva ribellione giovanile di tipo contestatore e/o indifferentista.

Mostra tuttavia anche la persistenza di una ricerca che trova nei concetti di pace e amore le risposte più significative.

In alcuni casi ci si stupisce forse della scoperta definitiva secondo cui quella pace tanto anelata proviene dal Dio Creatore, che è l’Amore stesso.

Un certo rifiuto della trascendenza ha condotto ad alcune derive troppo immanentiste, e il fatto di impugnare l’aspetto istituzionale in nome della “ricerca personale” può aver portato paradossalmente a un’attenuazione dell’aspetto comunitario e veramente liberatore.

Ciò nonostante, conoscere questo itinerario permette di comprendere un po’ di più le necessità (e anche le incoerenze) della cultura postmoderna, della quale i Beatles sono stati il frutto e su cui hanno avuto una notevole influenza.

Anche l’uomo del nostro tempo si ribella di fronte ai formalismi e cerca esperienze autentiche. In fondo al cuore sa che il successo materiale e sociale non può soddisfarlo. Sa che a volte è come quel Nowhere man di Lennon, che va errando alla deriva, bisognoso di una Luce che – dall’alto, e allo stesso tempo da dentro – illumini il cammino. Intuisce che quello a cui anela è pace e amore autentico.

Bisognerà essere aperti per sperimentare che non si tratta del fatto di divinizzare la pace e l’amore, ma che è Dio stesso che ci si rivela come Amore e colui che dona la vera Pace.

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