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Non preghiamo con “devi” di rabbia e risentimento, ma con più “se vuoi” fiduciosi

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 16/01/20

Gesù ascolta sempre le preghiere dell'uomo, non è indifferente alle nostre sofferenze. Siamo noi che troppo spesso pensiamo di avere già la risposta e non siamo pronti ad accogliere la Sua. Troppo spesso preghiamo dicendo a Dio cosa "deve" fare, lasciando poco spazio alla sua volontà.

In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì.
E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte. (Mc 1,40-45)

Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio.

La preghiera non è il luogo dell’umiliazione, e molto spesso fraintendiamo il gesto di inginocchiarci come un gesto servile, negativo, umiliante. La preghiera è il luogo dove ciò che ci ha umiliato diventa invocazione, grido, richiesta. Quasi mai quando la vita ci umilia reagiamo con la preghiera. All’’umiliazione della vita reagiamo con la collera, con la rabbia per l’ingiustizia subita, con un senso di ribellione contro tutti compreso contro Dio che riteniamo colpevole di non averci difeso. Leggendo questo passo del Vangelo potremmo dire che il lebbroso fa la cosa più semplice che poteva fare, ma in realtà questo lebbroso agisce contro ciò che noi normalmente facciamo. La lebbra è segno di un dolore che ci imprigiona, che ci consuma, che ci allontana dagli altri, che ci fa vivere come maledizione. E quando questo ci capita passiamo la maggior parte del tempo a trovare i colpevoli, a prendercela con qualcuno, a consumarci nel risentimento. Quest’uomo invece prega. E la sua preghiera non è preghiera di pretesa ma preghiera semplice, umile, e proprio per questo efficace:

«Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!».

Le nostre preghiere invece sembrano consumarsi tutte con il “devi”. Vorremmo comandare a Dio e fargli fare quello che secondo noi è giusto. Quest’uomo invece con il Suo “se vuoi” sembra consegnarsi a una volontà più grande della sua. È un po’ come se volesse dire: “se è per il mio bene, ti prego guariscimi”. Gesù non rimane mai indifferente a chi è umiliato dalla vita. Anzi la Sua compassione è proprio per questa gente. Gli oppressi, gli stanchi, gli umiliati, i poveri, gli ultimi sono loro che muovono la compassione di Gesù. “Un cuore affranto e umiliato tu o Dio non disprezzi” dice il salmista. Questa è la preghiera: non umiliarsi per convincere Dio, ma portare davanti a Lui la nostra umiliazione prima che marcisca e ci incattivisca.

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