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Una nuova serie messianica sul tema di una spy-story Netflix

Série "Messiah"
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Louise Alméras - pubblicato il 15/01/20
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“Messiah” è la nuova serie-evento di Netflix che, appena uscita, interroga gli internauti sulla reale identità del protagonista. Prodotta e scritta dal produttore e dallo sceneggiatore de “Le Cronache di Narnia” (dall’omonimo libro del cristiano C.S. Lewis), l’intrigo ha molte possibilità di esprimere linee di spiritualità cristiana.

Creata da Michael Petroni, la serie si annuncia in dieci episodi a partire dal 1o gennaio 2020. Tra politica, religione e fede, questa fiction dagli accenti thriller ci piomba nella Siria attuale. Un uomo misterioso appare in Medio Oriente suscitando interrogativi da ogni parte. Media, eserciti e servizi segreti si chiedono chi sia e se rappresenti una minaccia. È un po’ la reazione del mondo di sempre di fronte all’avvento di Cristo. Il personaggio, acconciato da profeta, andrebbe fino ad affrontare lo Stato Islamico in Siria…

È un Gesù dei tempi moderni?

Il trailer, accattivante, ci mostra un uomo che trascina le folle fino a provocare un’ondata di partigiani al suo seguito, uomini che vedono in lui il Messia. Compie miracoli e dice di essere stato «inviato da suo padre». Ma d’altro canto i servizi segreti della CIA si allarmano e lo interrogano: è un uomo inviato da Dio o un ciarlatano pericoloso che minaccerebbe l’ordine geopolitico mondiale? I differenti protagonisti incarnano diversi punti di vista, con un agente della CIA, un ufficiale israeliano del Shin Bet (Tomer Sisley), un predicatore latino-americano e un rifugiato palestinese. Senza contare la voce dei media che si aggiunge all’intreccio dallo sfondo geopolitico intricato.

Il nome della serie evoca il termine “messia” in una versione aramaica, il che richiama le origini di Gesù di Nazaret, figlio di Dio, e il personaggio principale si chiama Al-Mahssi (Mehdi Dehbi), in versione araba. Al-Mahssi è presentato come un enigma. Viso dolce e misterioso, un tantino selvaggio e libero, le sue origini sono un mistero, come pure le sue esternazioni e le sue azioni. Quando senza alcuna spiegazione scompare dalla cellula dove degli israeliani lo stanno interrogando, il dubbio non fa che crescere. «Guida gente disperata! Allora è una setta?», si dice: «Non sappiamo con chi sia alleato, potrebbe raccogliere un esercito!». E quando gli si chiede che cosa sia andato a fare in Siria, risponde:

Sono andato a consegnare un messaggio di mio padre. È l’opera di Dio.

Passa poi dalla Siria al Texas in men che non si dica – cosa che rimanda ben poco al Cristo che conosciamo (perlomeno a quello pre-pasquale, perché già nel trailer si evoca invece “il secondo avvento” [dell’unico Gesù Cristo]).

«Lei è uno che crede a ciò che vede o che vede ciò che crede?»

In un contesto di catastrofi naturali e di tensioni politiche, le scene possono evocare l’avvento della fine dei tempi. Si vede su un muro la scritta “Il falso Dio”, il che potrebbe far pensare a colui che si fa passare per il Cristo prima dell’episodio biblico. La suspence sta dunque nel capire se si tratta dell’impostore o di un Gesù dei tempi moderni. L’intenzione della serie, da parte sua, si fonda su un’attualità in cui l’azione pericolosa di alcuni uomini è fatta in nome di Dio, così come le guerre. Sapendo che la serie è scritta da uno scenografo aduso a temi spirituali cristiani – che siano fantastici o nell’ordine del soprannaturale –, l’intreccio non dovrebbe mancare di mordente e, se non potrà indurre ad aderire al messaggio, in ogni caso introdurrà la domanda su cosa faremmo se ci trovassimo ai nostri giorni ad avere a che fare con una figura messianica.

Il creatore della serie afferma, comunque, che la serie sarebbe “provocatoria” – il che, precisa, non sta per “offensiva”. Quel che egli si augura invece è «che ci sia molto rumore attorno alla serie, e numerosi dibattiti». Da parte sua afferma in un’intervista a 20 Minutes l’attore Tomer Sisley:

La scenografia è di gran lunga la meglio scritta che mi sia capitato di leggere in questi ultimi anni: fine, profonda, intelligente e interessante.

Lei è uno che crede a ciò che vede o che vede ciò che crede? Questo e simili temi sono trattati sublimemente e portano acqua al mulino di ogni spettatore senza cercare di fargli mutare parere. Trovo che questo sia magnificamente ben fatto.

Insomma, la serie merita ogni attenzione, all’inizio del 2020, visto che mescola tutti gli ingredienti necessari per tenerci col fiato sospeso: thriller, geopolitica e religione. Anche l’invito al viaggio non manca, perché le riprese si sono svolte tra Giordania e Stati Uniti.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]