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La minoranza cristiana in Iran, ufficialmente autorizzata ma in realtà perseguitata

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John Burger - pubblicato il 10/01/20

Le recenti tensioni tra la Repubblica Islamica e gli Stati Uniti hanno gettato luce sulle questioni relative alla libertà religiosa

Le recenti tensioni tra Iran e Stati Uniti hanno attirato l’attenzione dei leader cattolici, che sperano che le due Nazioni evitino un’escalation. La Repubblica Islamica dell’Iran è una repubblica teocratica. La maggior parte della popolazione è composta da musulmani sciiti, ma le minoranze religiose, come i cristiani, sono tollerate. Meno dell’1% della popolazione iraniana è cristiano.

Secondo la Commissione Statunitense sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF), l’Iran ha quasi 300.000 cristiani, inclusi aderenti alle Chiese apostolica – cattolica latina, armena e assira/caldea – e a nuove Chiese protestanti ed evangeliche. La gerarchia cattolica consiste in un’arcidiocesi latina, Isfahan, vacante dal ritiro nel 2015 dell’arcivescovo Ignazio Bedini. Ci sono anche varie eparchie delle Chiese orientali: quattro caldee e una armena.

5 dei 290 seggi del Parlamento sono riservati a cristiani e altre minoranze: due ai cristiani armeni e uno a cristiani assiro/caldei, ebrei e zoroastriani. L’USCIRF ha affermato che il Governo iracheno monitora i membri delle Chiese storiche e impone restrizioni legali al fatto di costruire e restaurare i luoghi di adorazione.

“I cristiani sono stati condannati al carcere per il fatto di svolgere riunioni natalizie private, di organizzare e condurre chiese domestiche e di viaggiare all’estero per frequentare seminari cristiani”, ha riferito l’USCIRF nel suo rapporto annuale 2009. “Le comunità cristiane evangeliche affrontano la repressione perché molte conducono servizi in persiano e fanno proselitismo nei confronti di chi è esterno alla sua comunità. I pastori delle chiese domestiche vengono spesso accusati di crimini collegati alla sicurezza e all’apostasia”.

Anche i convertiti al cristianesimo affrontano la persecuzione, ha affermato l’USCIRF. “Il pastore Youcef Nadarkhani, un prigioniero che l’USCIRF sostiene come parte del suo Religious Prisoners of Conscience Project, si è convertito dall’islam al cristianesimo, guida la Chiesa evangelica dell’Iran ed è stato arrestato varie volte. Nel 2017, il giudice [Mashallah] Ahmadzadeh ha condannato Nadarkhani a 10 anni di prigione e due anni di esilio interno per aver ‘promosso il cristianesimo sionista’. Dopo vari appelli falliti, è stato arrestato nuovamente nel luglio 2018 da agenti in borghese, picchiato e messo in quarantena nella prigione di Evin”.

La commissione ha riferito che nel 2018 l’Iran ha aumentato “drasticamente” gli arresti dei cristiani. Se nel 2017 ne sono stati arrestati 16, nel 2018 sono stati almeno 171. “I cristiani arrestati in Iran vengono spesso trattati e incriminati come nemici dello Stato, e gli avvocati che assumono la loro difesa affrontano la minaccia dell’arresto. Nel settembre 2018, ad esempio, i giudici della corte rivoluzionaria dell’Iran [Mashallah] Ahmadzadeh e Ahmad Zargar hanno confermato le sentenze del 2017 nei confronti di Saheb Fadaie e Fatemeh Bakhteri per aver ‘diffuso propaganda contro il regime’”.

L’Iran ha preso di mira la famiglia del pastore cristiano assiro Victor Bet-Tamraz accusandolo di aver agito contro la sicurezza nazionale, ha affermato l’USCIRF. Nel 2017, Bet-Tamraz è stato condannato a dieci anni di prigione, e continua a ricorrere contro la sentenza. Nel gennaio 2018, il giudice Mashallah Ahmadzadeh della Sezione 26 della Corte Rivoluzionaria di Teheran ha condannato la moglie di Bet-Tamraz, Shamiram Isavi, a cinque anni di prigione per accuse contro la sicurezza nazionale. Nel luglio 2018, il giudice ha condannato anche il loro figlio, Ramil, a quattro mesi di prigione, sempre per aver “agito contro la sicurezza nazionale”.

Lo scorso anno l’USCIRF ha raccomandato al Dipartimento di Stato statunitense di indicare l’Iran come “Paese che suscita particolare preoccupazione”, o CPC, in base all’International Religious Freedom Act. L’USCIRF ha indicato che da quando il Presidente Donald J. Trump ha assunto l’incarico, il Governo statunitense ha “significativamente spostato il suo approccio nei rapporti con l’Iran, adottando una campagna di ‘massima pressione’ che sottolinea la responsabilità per l’attività nucleare iraniana e le attività destabilizzatrici nella regione, oltre alle notevoli violazioni dei diritti umani e della libertà religiosa”.

Nel maggio 2018, l’amministrazione Trump ha annunciato la re-imposizione di sanzioni attenuate o sollevate durante il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA, il cosiddetto patto nucleare iraniano), da attuarsi per un periodo di 180 giorni. La prima di queste re-imposizioni è avvenuta il 7 agosto 2018, la seconda il 5 novembre. Alla fine del periodo, gli Stati Uniti avevano pienamente reimposto le sanzioni all’Iran sollevate o attenuate sotto il JCPOA.

Nel Ministerial to Advance Religious Freedom del luglio 2018 svoltosi a Washington, DC, con la partecipazione di delegazioni da tutto il mondo, è stata emessa una dichiarazione sull’Iran sul modo in cui tratta le minoranze religiose. Il vice-presidente Michael R. Pence ha anche parlato delle restrizioni iraniane alla libertà religiosa, e ha esortato gli iraniani a “sostenere con coraggio la causa della libertà”. Nell’agosto 2018, l’Iran Action Group presso il Dipartimento di Stato ha diffuso un rapporto in cui dettagliava il fatto che l’Iran prende di mira le minoranze religiose, notando che “Baha’i, cristiani, ebrei, zoroastriani e musulmani sunniti e sufi affrontano una diffusa persecuzione, discriminazione incarcerazioni ingiuste”.

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