Poi nella vita professionale, gli amici, i colleghi e perfino i familiari sono diventati gradini da salire per raggiungere il successo personale.
Successo che significava essere quelli con la casa migliore, le vacanze più belle, le cose migliori da mangiare e bere, orgogliosi di essere più ricchi di altri e di avere più potere.
Bastava che un vicino o un conoscente comprasse una macchina più bella o una casa migliore o ottenesse qualche riconoscimento perché la propria macchina, la propria casa o i propri titoli sembrassero improvvisamente insufficienti, perché il loro orgoglio si basava non sul piacere di ottenere le cose, ma sul fatto di avere più degli altri.
La persona competitiva e orgogliosa ama i confronti da cui esce vincitore, il che gli permette di guardare gli altri dall’alto in basso e di aiutarli con condiscendenza, perché in fondo è contento di vedere gli altri nel bisogno.
Quando non è così diventa preda dell’invidia e dell’insoddisfazione, per cui è difficile che non si rallegri di fronte ai presunti fallimenti e ai difetti di chi è l’oggetto di invidia.
È sul terreno dell’amore umano che nei confronti non esce vincitore.
Il passare del tempo sottolinea allora un essere impoverito, frustrato e intimamente angosciato di fronte alla perdita del senso che aveva dato alla propria vita.
Può comunque dare un colpo di timone e invertire la rotta nel tratto che resta ancora da percorrere, visto che il vero senso della vita si raggiunge alla fine, arrivando in un porto sicuro per aver navigato bene.
La virtù dell’umiltà è come la stella che guida il bravo navigatore nella pulizia del suo cuore.
Bisogna ammettere che il male dell’orgoglio riguarda tutti noi; in misura maggiore o minore, tutti soffriamo di questo male e delle sue conseguenze.
Riconoscerlo è essere già a metà della soluzione, perché emerge un principio di umiltà, ed è proprio questa l’antidoto più efficace.